Visita alla “fabbrica” di missionari per l'Africa in Camerun

L’Istituto San Giuseppe Mukasa forma religiosi di 14 congregazioni

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di Nieves San Martín

YAOUNDÉ, venerdì, 20 marzo 2009 (ZENIT.org).- In Camerun, i religiosi sono una forza che sostiene numerosi progetti educativi, sanitari e sociali. Una delle sfide è la formazione dei loro membri più giovani.

Per questo, 14 congregazioni religiose hanno unito le proprie forze per creare l’Istituto San Giuseppe Mukasa, aperto a giovani religiosi che vanno a studiare a Yaoundé da vari Paesi della regione centrale dell’Africa. Il nome dell’Istituto è quello di uno dei 22 martiri dell’Uganda, compagni di San Carlo Lwanga.

Per conoscere questa realtà ecclesiale in Camerun, ZENIT ha intervistato padre Krzysztof Zielenda, religioso polacco che dirige il centro accademico.

Padre Zielenda si considera appartenente alla generazione di sacerdoti polacchi che hanno sentito la chiamata vocazionale nei primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II. Nel suo paese, che non arrivava ai duemila abitanti, la domenica tutti andavano a Messa tranne due famiglie. C’era un ambiente cristiano in cui poteva fiorire la vocazione religiosa, spiega.

Ha studiato con gli Oblati di Maria Immacolata e in seguito è entrato in questa Congregazione, il cui centro di formazione a Yaoundé è il nucleo fondamentale intorno al quale è sorto l’attuale Istituto Mukasa.

Ci può raccontare com’è nato l’Istituto?

P. Zielenda: Prima che l’Università Cattolica iniziasse la sua attività, a Yaoundé erano già giunte molte Congregazioni religiose e volevano realizzare un progetto congiunto per la formazione delle vocazioni, che erano sempre più numerose alla fine degli anni Ottanta. Le strutture di formazione erano allora specificamente diocesane, perché qui c’era il Seminario Maggiore e a 50 chilometri di distanza un Seminario per vocazioni in età più avanzata.

I religiosi hanno creato in questa città prima una Scuola di Teologia, poi l’Istituto di Filosofia San Giuseppe Mukasa e infine l’Università Cattolica.

La domanda che ci siamo posti quando è nata questa Università era se i religiosi si dovessero integrare in essa o dovessero conservare la propria specificità. E abbiamo optato per la seconda ipotesi, perché all’Istituto, oltre a studi veramente seri di Filosofia, offriamo anche agli studenti la possibilità di una formazione umana integrale, spirituale e missionaria. E questo non avviene nell’Università Cattolica perché non è il suo obiettivo, mentre noi vogliamo davvero che sia una formazione per la vita religiosa missionaria.

Hanno dato vita all’Istituto cinque Congregazioni e subito se ne è aggiunta un’altra. Ora studiano in questo centro giovani religiosi di 14 Congregazioni. Abbiamo 186 studenti e il numero va aumentando. Questo incremento degli allievi si spiega non solo con la crescita delle vocazioni, ma anche con il fatto che ogni giorno si stabiliscono a Yaoundé nuove Congregazioni. Un altro motivo è che le Congregazioni tendono a unire gli studenti di vari Paesi in un unico luogo.

Ad esempio gli Oblati, che avevano tre istituti di Filosofia in luoghi distinti, hanno optato per averne uno solo, qui a Yaoundé, e anziché tre per la Teologia uno solo a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. Costa meno e offre ai giovani l’opportunità di formarsi in un ambiente internazionale. Questo è importante perché l’Africa è un continente in cui ci sono vocazioni e c’è la possibilità che la Chiesa universale abbia bisogno di vocazioni giunte dall’Africa. Per questo è molto importante che queste vocazioni si formino nell’interculturalità e nel dialogo.

Cosa può apportare l’Istituto Mukasa alla Chiesa locale del Camerun?

P. Zielenda: Non parlerò del ruolo dei religiosi nella Chiesa perché è già noto. Credo che noi religiosi possiamo testimoniare che è possibile che persone di culture diverse convivano in una società in cui è molto presente il tribalismo e c’è una Chiesa diocesana molto omogenea. Se 14 Congregazioni inviano i propri studenti allo stesso Istituto, e andiamo avanti da anni senza problemi, questa è già una testimonianza. Lo è anche il fatto che in questo centro siano presenti 15 nazionalità, che convivono serenamente.

Ad ogni modo, non è importante solo l’internazionalità. Siamo chiamati a dare una forte testimonianza di vita religiosa autentica, di obbedienza, povertà e celibato. Ciò che mi dà la forza di continuare a lavorare è la speranza che un giorno la Chiesa abbia bisogno in altri luoghi di questi giovani che stiamo preparando, perché le statistiche sono molto chiare: i missionari del domani sono qui. Anche se in Messico e in India aumentano le vocazioni, l’indice di crescita più alto è in Africa.

Attualmente ci sono 100 Congregazioni con sede a Yaoundé e tra queste una decina sono di fondazione africana. E tutte le fondazioni africane che ci sono in questa città sono già presenti in vari Paesi.

Perché a Yaoundé si è concentrata una gran quantità di Congregazioni internazionali?

P. Zielenda: A volte me lo sono chiesto e non ho trovato una risposta soddisfacente. Un motivo evidente è che Yaoundé già fin dall’inizio offriva le condizioni per questa formazione, dava garanzie di un buon livello di formazione perché c’erano molti noviziati e strutture di formazione per formatori.

Un’altra ragione è che il Paese è al centro dell’Africa e ogni Congregazione voleva avere una sede a Yaoundé per facilitare l’iter ufficiale perché l’ambiente di accoglienza ai religiosi era favorevole. Il Governo di questo Paese è pieno di ex seminaristi. Generalmente, quando la polizia ferma una macchina e chiede di che servizio è basta dire “Missione cattolica” perché la lascino proseguire.

La Chiesa cattolica gode di uno status speciale. Non si tratta di privilegi, ma di riconoscimento di tutte le opere sociali che ha fatto. C’erano quindi più agevolazioni che in altri Paesi per venire qui e potersi insediare e comprare un terreno. Il primo Arcivescovo di Yaoundé era un uomo molto aperto alla vita religiosa e ha sempre contribuito ad agevolare le cose.

Come si riflette tutta questa presenza religiosa nella città?

P. Zielenda: Quello che possiamo lamentare è che, nonostante questa presenza importante, Yaoundé non sia ancora autenticamente cristiana. San Paolo era un grande missionario e sapeva che bisognava iniziare l’evangelizzazione nelle grandi città perché la campagna segue le tradizioni, ma il luogo in cui si verificano i cambiamenti è la capitale.

Ad ogni modo, parlando della mia esperienza come missionario del nord, credo che ci siano più testimonianze di vita cristiana profonda al nord che a Yaoundé. Sarebbe un bene se fosse il contrario, perché come ho già detto la capitale influisce sul resto del Paese, ma qui arriva anche una serie di influenze della vita moderna che non facilita questo processo.

Quest’ultima è solo un’opinione personale e penso che, nonostante tutto, sia molto positivo essere missionario in Camerun.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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