Riportiamo di seguito il saluto di monsignor Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense al Simposio Chiesa e comunità politica. A cinquant’anni dal Concilio.
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Vogliamo onorare, con questo Simposio, il duplice giubileo – sacerdotale ed episcopale – del Card. Agostino Vallini, ex-allievo, docente, e ora Gran Cancelliere di questo Ateneo.
L’insigne opera di giurista svolta dal Cardinale è riassunta dai Curatori dalla raccolta di studi che ieri gli è stata offerta, cioè dai proff. Dalla Torre e Mirabelli, in Verità e metodo in giurisprudenza, LEV, Città del Vaticano 2014, pp. 9-10.
Svolgo soltanto un’osservazione preliminare riguardo ai contenuti del nostro Simposio, intitolato Chiesa e comunità politica. A cinquant’anni dal Concilio.
Sembrerà scontato ma, quando trattiamo della Chiesa, specie riferendoci al suo profilo istituzionale, facilmente si incorre nell’errore di intenderla solo come gerarchia ecclesiastica e non anche come comunità di fedeli chiamati, ciascuno secondo la propria condizione, a compiere nel mondo la missione ricevuta con il battesimo, ossia quella di annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime (can. 747 § 2 Codice di Diritto canonico). Tutti conosciamo quanto il Concilio Vaticano II, in particolare attraverso la Costituzione Gaudium et spes al n. 76, ha proclamato sul rapporto tra Chiesa e comunità politica, entrambe a servizio della vocazione personale e sociale delle persone.
In relazione a questo rapporto – sempre antico e sempre nuovo – vorrei focalizzare la nostra attenzione sull’aspetto profetico del pontificato di Papa Francesco, che è sotto gli occhi di tutti.
Come non ricordare, anzitutto, che una delle prime cose che ha voluto fare Francesco, dopo essere diventato Pontefice, è stata la visita a Lampedusa, segno della presenza della Chiesa laddove, tutt’ora, si fugge da guerre, povertà e carestie… E ancora l’altro giorno, l’occasione dell’ennesimo barcone affondato e delle nuove vittime del mare, ha portato Papa Francesco a compiere un richiamo alla politica nazionale ed europea, proprio quando si discute sulle responsabilità che l’Unione Europea dovrebbe assumere nelle tragiche vicende del mediterraneo. Perciò, al termine dell’udienza generale di mercoledì scorso, Papa Francesco ammoniva: Si mettano al primo posto i diritti umani e si uniscano le forze per prevenire queste stragi vergognose; mentre giovedì, dinanzi ai nuovi ambasciatori intervenuti in Vaticano, ha ribadito con fermezza che è giunto il momento di affrontare questo problema con uno sguardo politico serio e responsabile, che coinvolga tutti i livelli: globale, continentale, di macro-regioni, di rapporti tra Nazioni, fino al livello nazionale e locale.
Alquanto emblematica, inoltra, risulta quella scossa alla politica – sebbene celata e indiretta – che Papa Francesco ha rivolto ai parlamentari italiani, lo scorso 27 marzo 2014, riferendosi agli interessi di partito, alle lotte interne e alla corruzione che avevano colpito una certa classe dirigente al tempo di Gesù, con il rischio che quest’ultima possa continuare ad investire anche i nostri tempi.
Sia nella lettura dell’esistente, sia nella proposta da realizzare, si avverte la centralità dell’aspetto profetico nel rapporto di Francesco con la politica: non l’anticipazione del futuro, ma la capacità di portare nel presente, con autorità, un messaggio eterno di cui la Chiesa si fa custode da oltre duemila anni. È la buona novella del Vangelo, che Papa Francesco è capace di trasmettere in modo credibile, rendendola attuale e non una mera utopia, attraverso una cultura dell’incontro declinata nella quotidianità. Il suo richiamo all’autenticità della fede, in piena continuità con il Concilio e con il magistero sociale, apre orizzonti nuovi anche all’impegno politico e sociale del cristiano, proponendo un’ideale di politica che, pur essendo laica, e che tale deve rimanere, non può fare a meno della dimensione trascendente. Il dovere cogente di giustizia sociale impone ad entrambi, Chiesa e comunità politica, di operare per ricomporre le relazioni impari e difettose, e di promuovere, attraverso una sana cooperatio, un mondo più umano, che abbia a cuore il bene comune inteso, come fine dell’azione politica ed ecclesiale.