di Carmen Elena Villa
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 15 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Molti sono i commenti suscitati dal libro pubblicato dal postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II “Perché è santo” (Rizzoli), soprattutto in riferimento alla penitenza corporale.
Dal volume, scritto a quattro mani dal sacerdote polacco Slawomir Oder e dal giornalista Saverio Gaeta, caporedattore del settimanale “Famiglia Cristiana”, emergono alcune rivelazioni sulla vita di Karol Wojtyła.
“Perché è santo” si divide in tre capitoli: “L’uomo”, che condivide i suoi tratti più umani; “Il Papa”, che sottolinea i momenti più importanti del suo pontificato; “Il mistico”, che rimarca la sua intensa vita spirituale e il suo amore per l’Eucaristia e la Vergine Maria.
Vari mezzi di comunicazione, commentando il libro, si sono concentrati fondamentalmente su tre temi: il primo è la presunta flagellazione di Wojtyła; il secondo è una lettera scritta nel 1994 in cui il Pontefice afferma che avrebbe potuto rinunciare alla sua missione in caso di “infermità incurabile” o di un impedimento a “esercitare (sufficientemente) le funzioni del ministero petrino”; il terzo è una lettera aperta indirizzata all’uomo che attentò alla sua vita nel 1981, Alí Agca.
Per spiegare questi temi, ZENIT ha parlato con il prefetto emerito della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, il Cardinale José Saraiva Martins, che ha partecipato alla presentazione del libro.
La flagellazione
In una delle ultime pagine del libro c’è un paragrafo che indica che, secondo alcuni testimoni consultati dal postulatore, Papa Giovanni Paolo II “si flagellava”, un fatto che continua ad essere ipotetico visto che finora nessuno ha testimoniato di avervi assistito.
“Nel suo armadio, in mezzo alle tonache, era appesa sull’attaccapanni una particolare cintura per i pantaloni, che lui utilizzava come frusta e che faceva portare sempre anche a Castel Gandolfo”, si legge in “Perché è santo”. L’autore non offre ulteriori dettagli. E’ questa l’unica descrizione del tema nelle 192 pagine del libro.
Alcuni giornalisti hanno detto che la presunta flagellazione di Giovanni Paolo II potrebbe arrestare il processo di beatificazione, altri hanno dichiarato che le rigorose penitenze del Papa erano conseguenza di uno “squilibrio mentale”.
Di fronte a queste affermazioni, il Cardinal Saraiva ha spiegato a ZENIT che la flagellazione “non è altro che l’espressione più bella dello spirito cristiano, della fede vissuta di quella persona, che vuole assomigliare a Cristo che è stato flagellato”.
Per raggiungere la santità è quindi necessario questo tipo di pratiche? Il porporato risponde che il santo deve “flagellarsi spiritualmente”, cioè avere sempre uno spirito di penitenza e sacrificio, saper offrire il dolore fisico e spirituale.
“La santità è chiaro che presuppone un grande eroismo nella vita, presuppone molte rinunce, una forza di volontà straordinaria per poter imitare Cristo, vivere la vita secondo i principi del Vangelo. Presuppone grande coraggio. Richiede una preparazione spirituale, di rinunciare a tante cose”, ha spiegato.
Il Cardinale sottolinea che nel caso dei santi che si sono sottoposti volontariamente a una penitenza rigorosa queste pratiche non hanno avuto nulla a che vedere con lo squilibrio psicologico: “I santi sono soprattutto persone normalissime, altrimenti non potrebbero diventare santi. Ci sono molti santi che facevano delle penitenze, è un modo per dominare il proprio corpo, quindi non ha niente a che fare con la psicologia”.
Tra la rinuncia e il perdono del terrorista
In uno dei sottotitoli del capitolo dedicato a “Il Papa”, mons. Oder dice che “nella Chiesa non c’è posto per un Papa emerito”. In questa parte del testo racconta quanto Giovanni Paolo II era solito ripetere: e cioè che se avesse lasciato il pontificato sarebbe stato solo per volontà di Dio.
“Ora non voglio essere io a porre termine a questo compito. Il Signore mi ha portato qui: lascio a Lui giudicare e disporre quando questo servizio debba terminare”, diceva il Pontefice secondo quanto riporta il testo.
Il libro presenta una lettera, finora inedita, scritta da Giovanni Paolo II nel 1994, quando stava per compiere 75 anni, età alla quale i Vescovi e i Cardinali devono presentare la rinuncia, in cui prendeva in esame la possibilità di dimettersi dall’incarico in caso di estremo impedimento fisico e mentale, ma sempre in sintonia con la volontà di Dio.
Su questo tema il Cardinal Saraiva dice che il libro non presenta “niente di nuovo”. Si tratta solamente di “seguire le disposizioni di Paolo VI”, che disse che non avrebbe potuto abbandonare il suo incarico a meno che non avesse sofferto di una “infermità inguaribile” che gli impedisse a livello fisico e psicologico di portare avanti questa responsabilità. In questo caso, il Papa avrebbe dovuto rinunciare davanti al Collegio Cardinalizio.
Quanto alla lettera aperta ad Alí Agca, che appare nel libro datata 11 settembre 1981, il porporato ha detto che ciò che vi è scritto è “quello che tutti già sappiamo. Il Papa lo ha perdonato, anche se lui non gli ha chiesto perdono”.
Che cosa significa venerabile?
Il Cardinale afferma che il libro pubblicato recentemente non ha motivo di ritardare o accelerare il processo di beatificazione del Pontefice, visto che il 19 dicembre scorso la Santa Sede ha pubblicato il decreto sull’eroicità delle sue virtù. Da quel momento, Giovanni Paolo II ha iniziato a ricevere il titolo di venerabile.
“La Congregazione per le Cause dei Santi, quando arriva la documentazione del candidato agli altari, la prima cosa che fa è studiare il modo in cui ha vissuto le virtù cristiane”, ha osservato.
“Non in modo comune, non una santità ordinaria, ma veramente in grado eroico. L’eroicità è ciò che lo distingue dagli altri cristiani”. Per questo, l’unica cosa che manca perché Giovanni Paolo II diventi beato è la prova di un miracolo realizzato per sua intercessione e che sia inspiegabile per la scienza.
Imprudenza dell’autore?
In ogni processo di beatificazione, l’opera del postulatore deve consistere nel raccogliere testimonianze e informazioni che provino la santità del candidato. Nel processo la sua opinione non conta. Tutto viene studiato solo dalla Congregazione per le Cause dei Santi.
Sapendo che il postulatore deve essere una persona neutrale, non è imprudente che pubblichi un libro intitolato proprio “Perché è santo” quando il candidato agli altari non è stato ancora neanche beatificato?
Il prefetto emerito ha dichiarato che il postulatore “può dire ciò che vuole” a titolo personale, e che questo libro “non c’entra niente con il processo in se stesso”, cioè non lo accelera né lo ferma.
Il titolo del testo, sottolinea, risponde piuttosto al clamore della gente, che fin dal momento della morte di Giovanni Paolo II è scesa in strada con striscioni che dicevano “santo subito”.