Che cosa è una chiesa sui iuris?

di padre Hani Bakhoum Kiroulos

ROMA, mercoledì, 18 agosto 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa è comunione: “Magna illa communio quam efficit Ecclesia” diceva il Papa Paolo VI[1]. Infatti la comunione è essenziale alla natura della Chiesa. La medesima comunione della Chiesa ha due aspetti: la comunione dei Santi che unisce la Chiesa pellegrina sulla terra con la Chiesa celeste e le dona il suo carattere escatologico, mentre il secondo aspetto è la comunione ecclesiastica.

La comunione ecclesiastica unisce tutti i battezzati nella Chiesa Cattolica o in essa accolti, che sono congiunti con Cristo dai vincoli della professione della medesima fede, dei sacramenti, del regime ecclesiastico e della comunione. Tale comunione ecclesiastica costituisce la piena comunione cattolica.

I fedeli cattolici, di una chiesa particolare, quindi anche di una chiesa orientale sui iuris, sono nella piena comunione ecclesiastica con la Chiesa Cattolica, quando i loro vescovi conservano la comunione gerarchica con il Vescovo di Roma e il Collegio dei Vescovi.

La “Ecclesia Universa” è costituita dalla comunione delle varie Chiese d’Oriente e d’Occidente e in modo particolare da quelle matrici della fede fondate dagli Apostoli e dai loro successori.

Tale comunione tra le Chiese Orientali sui iuris e la Sede Apostolica di Roma viene espressa e manifestata, in maniera concreta, nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Infatti, uno dei ruoli fondamentali del Codice, secondo il Papa Giovanni Paolo II[2], è indicare la Chiesa come comunione e, come conseguenza, determina le relazioni che devono esistere tra le chiese orientali sui iuris e la Chiesa Universale.

Prima di analizzare la manifestazione concreta di tale comunione gerarchica, è necessario presentare il senso del termine chiesa sui iuris.

Nel Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium la nozione di “chiesa sui iuris” è una nozione tecnica. Essa è una novità nella storia del diritto canonico orientale e occidentale[3]. La nozione è data per indicare la chiesa orientale che è in comunione con Roma.

La Pontificia Commissio Codex Iuris Canonici Orientalis Recognoscendo non ha voluto adottare il termine “chiesa particolare” per indicare la chiesa orientale in quanto questo termine indicava nel Codex Iuris Canonici solo la diocesi e nient’altro. La medesima commissione ha preferito la proposta di “chiesa sui iuris. Interessante il fatto che questa proposta ha avuto la maggioranza con un solo voto; ha ricevuto infatti sei voti favorevoli contro i cinque che volevano mantenere il termine del Concilio Vaticano II “chiesa particolare” e con due astensioni[4].

La definizione della nozione di “chiesa sui iuris” si trova al can. 27[5].

Si chiama, in questo Codice, Chiesa sui iuris, un raggruppamento di fedeli cristiani congiunto dalla gerarchia, a norma del diritto, che la Suprema Autorità della Chiesa riconosce espressamente o tacitamente come sui iuris.

Da questo canone si rivelano due particolarità:

La prima cosa da notare è che la definizione della chiesa sui iuris è una definizione tecnica; cioè non è avulsa dal codice, ma è relativa ad esso. Il codice non definisce la chiesa sui iuris in sé, ma dice cosa intende quando menziona la nozione “chiesa sui iuris”. Facendo così il codice sostituisce la nozione “chiesa particolare sui ritus” usata nel Concilio Vaticano II.

La seconda è che la suddetta definizione evidenzia i quattro criteri essenziali per definire una chiesa come chiesa sui iuris:

– Un raggruppamento di fedeli cristiani “coetus christifidelium”: il suddetto termine indica “l’unità interna e l’omogeneità culturale, sociale, e spirituale”[6] di una comunità di fedeli. Indica in fondo una assemblea del popolo di Dio[7] unita nella cultura, nella vita sociale e nella vita spirituale.

– Questo coetus christifidelium è unito ed è governato dalla propria gerarchia. Questa gerarchia “unisce questo raggruppamento in una determinata comunità ecclesiale compatta e gerarchicamente organizzata come una chiesa. Questo gruppo di fedeli ha una gerarchia come elemento organico di coesione”[8]. Il ruolo fondamentale, dunque, di detta gerarchia è governare il raggruppamento dei fedeli e garantire la sua unità secondo il diritto[9].

– Detto coetus christifidelium con la propria gerarchia è costituito secondo il diritto. Un tale criterio garantisce la legittimità della chiesa sui iuris.

– Il riconoscimento della Suprema Autorità della Chiesa in modo espresso o tacito è il quarto criterio per definire un raggruppamento dei fedeli, uniti dalla propria gerarchia secondo il diritto, come chiesa sui iuris. Detto atto di riconoscimento da parte della Suprema Autorità costituisce la comunione gerarchica tra una tale chiesa e la Chiesa Universale. Da notare che “la comunione gerarchica con il Romano Pontefice, intesa come unità e realtà organica, è, di conseguenza, un elemento costitutivo dello status canonico di Ecclesia sui iuris[10].

I primi tre criteri sono criteri interni e spiegano la natura della chiesa sui iuris dal suo interno. Mentre, il quarto – il riconoscimento – è un criterio esterno e formale che garantisce la comunione della chiesa sui iuris con tutta la Chiesa di Cristo[11].

Con questo riconoscimento si attribuisce alla chiesa sui iuris una autonomia relativa. Infatti la Suprema Autorità non si limita, semplicemente, a riconoscere una chiesa sui iuris, ma definisce, soprattutto, la sua autonomia e dipendenza e inoltre, il suo rapporto con la Sede Apostolica tramite i canoni del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium.

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1. Cfr. AAS, 69 (1977), 147- 153, n. 148.

2 . Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Costituzione Apostolica, Sacrae Disiplinae Leges, (25. I. 1983), in AAS, 75 (1983), pars. II, 12.

3. Cfr. Idem. 205.

4. Cfr. E. EID, Rite, Église de Droit Propre e Juridiction, 11 e cfr. Nuntia, 19 (1984), 5.

5. Il can. 27 è un canone nuovo, non ha un corrispondente né nei codici del 1917 e del 1983, né nella codificazione orientale precedente. Essi con il can. 28 sono stati un oggetto di grande lavoro; vedi Nuntia, 3 (1976), 45- 47; 22 (1986), 22- 24 e 28 (1989), 18- 20.

6. E. SLEMAN, De Ritus à Ecclesia sui iuris, in L’année canonique, 41 (1999), 268. Il testo originale dell’articolo è in francese ed è stato tradotto dallo scrittore della attuale tesi.

7. Cfr. D. SALACHAS, Autonomie des Églises Orientales, in L’année canonique, 38 (1996), 75- 90.

8. D. SALACHAS, Le Chiese “sui iuris” e i Riti, in Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, a cura di P. V. PINTO, Libreria Editrice Vaticana, 2001, 38.

9. Cfr. E. SLEMAN, De Ritus à Ecclesia sui iuris, 268.

10. D. SALACHAS, Le Chiese “sui iuris” e I Riti, 38

11. Cfr. Idem.

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ZENIT Staff

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