Alla mensa del Signore (I)

Capolavori dell’arte europea da Raffaello a Tiepolo

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

del Rev.do Prof. Salvatore Vitiello*

ROMA, giovedì, 8 settembre 2011 (ZENIT.org).- Nell’ambito della celebrazione del XXV Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona, si è voluto onorare, anche con una mostra, il grande Mistero, fonte e culmine della vita della Chiesa, che è la santa Eucaristia.

La mostra “Alla Mensa del Signore. Capolavori della pittura europea da Raffaello a Tiepolo”, inaugurata il 3 settembre, rimarrà aperta fino all’8 gennaio 2012. Il Catalogo della mostra è edito da Umberto Allemandi di Torino.

In realtà, il percorso proposto nella splendida cornice della Mole Vanvitelliana non si limita a condurre lo spettatore fino al cuore della fede cristiana, ma presenta anche alcune sezioni con come tema il culto eucaristico o che si richiamano al prototipo del Cenacolo per il fatto di essere caratterizzate dalla presenza del Signore nel contesto di un convivio.

La scelta di raccogliere oltre 120 opere, fra capolavori pittorici, oggetti antichi e anche rari e preziosi donativi a tematica eucaristica, nasce certamente dalla volontà di favorire, attraverso le immagini, una catechesi che tocchi direttamente il cuore dell’uomo. Il binomio Chiesa-arte, infatti, potrebbe essere sintetizzato attraverso l’utilizzo di un’unica parola che, secondo la metafisica classica, connota direttamente l’Eterno: la bellezza.

Da sempre, la Chiesa ha guardato alla produzione artistica con particolare interesse e fascino: la possibilità di rappresentare le realtà materiali e spirituali, attraverso una forma facilmente fruibile dal popolo, ha infatti favorito la committenza da parte dei Pastori, ma non solo, di opere che potessero catechizzare nel profondo la coscienza dell’uomo, prima ancora che la sua mente. E così, tutt’oggi, entrando in molte chiese, è possibile rimanere sbalorditi dal fascino suscitato in noi attraverso l’azione semplice del “vedere”.

La mostra “Alla mensa del Signore. Capolavori dell’arte europea da Raffaello a Tiepolo” diviene così, nell’ambito di un evento ecclesiale e nazionale, uno degli strumenti certamente più efficaci per suscitare nello spettatore una curiosità, fosse anche solo iniziale, verso il Sacramento per eccellenza. E ciò accade in un contesto secolarizzato com’è la società contemporanea, troppo impegnata nell’agire personale o sociale da non potersi, spesso, nemmeno fermare per contemplare la verità che traspare dalle immagini.

Lo spaccato temporale e artistico che viene proposto è, del resto, di facile e immediata comprensione per gli uomini di ogni tempo: attraverso la bellezza, che tocca le corde del sentimento, è pertanto inevitabile giungere alla Bellezza, che suona, invece, la totalità dell’uomo, intelletto e cuore, ragione e volontà. Quando infatti una produzione umana non permette alla libertà dell’uomo di fare tale passaggio, non si può parlare propriamente di “arte” che, etimologicamente, indica il “muoversi verso qualcosa” di ciò che è ordinato verso il proprio fine.

Il luogo in cui questa mostra viene esposta al pubblico, del resto, è certamente tra i più significativi della splendida città di Ancona: non solo perché la Mole Vanvitelliana sorge su un’isola artificiale sottostante il colle Guasco, sulla cui sommità si erge l’antico Duomo di San Ciriaco, ma soprattutto perché rappresenta idealmente il periodo più florido della repubblica marinara. Inoltre, per lo stesso motivo, sono molto importanti gli utilizzi che nel tempo si sono fatti di questa struttura: semplice protezione dall’azione delle onde e fortificazione difensiva del porto dalle incursioni di terra, piuttosto che zona di quarantena per la sanità pubblica e ora spazio museale.

Il richiamo agli impieghi storici di questo edificio, chiamato anche Lazzaretto, non appaia fuori luogo: si consideri l’aspetto sociale e insieme personale e salvifico di porto sicuro e difensivo insieme a quello di luogo di refrigerio e convalescenza e infine a quello di spazio educativo. E tenendo presenti queste utilità, ritornano certamente alla mente alcune delle modalità attraverso le quali il Divino Mistero che è l’Eucaristia è stato chiamato, per tramite della comprensione teologica dei grandi pensatori cristiani di tutti i tempi: Viatico, Memoriale, Fractio panis, fra i molti ricordati dal Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1328-1332).

Sembra pertanto opportuno entrare nella profondità significante di questo Sacramento che è il tema che le varie sale della Mole desiderano rendere manifesto al grande pubblico. La mostra di per sé offre un ben curato e felice percorso diviso in undici sezioni tematiche. Non potendo qui ripercorrere per intero la rassegna di opere d’arte, si è pensato di offrire al lettore le dodici facce dell’unico preziosissimo diamante che è, appunto, culmen et fons della vita della Chiesa (SC 10). Queste sfumature, che non potranno mai colmare, neppure prese insieme, l’infinità del Sacramento dell’Eucaristia, sono in qualche modo i fili di congiunzione di tutte le opere, anche singolarmente prese. È una caratteristica che, a ben vedere, accomuna l’arte e la teologia: cercare di esprimere con elementi umani qualcosa che di per sé rimane ineffabile.

Uno dei termini più comuni attraverso i quali si suole indicare normalmente l’azione liturgica del giorno del Signore è la Celebrazione eucaristica o più semplicemente Eucaristia. Il termine di derivazione greca mette in risalto l’azione santificante – beneficante – di Dio verso gli uomini, ma allo stesso tempo anche il rendimento di grazie elevato al cielo dalla Chiesa radunata dallo Spirito. Per il valore infinito della vittima, che è contemporaneamente sacerdote ed altare del medesimo sacrificio, si deve giustamente ritenere come l’atto supremo di culto al Padre, al quale, per mezzo della natura teandrica del Figlio, è permesso anche al suo Corpo mistico di parteciparne attraverso l’adorazione ed il ringraziamento.

Eucaristia indica, in sostanza, quella precisa benedizione che Cristo stesso ha recitato sul pane e sul vino nell’ultima cena, consumata nel Cenacolo la vigilia della sua passione (cfr Lc 22,19): essa divenne da subito uno dei segni distintivi per mezzo dei quali i discepoli poterono riconoscere il Signore dopo la Risurrezione e, nelle prime comunità, fu assunto come espressione per designarne le Assemblee.

Fermandosi a contemplare la Cena in Emmaus di Bernardo Strozzi, non si può rimanere impassibili di fronte allo stupore reso evidente dai gesti e dal volto dei due discepoli che riconoscono Gesù dopo che questi recitò la benedizione mentre spezzava il pane (cfr Lc 24,30). Apertisi i loro occhi, essi si incamminarono velocemente verso Gerusalemme, rigenerati dalla consapevolezza di avere ricevuto un compito da realizzare nella propria vita. In realtà, come dice il Concilio Vaticano II, per ogni persona che si ritiene essere “discepola” di Cristo dall’Eucaristia «deriva […] la grazia e si ottiene […] quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le attività della Chiesa» (cfr SC 10).

Un altro termine con il quale si può indicare l’Eucaristia lo scopriamo scorrendo le pagine dei Vangeli ed in particolare leggendo l’inizio del XIII capitolo del Vangelo del discepolo amato che introduce il lungo testamento spirituale affidato da Gesù ai suoi con parole che, in qualche modo, esplicitano il senso della Cena del Signore: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Il clima festivo che doveva aver preceduto quell’ultima cena, mutò improvvisamente a causa della tensione nata dal drammatico discorso di Cristo.

Egli, dimostrandosi servo obbediente, diede inizio alla propria sofferenza per amore dei discepoli preannunciando la sua stessa morte. Questa angoscia profonda del Figlio di Dio è ben rappresentata da Peter Paul Rubens in un prezioso arazzo del XVII secolo raffig
urante l’Istituzione dell’Eucaristia: lo sguardo luminoso di Cristo verso il cielo e la torsione degli Apostoli verso di lui plasticamente ci trasmettono gli stessi sentimenti dei commensali.

Ma ancora più interessante risulta essere la traiettoria che unisce la mensa ad un altare pronto per la Celebrazione eucaristica, passando attraverso Cristo, quasi ad indicare il cambiamento di finalità della cena pasquale operato dal Maestro.

E in tale traiettoria, Cristo depone nel mezzo della sua Chiesa, idealmente rappresentata dal gruppo dei Dodici che lo circonda, il sacrificio proprio insieme a quello di ogni uomo. Infatti, in quest’opera appare evidente come nessuno sia escluso dalla partecipazione a questo convivio: lo spettatore è anzi invitato ad appropriarsi dell’unico posto lasciato opportunamente vuoto dai commensali, proprio in primo piano.

Ancora una volta è la Costituzione Sacrosantum Concilium a sintetizzare in concetti la reale portata di quanto avvenuto: «Istituì così il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della Croce, e per affidare alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e resurrezione» (cfr SC 47), anticipazione della Cena delle nozze dell’Agnello nella Gerusalemme celeste.

E come Rubens, con una forma differente di arte, anche san Tommaso ha saputo dare fisionomia a tale mistero attraverso i versi della sequenza del Lauda Sion: «Cristo lascia in sua memoria, ciò che ha fatto nella cena, noi lo rinnoviamo. / Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza».

Fin dal tempo apostolico (OGMR 83), anche il termine Fractio panis fu utilizzato per indicare la Celebrazione eucaristica. Anzi, lo “spezzare il pane” costituiva già presso gli ebrei l’elemento centrale di un rito domestico con il quale si dava inizio ai pasti. Gesù, nell’ultima cena, ha voluto riprendere il segno ma, attraverso le parole «questo è il mio Corpo» (Lc 20,22), ha inteso dare un significato nuovo a quell’azione, mistero d’amore di cui di lì a poco diverrà anche vittima.

Così, nel disinteresse del mondo, solo coloro che pongono attenzione al gesto della Fractio panis possono riconoscerlo: «Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,31), come si evince dalla direzione assunta dallo sguardo dei vari personaggi e dunque dai loro diversi atteggiamenti, rilettura personale dell’autore, nella tela di Cristofano Allori, proveniente dalla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Cena in Emmaus.

Nella frazione del pane, come insegna san Paolo scrivendo alla comunità di Corinto, trova piena espressione il dono di sé nella partecipazione all’unico pane (cfr 1Cor 10,17). Un dono di sé che Cristo ha realizzato una volta per sempre nel sacrificio della Croce e che oggi si compie per mezzo dell’unità del popolo radunato intorno ad un unico altare.

Ed è proprio attraverso la convocazione di Cristo rivolta alla sua Chiesa che si può parlare di Assemblea eucaristica. Egli, inviato dal Padre, ha riunito intorno a sé gli Apostoli e, donando loro lo Spirito Santo, li ha poi a sua volta inviati per attuare l’opera della redenzione attraverso l’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti.

Egli, ci conferma il Concilio Vaticano II, «associa sempre a sé la Chiesa, sposa amatissima» (SC 7), la quale, fedele al suo Sposo, non ha mai smesso di celebrare il memoriale come richiesto da Cristo, nel quale vengono ripresentati la vittoria e il trionfo sulla morte. I colori accesi della tavola di Marco Palmezzano raffigurante la Comunione degli Apostoli rendono particolarmente luminosa la stanza in cui il Signore Gesù comunica il proprio Corpo ai discepoli che, seguendo san Pietro, si inginocchiano in segno di adorazione.

Ma lo sguardo dello spettatore è come portato a spostarsi continuamente dagli Apostoli alle colonne dorate della sala in cui sono riuniti, quasi che queste siano il vero protagonista dell’opera, proveniente dalla Pinacoteca Civica di Forlì. San Paolo è a garanzia, del resto, di una tale lettura quando, sempre scrivendo ai Corinzi, chiede se essi non si ricordino che il loro, e nostro, cuore «è tempio dello Spirito Santo» (cfr 1Cor 6,19). In modo icastico, dunque, Palmezzano riesce ad identificare la Chiesa apostolica con la Chiesa-luogo fisico e dunque, passaggio fondamentale, con la Chiesa-popolo di Dio, radunato nel nome di Cristo, espressione visibile dell’Assemblea eucaristica.

Proseguendo nella contemplazione delle opere d’arte proposte nella Mostra, particolare attenzione suscita un dipinto del Grechetto raffigurante la Visione di san Bernardo. Si tratta infatti di un modello iconografico innovativo sotto molti punti di vista. Diversi elementi permettono di supporre che il contesto della visione sia di tipo celebrativo. Il santo, con le braccia aperte in segno di accoglienza della volontà divina, si lascia attrarre da Cristo che lo afferra sulla spalla destra. E così, mentre il Risorto ancora è innalzato sulla Croce, san Bernardo ottiene la remissione dei peccati attraverso il sangue che esce dal costato del Signore. Il momento celebrativo diviene, in tal modo, un Memoriale della Passione e della Risurrezione, come lo definisce il Catechismo al n.1330.

* Mons. Vitiello fa parte della Congregazione per il Clero ed è Coordinatore del Master in Architettura, Arti sacre e Liturgia che si svolge all’Università Europea di Roma e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.

[La seconda parte dell’articolo verrà pubblicata questo venerdì]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione