Card. Sarah: “La Caritas realizza un lavoro ammirevole”

Intervista all’inviato papale al termine del suo viaggio in Giappone

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ROMA, mercoledì, 18 maggio 2011 (ZENIT.org).- Il Cardinale Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, è appena rientrato da una missione in Giappone, durante la quale ha visitato i luoghi più colpiti dal terremoto dell’11 marzo scorso, recando alle vittime la consolazione e l’affetto del Papa.

I dati ufficiali del mese di aprile parlavano di 13.802 morti, 14.129 dispersi e 4.928 feriti, cifre che continuano a rattristare, a due mesi dal sisma e dal successivo maremoto che hanno spazzato via intere regioni del paese, danneggiando anche una centrale nucleare.

Hanno preso parte a questa visita alle zone più colpite anche il Nunzio apostolico, mons. Alberto Bottari de Castello, il Presidente della Conferenza Episcopale del Giappone, mons. Leo Jun Ikenaga, S.I., e i presuli delle Diocesi più colpite, insieme ai rappresentanti di Caritas Giappone e al Sotto-Segretario di Cor Unum”, mons. Segundo Tejado. Tutti hanno partecipato ad una toccante cerimonia di omaggio floreale a Shichigahama, uno dei luoghi più colpiti dallo tsunami.

Abbiamo intervistato il Cardinale Sarah per raccogliere le sue impressioni e gli abbiamo chiesto di tracciare un primo bilancio dell’efficacia degli aiuti.

Cosa ha visto in Giappone?

Una devastazione materiale senza precedenti, unita ad un grande impulso alla ricostruzione, alla solidarietà e alla ricerca di una risposta a questa catastrofe, che noi cristiani sappiamo essere nella Croce di Nostro Signore Gesù.

Qual è stato il motivo di questa Sua visita?

Portare alle persone più colpite, siano esse cristiane o no, il calore della preghiera e della consolazione del Papa e studiare in prima persona quanto si può fare ancora per alleviare le situazioni di emergenza.

Quali sono i progetti di solidarietà che sono stati portati avanti in queste settimane?

Il terremoto e il successivo tsunami hanno portato dolore, morte e distruzione, ma hanno anche generato un altro tsunami di solidarietà tra i fedeli, attraverso le Caritas diocesane di tutto il mondo. La Caritas Internationalis ha realizzato uno splendido lavoro di coordinamento di tutte queste risorse e ciò ha consentito a Caritas Giappone, in queste settimane, di offrire generi alimentari, coperte e beni di prima necessità a più di 10.000 persone.

Cosa l’ha colpita di più in questi giorni?

E’ difficile dirlo, tutto il viaggio è stato un’esperienza forte. Ad esempio, a Sendai, dal finestrino della macchina vedevamo una pianura gigantesca (prima coltivata) disseminata degli oggetti più disparati, trascinati per vari chilometri dall’acqua: motociclette distrutte, mobili rotti, monconi di colonne di un qualche edificio, un frigorifero, un’imbarcazione nel bel mezzo di un campo di riso, case distrutte…

La ricostruzione sarà lenta?

Sì, non sarà facile. Nella regione vicina alla centrale nucleare di Fukujima, una comunità di circa 800 pescatori ha perduto il lavoro perché l’acqua ha spazzato via le imbarcazioni e perché, sebbene abbiano ricevuto sussidi governativi per acquistarne altre, le radiazioni non permettono di pescare per un intero anno e non è facile per una regione che vive di pesca. Lo stesso succede ai contadini della zona: non potranno coltivare la terra per i prossimi 12 mesi. Paolo, un pescatore cattolico di Saitama, ci ha accompagnati a vedere il luogo dove prima c’era casa sua e dove era solito ormeggiare la sua barca: adesso non c’è rimasto nulla.

Come ha reagito la gente?

Con una determinazione e una dignità ammirevoli, malgrado la sofferenza. Abbiamo visitato una parrocchia molto danneggiata nella diocesi di Saitama, con le immagini sacre e il tetto devastati dal sisma. L’incontro con i fedeli è stato molto emozionante: essi ora partecipano alla Messa all’aria aperta con una fede straordinaria. A Sendai, dopo la celebrazione dell’Eucaristia, c’è stato un altro commovente incontro con quanti hanno perso tutti i loro beni: a loro ho fatto dono di un rosario del Papa.

L’opera della Caritasha motivo di essere in una società dove i cristiani sono meno dell’uno per cento?

Certamente: in ogni donna che ha perso i suoi cari, spazzati via dall’onda, in ogni uomo che ha visto cadere la propria casa, in ogni ammalato, continueremo a vedere quello stesso Cristo che ci incoraggiava a trovarlo negli affamati, nei sofferenti e non soltanto in alcuni di essi, ma in tutti, perché tutti sono figli di Dio, anche se non ne lo sanno.

Dietro questo atteggiamento non si nasconde forse un certo proselitismo?

Il Papa ha spiegato nella sua Enciclica Deus caritas est che “l’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza” (n. 31). Pertanto, l’esercizio della carità non ha come finalità immediata la conversione dei non cristiani ma, nel contempo, i cristiani non debbono nascondere la loro fede, i valori profondi che alimentano la loro carità. Ciascuna persona è libera di praticare o meno una determinata religione e di darne ragione, anche i cristiani.

In alcuni contesti laici oppure ostili al cristianesimo non faciliterebbe forse il dialogo la separazione tra esercizio della carità e fede cristiana?

E’ normale che, se consolo un buddista anziano, ricoverato in ospedale o se offro cure mediche ad una donna musulmana durante una guerra, essi si chiederanno perché io mi trovi lì. Fare il bene con speranza diffonde i valori in cui si radica tale generoso gesto. Nel contempo, il volontario rimarrà sorpreso dall’integrità umana e le virtù di quelle persone e ciò lo aiuterà a apprezzare le loro credenze religiose. Aiutare il prossimo è un bene profondamente umano, che trascende la diversità religiosa e promuove il dialogo.

Sarà questo uno dei temi che tratterà l’Assemblea di Caritas Internationalis, prevista tra pochi giorni a Roma?

Pare di sì. Caritas Internationalis realizza, in tutto il mondo, un ammirevole lavoro di coordinamento degli aiuti ed è logico che si interroghi sulla sua identità in contesti internazionali culturalmente tanto diversi.

Il terremoto in Giappone verrà dimenticato come quello di Haiti?

Ci stiamo impegnando affinché ciò non avvenga. Dietro ogni calamità, ogni terremoto, vi sono centinaia di migliaia di drammi personali. Ho promesso alle comunità che ho incontrato che non le abbandoneremo: ora le portiamo nel cuore.

Che ruolo svolge il volontariato in questo tipo di catastrofi?

E’ meraviglioso vedere l’impegno eroico di molti volontari, perché la loro dedizione disinteressata nell’accompagnare le persone nel dolore o nel rispondere alle necessità, è un segno della speranza cristiana nel futuro. Per incentivarne la formazione, Cor Unum organizza a Roma un congresso, l’11 novembre, proprio in questo 2011 che è l’anno europeo del Volontariato. Vogliamo che Haiti e il Giappone siano i primi a beneficiare di tale iniziativa.

Non è meglio disporre di personale specializzato o lasciare più spazio agli organismi statali?

Non si tratta di aspetti incompatibili, ma complementari. Indubbiamente la professionalità nell’esercizio della carità aiuta ad affrontare i problemi materiali con maggior efficacia e ad organizzare in modo adeguato la distribuzione degli aiuti. Tuttavia, non possiamo dimenticare che questi problemi hanno dimensioni personali e trascendenti che richiedono anche un rimedio spirituale: la propos
ta rigeneratrice di quei valori incarnati in persone che donano disinteressatamente il loro tempo agli altri.

Ad esempio?

Nella zona di Sendai, CaritasGiappone gestisce quattro centri di accoglienza, grazie anche alla generosità di altre Caritas nel mondo. Nel centro della parrocchia di Ishinomaki, vivono attualmente circa 400 persone che ogni mattina tornano a riparare, se possibile, quello che resta delle loro case, oppure a recuperarvi poco alla volta i loro beni. Fanno ritorno al centro per mangiare, dormire e condurre un minimo di vita in famiglia. Se non fosse per i centinaia di giovani volontari che aiutano il personale professionale, sarebbe impossibile assistere materialmente e spiritualmente queste persone. Si tratta di giovani provenienti da tutto il Giappone, cristiani e non cristiani, molti dei quali universitari, che fanno turni volontari di 10 giorni.

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ZENIT Staff

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