I pedagogisti cattolici suggeriscono “nuove progettualità per i vissuti familiari”

Conclusa a Brescia la 54° edizione di Scholé. Bazoli ha ricordato l’educatore don Giammancheri e la sua fedeltà alla tradizione

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“Il processo di pluralizzazione delle forme familiari si allarga a macchia d’olio inarrestabile, ma l’istituto fondato sul matrimonio resta centrale, pur obbligato a confrontarsi con i fenomeni provocati dalle trasformazioni epocali in corso: con le numerose coppie che vivono senza sposarsi, il crescente numero dei divorzi (e dei divorziati che si risposano), l’incremento dei bambini nati al di fuori del matrimonio, la rivendicazione delle coppie omosessuali a vedersi riconosciuto uno statuto pari a quello familiare, il diffondersi dell’idea che possano esserci varie modalità per assicurare la filiazione e la genitorialità”.

Inoltre “la comunità   dei pedagogisti deve sostenere l’impegno scientifico senza rinunciare ad offrire una collaborazione sempre più marcata agli educatori, alla pastorale, a chi vive l’impegno pedagogico, trovando anche nuove progettualità educative, accompagnando l vissuti familiari”. Così si è espresso stamattina, Luciano Pazzaglia, professore emerito di Storia della Pedagogia e dell’Educazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, alla conclusione della cinquantaquattresima edizione di Scholé, il consueto appuntamento che ogni anno richiama a Brescia almeno un centinaio di pedagogisti d’ispirazione cristiana.

Siamo davvero innanzi ad un passaggio epocale dall’universo famigliare ad una sorta di pluriverso familiare? Anche  quella che è uscita ieri dall’approfondimento di Scholé è l’immagine di una “famiglia ospedale da campo”. Ormai superati i discorsi che sino ad alcuni anni fa si trinceravano solo nella difesa della famiglia tradizionale e delle sue virtualità pedagogiche, le strategie prendono atto di un confronto serrato, inevitabile, urgente, che dovrà passare anche attraverso l’offerta di nuovi strumenti pratici.

Dopo i saluti introduttivi di Pazzaglia, i lavori sono stati aperti da una relazione introduttiva scritta da monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (impossibilitato a partecipare) e letta da don Andrea  Ciucci, portavoce del dicastero. Centrato sulla paradossale situazione in cui versa l’istituto familiare, tra famigliarità e individualismo, il testo offerto ai presenti ha sostenuto la necessità di ripensare la vocazione della famiglia, di rimetterla al centro della cultura, della politica e dell’economia, oltre che della vita ecclesiale come lo è ormai dal biennio sinodale in corso e nella catechesi continua di papa Francesco.

“La famiglia resta l’architrave della società, contro il dilagare della tecnocrazia,è un insostituibile patrimonio dell’umanità e va riportata nel cuore del dibattito politico, economico, sociale e anche della Chiesa”. Questo il giudizio arrivato dal Pontificio Consiglio della famiglia: nella consapevolezza che, oltre l’attenzione ai nuclei familiari, ai soggetti in prospettiva relazionale, occorre uno sguardo che dilati all’approccio al rapporto fra “famiglia e popoli” e alla “famiglia del genere umano. 

Di grande interesse l’intervento di Luigi Pati, preside della Facoltà di scienze della formazione della Cattolica: fermando l’attenzione sui mutamenti socio-culturali in corso e sottolineandone le variazioni più significative, ha auspicato un rinnovamento esteso della pedagogia familiare “in modo da sostenere sempre meglio l’azione di coloro i quali progettano, interpretano ed attuano l’educazione domestica”.

Come pure quello di Guido Gili, docente di Scienze umane e sociali dell’Università del Molise, che analizzando la famiglia in prospettiva sociologica ne ha delineato i tratti specifici “come gruppo sociale e come istituzione”, indicando le sue principali funzione nella società attuale (“giuridica, economica, di socializzazione, oltre che di perno della vita privata”) nonché le relazioni con le altre istituzioni del sistema sociale. “Le famiglie moderne sono separate dalla rete delle relazioni parentali e dalla comunità locale e le relazioni interne sono sottili”, ha sostenuto Gili. Avvertendo che tale dato causa “una perdita delle funzioni sociali della famiglia e un rafforzamento dell’orientamento all’«io»…..”.

Pur constatando  la precarietà e le ambivalenze caratterizzanti la realtà odierna, Gili ha indicato alcuni caratteri di una famiglia capace di costituire in questo momento sociale e culturale del nostro paese “una risorsa per le persone che la compongono, per il suo contesto sociale più immediato e per l’intera società”.

Nel corso dei lavori, conclusi da una animata tavola rotonda , alla quale hanno partecipato Manuela Cantoia, Paolo Ferliga, Domenico Simeone, c’è stato spazio per un ricordo di don Enzo Giammancheri, a lungo anima dell’Editrice La Scuola, affidato a Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, nonché vicepresidente dell’editrice La Scuola, in rapporto di amicizia profonda con il noto sacerdote educatore. Ne è emerso un ritratto appassionato che ha scandagliato la vita di Giammancheri come allievo dei grandi pionieri dell’editrice La Scuola ( tra i quali monsignor Angelo Zammarchi e Vittorino Chizzolini); di editore capace di raccoglierne l’eredità ; di fine intellettuale…

Il ritratto di un prete confrontatosi costantemente con le tensioni del mondo, “improntando il proprio modello di conoscenza sul dialogo e sul confronto”. Esemplari furono suoi rapporti con pensatori tormentati. Vedeva in loro l’occasione per i cristiani di rigenerare la propria fede  mettendosi in discussione e cercando di capire gli argomenti di chi la pensava diversamente: uno dei suoi modi di vivere la fedeltà non alle tradizioni, ma alla tradizione più viva.

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ZENIT Staff

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