Cameron accende il dibattito sulla "Gran Bretagna cristiana"

L’arcivescovo di Canterbury prende le difese del primo ministro

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Il primo ministro britannico David Cameron ha scatenato un dibattito alcune settimane fa, quando ha parlato della Gran Bretagna come un paese cristiano. I suoi commenti pubblicati lo scorso 16 aprile sul quotidiano anglicano Church Times, hanno innestato un dibattito che ancora non si è fermato.

Taluni, ha sostenuto Cameron, avvertono che in quest’epoca sempre più secolarizzata, non dovremmo parlare di fede e dell’importanza del cristianesimo.

“Credo che dovremmo avere più fiducia del nostro status di nazione cristiana, più ambiziosa nell’espansione del ruolo di organizzazioni a sfondo religioso e, francamente, più evangelici nel manifestare una fede che ci obbliga a uscire e fare la differenza nella vita delle persone”, ha dichiarato il premier britannico.

“Ritengo che la gente sarà lieta di vedere il Vangelo tornare nella politica, ovvero laddove c’è molto di quello che il governo si sforza di fare nell’assistere la gente”, ha commentato lo stesso giorno il vescovo di Arundel e Brighton, Kieran Conry, responsabile dell’ufficio per l’evangelizzazione della Chiesa Cattolica in Inghilterra e Galles, sul quotidiano London’s Telegraph.

Altri interlocutori non sono stati altrettanto lusinghieri. In una lettera pubblicata online, lo scorso 20 aprile, sul Telegraph, eminenti personalità, tra cui scrittori ed accademici hanno affermato: “Ci opponiamo a questa caratterizzazione della Gran Bretagna come “paese cristiano” e alle conseguenze negative per la politica e la società che questo genererebbe”.

“A livello sociale la Gran Bretagna è stata forgiata al meglio da molte forze pre-cristiane, non-cristiane e post-cristiane. Siamo una società plurale con cittadini di tutti gli orientamenti e siamo in larga parte una società non-religiosa”, hanno argomentato.

In risposta a tale affermazione, Gary Streeter, parlamentare del Partito Conservatore, leader dell’intergruppo parlamentare cristiano, ha affermato che solo un “manipolo di militanti atei laicisti” hanno messo in questione l’intervento di Cameron (cfr. Times Newspaper, 22 aprile).

“Molte delle grandi cose del nostro paese sono basate sull’eredità giudaico-cristiana e, sicuramente, sul lavoro caritativo e di volontariato portato avanti dalle varie comunità religiose nel paese”, ha aggiunto Streeter.

Vari articoli riportano che nel censimento del 2011, il 59% della popolazione britannica si dichiara cristiana.

“Cameron sarebbe un ignorante se non identificasse il cristianesimo come il fattore chiave nella nostra storia nazionale. E sarebbe un folle – nonché incoerente verso i propri valori se non celebrasse i suoi benigni, continui effetti”, ha commentato Charles Moore in un articolo pubblicato il 21 aprile sul Telegraph.

Il giornalista ha tuttavia riconosciuto che in tempi recenti la secolarizzazione ha compiuto notevoli passi avanti nella società britannica.

Moore ha anche criticato Cameron per aver incoraggiato il matrimonio omosessuale. La famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna è stata un importante contributo per il cristianesimo, ha detto.

Il dibattito è proseguito con Dominic Grieve, il procuratore generale, che ha affermato che “gli atei che credono la Gran Bretagna non sia più un paese cristiano stanno ingannando se stessi”, ha dichiarato al Times lo scorso 23 aprile.

Secondo quanto riferito dal Times, anche Iain Duncan Smith, Segretario di Stato per il Lavoro e le Pensioni, ha difeso Cameron. Chiunque metta in discussione l’identità cristiana della Gran Bretagna sta “ignorando la realtà storica e costituzionale”, ha detto.

Lo stesso giorno, in una lettera al Telegraph, scritta da otto leader d’opinione, tra cui il filosofo e scrittore Roger Scruton, ha sottolineato che il cristianesimo moderato “cusotodito” nella costituzione britannica protegge attivamente anche chi ha un’altra fede o chi ne è sprovvisto.

Il vicepremier Nick Clegg si è inserito nel dibattito dicendo: “Non sono un uomo di fede ma ritengo che sia assolutamente ovvio che come paese siamo stati plasmati dai valori cristiani”.

In seguito l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha affermato: “è chiaro che, nel senso generale dell’essere fondato sulla fede cristiana – ha detto – questo è un paese cristiano”, ha dichiarato al quotidiano The Guardian lo scorso 25 aprile.

L’arcivescovo ha anche detto che a giudicare dalla reazione al “commovente” articolo del Primo Ministro, “chiunque potrebbe pensare che egli abbia, al tempo stesso, suggerito il ritorno all’Inquisizione”.

Per chi è nella Chiesa, così come per chi appartiene ad altre fedi e tradizioni, la storia “si fa con alcune scomode letture”, ha detto. “I suoi fatti sono sgradevoli per tutti noi, ma è inconcepibile far finta che non esista. Su questo il Primo Ministro ha ragione”, ha poi concluso l’arcivescovo Welby.

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ZENIT Staff

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