E' stato beatificato Tommaso da Olera, il "Fratello del Tirolo"

L’omelia di monsignor Manfred Scheuer in occasione della messa di ringraziamento per l’elevazione agli altari del frate cappuccino

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Pubblichiamo in una traduzione propria il testo dell’omelia bilingue (tedesco e italiano) pronunciata da mons. Manfred Scheuer, vescovo della diocesi di Innsbruck, durante la messa di ringraziamento per la beatificazione del frate cappuccino Tommaso da Olera (1563-1631), celebrata nel Duomo di Bergamo lo scorso 21 settembre. Olera è una piccola comunità montana della Valle Seriana in provincia di Bergamo.

I passaggi in lingua italiana del testo originale sono resi in corsivo.

*** 

Fra Tommaso, il mendicante

“Bisogna che voi impariate a mendicare. Se non padroneggiate quest’arte, sarà Dio ad insegnarvela” (fra Tommaso da Olera). La regola primitiva dei cappuccini [1] – l’essere servi di Dio nella povertà e nell’umiltà – ha un significato che va oltre la “raccolta delle elemosine” per la comunità monastica o per i poveri che bussano alla porta del convento. A fra Tommaso, infatti, stavano molto a cuore l’annuncio di Cristo alle famiglie con buone parole, con la preghiera e il servizio umile, con la parola e la testimonianza, e  l’insegnamento e l’esortazione dei bambini alla preghiere e all’amore di Dio. L’umiltà, la modestia e la gentilezza devono ispirare ogni frate mendicante quando bussa alla porta per chiedere un dono. Grazie al grande affetto e all’amore che le persone semplici nutrivano nei confronti del Beato, si instaurò un legame di fiducia fra lui e il popolo. Tommaso considera la mendicità un apostolato, un messaggio di fede per le famiglie e i bambini.

Negli ultimi anni e nei giorni scorsi si è acceso il dibattito sul divieto di mendicare in Austria e in Tirolo.  Non è certo degno di uomini mandare i bambini a mendicare per strada. Una donna (Irmgard K.) che vende il giornale dei senzatetto nell’isola pedonale della città mi ha raccontato quanto fosse umiliante non poter disporre dei propri soldi e dover rivolgersi al mandatario per qualsiasi cosa. Fra Tommaso vive la raccolta delle elemosine come un esercizio di umiltà che non infligge umiliazioni. Secondo lui è un’arte che nasce dalla libertà e lo avvicina molto alle persone. Tommaso da Olera ha toccato nel profondo i suoi contemporanei, trasmettendo loro la speranza. Molti hanno riposto la loro fiducia in lui. Come beato, Tommaso è un amico, un incoraggiatore, un ispiratore alla fede che risveglia la capacità di amare. Ciò non avviene con una strategia, con un piano o addirittura ricorrendo alla manipolazione o alla sottomissione, e i cuori degli uomini non sono neppure mercenari. Sarebbe fatale se gli uomini dovessero vincere grandi ostacoli per entrare in contatto con i funzionari ecclesiastici o se la burocrazia e le istituzioni si ponessero fra la gente e Dio.

Mentre la mendicità e la supplica sono certamente anche un modo per affrontare una mancanza, sono ancora di più un cammino di libertà. Per fra Tommaso, mendicare è come una porta che apre alla comunicazione con le persone, e che gli permetteva l’annuncio del Vangelo in un tempo religiosamente e moralmente degradato. La supplica è fondamentalmente il modo insuperabile dell’esserci per l’altro nella propria libertà. Questo atto simbolico ci rappresenta in maniera radicale il nostro essere ricevitori nella libertà, il nostro vivere della grazia e della libertà altrui. L’atto di chiedere l’elemosina e la recita della preghiera di supplica fanno emerge il dolore di essere diversi. L’esperimento con i mendicanti dei francescani punta proprio sul rischio di essere diversi. Come atto simbolico e profetico volge l’attenzione alla forma originaria della libertà, ricordandoci della dignità dell’uomo nella dipendenza e nella miseria e indicando il modo di Dio che in Gesù si espone all’impotenza della libertà, diventando un supplicante. Infine, mendicare è anche una scuola di preghiera che ci insegna la rinuncia alla disposizione di Dio che è il diverso in assoluto, la contemplazione della nostra diversità e la chiamata alla nostra libertà.[2]

Lezione di semplicità

Il metodo pastorale impiegato da fra Tommaso nell’anno 1630 non è certo direttamente applicabile all’anno 2013, ma forse ci può dare una lezione. “[…] il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti”. [3] Papa Francesco spiega come i preti e i vescovi debbano camminare con il gregge, assumendo “l’odore del gregge”, insiste sull’importanza e sull’irrinunciabilità della presenza ed esige che i preti e i vescovi camminino fra la gente, “anche nelle periferie e in tutte quelle periferie esistenziali dove c’è  sofferenza, solitudine e umiliazione umana”.

Contro la paura

Per trenta lunghi anni, fra Tommaso era afflitto da visioni terribili e tentazioni interne. Il buio dell’anima, le lotte interne e la sofferenza erano una presenza quotidiana della sua vita. Spesso fra Tommaso si perse d’animo e mille paure, un grande timore e la perplessità lo assalivano. Si oscurò ogni sua speranza di essere salvato. Il pensiero di perdersi un giorno nella dannazione eterna dell’inferno non gli diede tregua. Il demone gli faceva credere che tutte le sue preghiere, confessioni, notti di veglia e giorni di digiuno fossero inutili e privi di valore soprannaturale, e che alla fine sarebbe stato dannato comunque!  Questa tortura ebbe una fine improvvisa quando, completamente abbattuto e scoraggiato, Tommaso s’inginocchiò davanti al Santissimo Sacramento, implorando Gesù e Maria, la madre di Dio, di annoverarlo tra i scelti e di non dannarlo per sempre. Fu proprio in quell’istante che udì una voce: “Ecco, il Padre Brindisi!” (fra Lorenzo da Brindisi, ministro generale, morto il 19 luglio 1619).

Mentre fra Tommaso invidiò il suo ex provinciale e ministro generale per la sua gloria celeste e si vide già sull’orlo della dannazione, Lorenzo gli disse: “No figliolo!” [4].

“Nel 1629, verso la metà di febbraio, mandato ad Hall per l’elemosina fra i duri rigori invernali e rimasto offeso, come si legge nella dodicesima profezia, tanto da non poter tornare al convento ma da doversi fermare da me il giorno dopo, mentre stavamo seduti a chiacchierare nel mio Studio, accanto al focolare, ci mettemmo a parlare della predestinazione. Allora il frate amante di Dio mi disse in confidenza, per la seconda volta , che questo argomento Io aveva angosciato molto e per lungo tempo. Ma alla fine, per grazia particolare di Dio, si era completamente liberato di quell’ angoscia. ‘Te spiegherò in confidenza – soggiunse – assillato e afflitto, prostra-to da queste miserie, davanti al venerabile sacramento pregavo perche la beata Vergine si degnasse di intercedere per me presso Dio, che annoverasse me, poveretto, tra i suoi prescelti e non mi deslinasse tra i dannati e, mentre imploro queste cose – dice – ecco il Padre Brindesi che uscisce di sacristia alla volta mia, ed io vedendolo e cognossendolo li dissi ‘Ah, Padre Brindesi, sette voi! ne vero?’. Subito il padre di Brindisi gli rispose: ‘Si, che son io’. E di nuovo a lui fra Tommaso: ‘Ah, Padre, felice voi! avete bon tempo voi in Paradiso, ed io poverello sarò forse dannato!’. Allora Lorenzo da Brindisi, udite queste parole, si avvicinò a lui che era in ginocchio, e con il palmo della mano destra lo colpi sulla guancia sinistra per tre volte, e ad ogni schiaffo che infliggeva con forza moderata aggiungeva queste parole: ‘no fiòl, no fiòl, no fiòl’. … Lorenzo da Brindisi scomparve, mentre fra Tommaso da quel momento si sentì risollevato da una grande speranza di salvezza”[5].

Oggi le paure legate all
a dannazione sono probabilmente meno comuni.  Forse l’illuminismo ci ha liberato della paura dell’inferno, ma altre forme di paura sono entrate di straforo [6]: la paura del futuro, della disoccupazione, di certe persone, della vicinanza e della costruzione di legami, dell’affetto, della devozione, delle malattie, di se stessi, del confronto con il tu nella propria soggettività, di Dio, della spontaneità, del cambiamento, della vita…

Fra Tommaso si sentiva solidale con le paure e con la notte degli uomini, ma non voleva turbare gli altri nella sua paura. Piuttosto voleva il contrario. La sua è una solidarietà che non implica l’adattamento perché il raddoppiamento non rende liberi. Invece di adattarsi bisogna comprendere. Padre Tommaso pregava nella sua paura. Se la preghiera non può certamente essere strumentalizzata per diminuire la paura, possiamo però sentirci meno assaliti dal timore e dalla paura come frutto della preghiera. “Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa, Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio ha tutto. Dio solo basta” (Santa Teresa D‘Avila).  Fra Tommaso ha vissuto una parte della costituzione pastorale del Secondo Concilio Vaticano: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. […] Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”. (GS 1). Lui è – per dirlo con le parole di Papa Francesco – è andato dagli incroci e dai punti d’incrocio. Dio appare negli incroci. “Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione” [7].

Fratello dell’amore puro

In questo tempo amore è un termine assai consunto e anche abusato. Tommaso, invece, contro lo spirito del tempo di allora e di oggi, cerca l’amore puro e dimentico di sé. Questo amore lo fa vincere ogni paura, rendendolo libero. Lui provoca con i suoi insegnamenti ma ancor di più con il suo esempio che Dio può essere amato per se stesso. Lui ha vissuto l’amore e il rispetto nei confronti di tutti, unendo la capacità di immedesimazione, la sensibilità e la conoscenza del cuore.

“Per piacere a Dio bisogna fare ogni cosa in Dio, e per Dio. PER essere il desiderio mio cosi grande, che il mio Dio, e Signore GIESU Christo sia sommamente amato, e servitor; non hò possuto lasciare di dar’ alcuni avertimenti à tutti li servi di Dio molto necessarij, quali con perfetto amore desiderano servire Dio; perche trà tutte le virtù, l’amore tiene il primo luogo nel Cuore del nostro Innamorato Giesù Christo.

Se dunque vogliamo fare cosa grata a Dio, dobbiamo vigilare entro e fuori di noi, havendo Dio nell’ anima per amore, e fuori in tutte le cose; facendo, & operando ogn’ attione, tanto corporale, come spirituale, tanto interna, come esterna con una rettitudine di mente, e cuore, la quale rimiri al solo Dio, operando tutte le cose per la sola Gloria di Dio, scordandoci del proprio interesse; non rimirado alla gloria, nè al Paradiso, nè alla pena dell’ inferno, nè alli comodi, e gusti, nè alla destra, nè alla sinistra, ma alla sola pupilla degli occhi di Chrifto caminando con sentimento interno nella, via di Dio; mortificando le proprie passioni, tenendole in freno, sottoposte allo Spirito, mortificando l’amor proprio, il proprio parere, la propria estimatione; vigilando sopra li sentimenti, tanto interni, come esterni, volendo tutte le cose in Dio, e per Dio: seguendo il nostro Innamorato Dio per via d’ amor filia!e, e riverentiale, renuntiando l’amor servile, e proprietario: non volendo fare cosa alcuna fuor di Dio, ma tutte le cose in Dio, e per Dio; amando quel Dio, che ci amò co tutto il cuore, e con tanto amore, havendo non solo un’ amore virtuale, ma attuale, che ci muova attualmente à far tutte le cose, non per il proprio interesse, ma per la sola gloria di Dio; sentendo attualmente nel cuore, che Dio ci muove ad operare tutte le cose per lui, e con amore della sua Divina Maestà.”[8]

“L’ottava moralità del pio fra Tommaso era l’attenzione alla salvezza degli uomini, per cui, come bramava che tutti ardessero d’amore di Dio, cosi bramava che tutti si salvassero per amore, e anche se – come si è detto nelle profezie – era molto angosciato per la propria salvezza a causa della predestinazione, tuttavia non per-metteva che la stessa cosa valesse per gli altri.”[9]

+ Manfred Scheuer, vescovo di Innsbruck

[Traduzione di Sarah Fleissner]

*

BIBLIOGRAFIA

Ippolito Guarinoni, Detti e fatti, profezie e segreti del frate capuccino Tommaso da Bergamo, a cura di Daniela Marroni, Brescia 2007.

Tommaso da Bergamo, Fuoco d’amore. Mandato da Christo in terra per esser acceso, Napoli 1683, Brescia 2013.

P. Gaudentius Walser OFMCap, Bruder Thomas von Olera-Bergamo, Innsbruck 1968.

P. Gaudentius Walser OFMCap, Diener Gottes Thomas Acerbis von Olera-Bergamo, Kapuziner, 2005.

Br. Gaudentius Walser OFMCap, Bruder Thomas Acerbis von Olera-Bergamo, Kapuziner, in: Kapuzinerprovinz Österreich – Südtirol: Kultur und Geschichte 6.Jg. (2/2012).

Br. Gaudentius Walser OFMCap, Informativprozess für Bruder Thomas Acerbis von Olera-Bergamo (+1631) in Innsbruck, 17.3.2012, in: Kapuzinerprovinz Österreich – Südtirol: Kultur und Geschichte 6.Jg. (4/2012)

P. Gaudentius Walser OFMCap, Br. Thomas Acerbis aus Olera-Bergamo. Seligsprechung am 21. September 2013 in Bergamo, Bruder Thomas-Archiv im Provinzarchiv der Kapuziner in Innsbruck.

Discorso di Papa Francesco in occasione dell’incontro con l’episcopato brasiliano ad Apareicida, 27 luglio 2013.

NOTE

[1] P. Gaudentius Walser OFMCap, Br. Thomas Acerbis aus Olera-Bergamo. Seligsprechung am 21. September 2013 in Bergamo, Bruder Thomas-Archiv im Provinzarchiv der Kapuziner in Innsbruck, 6f.

[2] Vgl. dazu Gottfried Bachl, Thesen zum Bittgebet, in: Theodor Schneider/ Lothar Ullrich (Hg.), Vorsehung und Handeln Gottes (QD 115), Freiburg/Br.: Herder (1987) 192-207.

[3] Discorso di Papa Francesco in occasione dell’incontro con l’episcopato brasiliano ad Apareicida, 27 luglio 2013

[4] P. Gaudentius Walser, Bruder Thomas von Olera-Bergamo, Innsbruck 1968, 21.

[5] Ippolito Guarinoni, Detti e fatti, profezie e segreti del frate capuccino Tommaso da Bergamo, a cura di Daniela Marroni, Brescia 2007, 117-119.

[6] Vgl. dazu Fritz Riemann, Grundformen der Angst, München 1983.

[7] Discorso di Papa Francesco in occasione dell’incontro con l’episcopato brasiliano ad Apareicida, 27 luglio 2013

[8] Tommaso da Bergamo, Fuoco d’amore. Mandato da Christo in terra per esser acceso, Napoli 1683, Brescia 2013, 267f.

[9] Ippolito Guarinoni, Detti e fatti, profezie e segreti del frate capuccino Tommaso da Bergamo, a cura di Daniela Marroni, Brescia 2007, 141.

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ZENIT Staff

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