BRIC: La Cina tra rallentamento dell'economia e le disuguaglianze (Prima parte)

Come se la cavano i BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) protagonisti dell’economia globalizzata ai tempi della grande crisi delle economie “avanzate”

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Un primo aspetto che accomuna tutti i BRIC è il  rallentamento delle loro economie. Diversi centri studi si domandano: si tratta solo di una pioggia estiva o di un cambiamento strutturale? La Cina, da molte decine di anni fa segna una crescita record del PIL, spesso a due cifre (10-11%). Questa turbo-crescita ci ha abituato a continui, importanti mutamenti ambientali, culturali, sociologici, economici, strutturali.

Lo stato dell’economia cinese
I dati forniti il 23 maggio fanno emergere lo spettro del cooli landing per l’economia cinese. L’industria frena e l’indice delle Pmi (Piccole medie imprese) per la prima volta, in sette mesi, è negativo. La Cina registra una caduta degli ordini (che scendono a 49.5 (1), il valore più basso da settembre 2012) che va a sommarsi a problemi  già emersi come l’aumento a due cifre del costo del lavoro, l’esercito di circa sette milioni di giovani che si affacciano sul mercato del lavoro senza troppe certezze di trovarlo, lo yuan che si apprezza sempre più sul dollaro (ha raggiunto infatti quota 6.1904 mercoledì scorso, la più alta dal 2005). Cresce, inoltre, il malessere cinese perché su tutto aleggia lo spettro dell’iper inflazione e il boom dei prezzi del mercato immobiliare.

In questa situazione macro e micro economica, gli investitori iniziano a chiedersi se la Cina meriti ancora di mantenere il suo elevato rating. La banca Svizzera Ubs ha declassato la crescita della Cina nel 2013 a 7,7 % dall’8%. La Bank of America-Merrill Lynch ha tagliato la crescita cinese agli inizi del mese al 7,6% contro un precedente 8%. Una crescita economica del 7,5%  per un continente di oltre 1,3 miliardi di persone, sarebbe comunque la più bassa in 23 anni. Un aiuto il Paese non potrà trovarlo nè dalla lenta crescita americana, nè dall’Europa in piena crisi, tantomento dal “momentaneo” rallentamento di Taiwan e Corea del Sud di maggio.

Nel primo quarto del 2013, il 67% delle grandi imprese ha disatteso le aspettative. Le aziende statali soffrono di più, ma anche grandi gruppi privati segnano il passo. Non ci sono soldi, come nel 2008, per garantire – dopo il contro-esodo di venti milioni di immigrati – un pacchetto di stimolo da 40 trilioni di yuan. Il problema centrale della Cina è quello di aver bisogno di governare meglio un’economia divenuta molto più grande e complessa di prima. Le previsioni su come si svilupperà nei prossimi anni sono peraltro molto incerte. Intanto la “nuova classe” di governo ha mostrato una forte volontà di apportare diverse novità. 

I consumi interni
La crescita della Cina è da sempre fondata e spinta dalle esportazioni e dagli investimenti, mentre il peso dei consumi sul PIL è stato sempre molto modesto, oscillando negli ultimi anni solo del 35%, secondo le cifre ufficiali. Già da tempo, diversi studi, sottolineavano come il peso delle esportazioni sulla crescita dell’economia fosse da considerare in declino a causa della crisi dei maggiori importatori (Europa e Stati Uniti). Tutti gli studi convergevano sulla necessità di mettere in campo politiche economiche necessarie a sviluppare i consumi interni.
I nuovi dati forniti dall’agenzia ufficiale Nuova Cina ci mostrano poi come il peso dei consumi interni sul PIL fosse superiore a quanto si pensasse. Studi pubblici e privati hanno dimostrato come il peso reale dei consumi interni sia intorno al 46% del PIL, con una tendenza alla crescita negli ultimi anni (The Economist, 2013). Altri parlano anche del 48%.

Sempre gli stessi studi smentiscono tutti coloro che giudicano eccessivo il livello degli investimenti. Sicuramente ci sono sprechi e corruzione, ma la Cina ha un enorme bisogno di infrastrutture per diventare un paese moderno. Inoltre gli investimenti sono carenti nei servizi: appaiono infatti particolarmente deboli i comparti della sanità, della finanza, dell’educazione.
Secondo uno studio cinese (Xu Qiyuan, 2013), la percentuale degli occupati nel settore si aggirerebbe intorno al 34% della forza lavoro totale, contro l’81% negli Stati Uniti.

L’aumento del reddito da lavoro

I consumi sono cresciuti e continuano a crescere grazie all’aumento degli occupati e alla crescita dei salari che da alcuni anni ha assunto ritmi molto sostenuti. Il forte aumento al momento non ha allontanato molti investitori esteri. Certamente la Cina non continuerà per molto ad essere l’eldorado di una vasta manodopera a buon mercato a causa di diversi fattori. La riduzione di manodopera poco qualificata tende infatti a ridursi fortemente per ragioni demografiche e per le aspettative da parte degli stessi lavoratori (soprattutto i giovani), in particolare nelle ricche aree costiere. In tal senso, il governo cinese sta realizzando una gigantesca dislocazione di insediamenti produttivi verso le aree interne, dove si trova ancora un’offerta di manodopera relativamente abbondante e a minor costo di quella delle regioni costiere.

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Carmine Tabarro

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