di Roberta Sciamplicotti
E’ quanto ha affermato questo lunedì l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, affrontando il tema della Pastorale per i Camionisti in Europa all’Incontro promosso dall’Association Européenne des Concessionnaires d’Autoroutes à Péage (ASECAP), in svolgimento a Innsbruck (Austria) sulla sicurezza stradale nel continente europeo.
La pastorale dei camionisti, ha ricordato il presule, è stata trattata per la prima volta cinquant’anni fa da Papa Pio XII, che la definiva “una causa missionaria molto piccola con una parrocchia molto vasta”.
Il 44% dei beni in Europa, del resto, è trasportato su strada, e si pensa che per il 2010 il numero dei camion sarà aumentato del 50% rispetto al 1988. Le ultime statistiche mostrano inoltre come in più di 40.000 incidenti annui sulle strade europee i camionisti siano responsabili solo nel 4% dei casi, anche se il tasso di mortalità tra di loro è del 16%.
Per la Chiesa, ha spiegato l’Arcivescovo, “la mobilità e i trasporti possono esprimere un collegamento globale nel contesto della famiglia umana che può promuovere lo scambio e la comprensione”.
Per questo motivo, è necessario prestare una particolare attenzione a quanti lavorano in questo settore, ricordando che “soprattutto quelli che compiono lunghi viaggi affrontano una vasta gamma di sfide e problemi che richiedono un approccio pastorale distinto e specifico”.
Queste difficoltà, ha osservato, sono essenzialmente di cinque tipi: “fisiche, personali, morali, sociali e spirituali”.
Dal punto di vista fisico, il mestiere del camionista è piuttosto duro, ha ricordato il presule: “bisogna percorrere lunghe distanze. A volte a ogni tappa ci sono il carico e lo scarico della merce. Spesso c’è una stanchezza che porta ad essere esausti. C’è la mancanza di esercizio, essendo confinati nel piccolo spazio della cabina, così come c’è esposizione a fumi e a inquinamento atmosferico”.
Questa situazione “può portare a problemi a livello mentale, con stress, solitudine e monotonia che possono condurre a vari gradi di isolamento e depressione”. Allo stesso modo, “eccessivi doveri e pressioni possono portare a rabbia e tensione che possono manifestarsi in una guida aggressiva e pericolosa”.
Altri pericoli sono rappresentati dagli assalti per rubare il carico e dalla mancanza di concentrazione, manifestata recentemente dal tentativo di un gruppo di camionisti francesi di ideare un modo per guidare e guardare la televisione allo stesso tempo. A volte, purtroppo, gli autotrasportatori entrano in giri di traffico di esseri umani o di contrabbando.
Riguardo alla questione sociale, l’Arcivescovo Marchetto ha ricordato che il mestiere del camionista provoca “isolamento, separazione dagli amici, dalla famiglia e dai figli, con l’incapacità di vivere una normale vita familiare”.
“A volte questa separazione può portare gli autotrasportatori a cercare partner sessuali altrove, provocando tensioni personali e matrimoniali”, ha rilevato, constatando che si può arrivare anche a cercare rifugio nella droga e/o nell’alcool. Spesso si può poi essere incapaci di condurre una vita normale “per la mancanza di coordinamento in ambienti linguistici e culturali diversi”.
Circa gli aspetti spirituali, il presule ha sottolineato come per le persone di fede ci sia “la necessità di avere accesso ai sacramenti, all’assistenza e alla preghiera”.
Da questo punto di vista, in Europa “non si naviga in acque del tutto inesplorate”, anche se “molto dipende dall’eredità spirituale e culturale del Paese, dalle risorse della Chiesa e dalla particolare visione di Vescovi, pastori e laici”.
Molti Paesi, ha ricordato l’Arcivescovo, hanno già dato vita a iniziative come “cappelle (fisse o mobili) lungo le autostrade, visite a strutture di servizio pastorale, liturgie celebrate nelle aree autostradali e nei parcheggi per i camion”.
“Il processo consiste soprattutto nel non creare una ‘Chiesa della strada’, con la celebrazione della Messa (se si desidera ed è possibile) distinta e del tutto separata, ma nell’aiutare la gente sulla strada a integrarsi nella vita generale della Chiesa”.
Un altro settore dell’assistenza pastorale è quella delle famiglie che restano a casa, “importante per salvaguardare i legami matrimoniali e familiari e per creare uno spazio di accoglienza dove l’autista possa tornare, riposare e trovare nutrimento umano, spirituale e mentale”.
Se molto è stato fatto con l’avvento dei telefoni cellulari e delle risorse tecnologiche, “si potrebbe fare di più dotando i bar sulle autostrade e i parcheggi per camion di connessioni Internet e dei mezzi per parlare e vedere attraverso il web”, constata.
Per questo, ha concluso l’Arcivescovo, è necessario trovare “nuovi modi di cooperazione e coordinamento, perché la strada possa essere un posto più sicuro in cui vivere e lavorare e dove la dignità di ogni persona umana sia la prima preoccupazione”.