di Inma Álvarez
LONDRA, giovedì, 26 marzo 2009 (ZENIT.org).- I Vescovi cattolici inglesi hanno messo in guardia contro l’emendamento proposto da un gruppo di deputati sul Coroners and Justice Bill, attualmente in discussione al Parlamento britannico, per depenalizzare in alcuni casi l’“assistenza al suicidio”.
La legge in discussione presuppone una riforma della Legge sul suicidio del 1961 e prevede l’inasprimento delle pene contro i siti Internet che promuovono o istigano al suicidio.
Martedì scorso, tuttavia, un gruppo di parlamentari guidati da Patricia Hewitt ha proposto un emendamento che, se venisse accettato, depenalizzerebbe il fatto di aiutare altre persone a recarsi all’estero per suicidarsi, per motivi di “compassione” e non per “malizia”.
La mozione è stata proposta dopo il caso di una coppia di Bath formata da due malati terminali di cancro che si sono recati nella clinica svizzera “Dignitas” per suicidarsi, dato che questa pratica è proibita in Inghilterra.
A questo proposito, monsignor Peter Smith, Arcivescovo di Cardiff e responsabile del Dipartimento per la Cittadinanza Cristiana della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles, ha scritto una nota pubblicata dal Times in cui esprime il rifiuto dei Vescovi di fronte a quello che ritengono una “legalizzazione mascherata dell’eutanasia”.
Il presule avverte dell’incoerenza che presupporrebbe da un lato inasprire le pene contro l’istigazione al suicidio e dall’altro depenalizzarlo, perché “rendere più semplice il suicidio assistito non equivale a promuoverlo?”.
“I difensori sostengono che c’è una differenza tra lo stimolo malevolo al suicidio e il favorirlo per motivi di compassione, tra i criminali che lo promuovono e i filantropi che aiutano ad alleviare le sofferenze, ma il mondo reale non è proprio così”, afferma.
L’Arcivescovo di Cardiff invita a considerare ciò che rappresenterebbe questa depenalizzazione, ad esempio, per “una persona gravemente malata o un genitore anziano, che si sente colpevole per le cure che impone a una famiglia pressata dalla recessione, o il parente ricco e malato che potrebbe essere sottilmente incoraggiato a lasciare questo mondo prima del previsto”.
“Persone come queste ascolterebbero i suggerimenti di un eminente difensore della legalizzazione dell’eutanasia, che sosterrebbe che si stanno spendendo male le risorse del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) e la vita di altri, e che dovrebbero chiedersi se hanno il dovere di morire”.
Da parte sua, la piattaforma Care not Killing</i>, composta da più di 50 associazioni di difesa dei diritti umani e degli handicappati e promotrici delle cure palliative, tra altri scopi, ha avvertito del pericolo che presuppone un’apertura legale al suicidio assistito.
Il suo presidente, il dottor Peter Saunders, afferma che l’attuale illegalità dell’assistenza al suicidio “ha un importante effetto deterrente” e che i casi di persone decise a togliersi la vita di fronte a una malattia sono “pochissimi” rispetto a quello che potrebbe accadere se l’emendamento venisse approvato.
“Non bisogna nascondersi le cose: questo emendamento non è altro che l’anticipo di una legge più generale sull’eutanasia. I suoi difensori non hanno affatto nascosto le proprie intenzioni. Visto che hanno constatato che il Parlamento diffida della legalizzazione dell’eutanasia, ora stanno cercando di ottenerla passando dalla porta sul retro”, avverte.
Care not Killing ha l’obiettivo di “promuovere cure palliative più numerose e migliori; garantire che le leggi in vigore contro l’eutanasia e il suicidio assistito non siano indebolite o derogate durante il periodo di vigenza dell’attuale Parlamento; informare l’opinione pubblica contro qualsiasi indebolimento della legge”.
Ne fanno parte, tra le altre entità, la Conferenza dei Vescovi Cattolici di Inghilterra e Galles, la Chiesa d’Inghilterra, l’Associazione di Medicina Palliativa, il Consiglio delle Persone Portatrici di Handicap del Regno Unito, RADAR, la Christian Medical Fellowship e la Medical Ethics Alliance.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]