di Roberta Sciamplicotti
ROMA, mercoledì, 20 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il traffico di esseri umani è “una tremenda offesa alla dignità umana”, ha affermato l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenendo questo mercoledì a Roma al Convegno dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII sul tema “Sulla dignità non si TRATTA”.
Il presule ha sottolineato che questo fenomeno è “uno dei più vergognosi della nostra epoca”, constatando come spesso “la povertà e la mancanza di opportunità e di coesione sociale” spingano le persone a ricercare un futuro migliore nonostante i rischi, “rendendole estremamente vulnerabili a questo traffico”.
Attualmente vari fattori contribuiscono alla sua diffusione, ha rilevato, citando “l’assenza di norme specifiche in alcuni Paesi, l’ignoranza dei propri diritti da parte delle vittime, la struttura socio-culturale e i conflitti armati”, così come “il restringimento attuale per i migranti dell’accesso regolare ai Paesi sviluppati”.
Il dicastero di cui è Segretario, ha ricordato monsignor Marchetto, ha tra i suoi obiettivi anche quello di monitorare la questione delle vittime del traffico di esseri umani, “considerate una delle categorie di schiavi dei tempi moderni”.
Un problema di non facile soluzione
Riconoscendo che “non esistono soluzioni facili”, monsignor Marchetto ha affermato che “affrontare questi particolari abusi dei diritti umani richiede un approccio coerente e integrale”, considerando “non solo il migliore interesse delle vittime, ma anche la giusta punizione per quanti ne traggono vantaggio e l’introduzione di misure preventive volte, da una parte, ad aumentare la consapevolezza e la sensibilità e, dall’altra, ad affrontare le cause di questo fenomeno”.
Per il presule, tale approccio dovrebbe anche promuovere l’integrazione delle vittime nella società che le accoglie, “in particolare di quante collaborano con le autorità contro i trafficanti, il che include assistenza sanitaria e consulenza psico-sociale, soluzioni abitative, permessi di soggiorno e possibilità d’impiego”.
Allo stesso modo bisogna considerare “il ritorno nel Paese d’origine, che può essere accompagnato dalla proposta di micro progetti e/o di prestiti, assicurando in tal modo che le vittime non ritornino nello stesso ambiente pericoloso senza risorse”.
Il presule ha anche proposto l’introduzione di “misure per la creazione di schemi di compensazione che potrebbero essere finanziati dalla confisca dei profitti e dei beni che i trafficanti hanno ottenuto con le attività criminali”.
Un fenomeno sfaccettato
Il traffico di esseri umani, ha ricordato il Segretario del dicastero vaticano, è “un problema pluridimensionale, sovente legato alla migrazione, ma va ben al di là dell’industria del sesso, comprendendo anche il lavoro forzato di uomini, donne e bambini in vari settori industriali, comprendendo pure l’edilizia, i ristoranti e gli alberghi, l’agricoltura e il servizio domestico”.
“Se da una parte il lavoro forzato è collegato alla discriminazione e povertà, agli usi locali, alla mancanza di terra e all’analfabetismo della vittima, dall’altra ha un nesso con il lavoro flessibile e a buon mercato, da cui spesso derivano bassi prezzi al consumo, rendendo la cosa allettante per i datori di lavoro”.
Le varie forme di traffico richiedono misure e approcci distinti, volti a ridare dignità alle vittime, ha dichiarato, denunciando che anche se la comunità internazionale ha adottato nel 2000 il Protocollo per prevenire, reprimere e punire il traffico degli esseri umani, soprattutto di donne e bambini, la sua applicazione a livello nazionale è stata assai varia a seconda del tipo di approccio alla questione adottato da ogni Stato, approccio che va dal “criminale” al migratorio o legato ai diritti umani.
Pur se molti Paesi consentono alle vittime dello sfruttamento sessuale conseguente al traffico di esseri umani di restarvi per il periodo necessario alle indagini contro i trafficanti, ha ricordato, una volta terminati gli accertamenti giudiziari in genere avviene il rimpatrio, “con o senza un relativo ‘pacchetto’ di sostegno”.
“Solo in pochi Paesi esistono misure volte ad assicurare la protezione di queste vittime, dando loro la possibilità di rimanere nella società ospitante e di integrarvisi, almeno a certe condizioni”.
Il tentativo di prevenire il traffico di esseri umani attraverso politiche d’immigrazione più severe è “un approccio ristretto e limitato”, ha proseguito il presule, sottolineando la necessità di affrontare invece “le vere cause del fenomeno” perché, “fin quando le vittime che sono rimpatriate si ritrovano nelle stesse condizioni da cui hanno cercato scampo, il traffico non si interromperà facilmente”.
Per questo motivo, ha concluso, le iniziative anti-traffico devono mirare anche a sviluppare e a offrire “possibilità concrete di sfuggire appunto al ciclo povertà-abuso-sfruttamento”.