di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 19 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane’. Gesù gli rispose: ‘Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo’. Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: ‘Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do’ a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo’. Gesù gli rispose: ‘Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto’. Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio gettati giù di qui; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinchè essi ti custodiscano; e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra’. Gesù gli rispose: ‘E’ stato detto: Non metterai alla prova il Signore tuo Dio’. Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4,1-13).
“La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo”: il Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2010, si può riassumere con le parole dell’evangelista Giovanni: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Si tratta dell’abbondanza infinita della vita di Dio, che l’uomo aveva già ricevuto in dono e conservata fino al giorno della sua disobbedienza originale.
In principio, infatti, Dio ha creato l’uomo nella libertà dell’amore e nell’innocenza della vita, colmandolo di gioia per la comunione con Lui; ma poi,“per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap. 2,24).
Appartengono alla morte tutti coloro che liberamente scelgono il peccato, vivendo come se il Dio della vita non ci fosse, e, di conseguenza, non riconoscendo nemmeno l’inviolabile divina dignità dei loro fratelli. E’ questa l’ingiustizia diabolica che ha portato Caino ad uccidere il fratello Abele e, oggi, spinge l’uomo a congiurare contro la vita come mai ha fatto da quel primo omicidio.
Ma Dio, Fonte della Vita, “al momento fissato” ha mandato il Suo Figlio, che è la Vita in Persona, a riconciliare gli uomini con Sé per mezzo della Croce, strumento tremendo e meraviglioso della “giustizia” del Padre. Tale giustizia è perciò l’opera del suo amore misericordioso, che in Cristo ci ha resi figli della Vita, partecipi della sua divina abbondanza.
Gesù ha così rivelato il principio e il fondamento dell’inviolabile dignità di ogni uomo, già presente tutta intera fin dal primo istante del concepimento, quando non è ancora sviluppata la personalità: non riconoscere da questo istante tale dignità costituisce la più grave e deleteria delle ingiustizie.
Lo ha implicitamente affermato lo stesso Benedetto XVI, il 13 febbraio scorso davanti all’Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita, ribadendo che la dignità della persona è “un principio fondamentale, che la fede in Gesù Cristo Crocifisso e Risorto ha da sempre difeso, soprattutto quando viene disatteso nei confronti dei soggetti più semplici e indifesi: Dio ama ciascun essere umano in modo unico e profondo.(…) Quando si invoca il rispetto per la dignità della persona è fondamentale che esso sia pieno, totale e senza vincoli, tranne quelli del riconoscere di trovarsi sempre dinanzi a una vita umana”.
Il Vangelo di questa I Domenica di Quaresima getta un fascio di luce divina nell’abisso del peccato contro la vita, anzitutto mostrandoci la strategia subdola e menzognera del diavolo, l’avversario e distruttore principale della vita umana. Luca descrive il Signore, apparentemente in balìa fisica del diavolo, impegnato a combattere con la sola forza della Parola per non “entrare” nella tentazione che satana Gli presenta di volta in volta: non solo in ognuna delle tre descritte dall’evangelista, ma in “ogni tentazione” (Lc 4,13).
Come va inteso questo “ogni”? La risposta comincia ad affiorare se ricordiamo un testo fondamentale del Concilio Vaticano II: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo” (Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, n. 22). In forza di questa comunione ontologica con l’umanità di ogni individuo assunta dal Verbo nell’incarnazione, Gesù ha potuto e ha dovuto sperimentare l’ambito totale della fragilità della nostra carne, per poterla sanare radicalmente in tutti gli uomini.
Perciò era giusto che Egli fosse tentato in tutto, come noi peccatori. Questo “tutto” non si riferisce però alle singole, innumerevoli occasioni di peccato, ma al peccato come movente, desiderio, come fame di sè.
Pensiamo all’ambito attuale, gravissimo, del peccato contro la vita: ad esempio una donna che si ritrovi suo malgrado incinta, tra grandi difficoltà e lasciata “nel deserto” di una angosciante solitudine a dover decidere se tenere il bambino o no, mentre amiche, servizi sociali e perfino i genitori la spingono ad abortire. Ebbene, questa terribile tentazione Gesù l’ha combattuta? l’ha vinta? Oppure: Lui che aveva il potere di risuscitare i morti, in che modo si è misurato con la perversa tentazione di decidere sulla vita e sulla morte di un uomo? E ancora: Gesù, Autore della vita e figlio di un miracolo nel grembo, ha conosciuto la tentazione essenzialmente diabolica del figlio ad ogni costo (fecondazione artificiale)?
Queste domande, volutamente provocanti, anzitutto ci conducono ad affermare che la Bibbia non va presa alla lettera, perciò: “Tutto ciò è mistero,…non possiamo penetrarlo a fondo e la confessione di questa impotenza deve restare al di sopra di tutto quanto è possibile dire sull’esistenza di Gesù” (R. Guardini, “Il Signore”, cap. 5).
Detto questo, dobbiamo tuttavia credere che realmente non è esistita, non esiste e non esisterà mai tentazione alcuna, di uomo o donna, che l’umanità di Gesù non abbia dovuto combattere e vincere nei quaranta giorni di prova nel deserto (il numero 40 è simbolico e significa la pienezza di un periodo corrispondente all’arco della vita).
Egli infatti non è stato sottoposto a tre tentazioni di seguito, ma all’unica e triplice radice che sta alla base di ogni tentazione umana (la miriade dei rami è generata tutta da questo tronco trigemino): “la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita” (1 Gv 2,16).
Commenta al riguardo s. Agostino: “Ecco, dunque, le tre concupiscenze: ogni cupidigia umana è causata dalla concupiscenza della carne, dalla concupiscenza degli occhi o dalla superbia terrena. Il Signore stesso fu tentato dal diavolo su queste tre concupiscenze” (“Commento alla Prima lettera di Giovanni” II,14).
Il tronco iniquo e ben piantato di cui parlo è la “legge di gravità” del peccato originale: quella tendenza egocentrica che è l’amore egoistico di sé, una sorta di bocca sempre spalancata dell’io affamato di piacere e gratificazione, vero e proprio istinto originale che si innesta psicologicamente sulla paura della morte (Sap 1,16-2,24). Ascoltiamo, allora, la Parola del Vangelo che ci libera da questa legge maligna e conf
rontiamola con il testo di 1Gv 2,16.
“Se sei il Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane” (Lc 4,3): corrisponde alla “concupiscenza della carne”, cioè il comportamento di chi vuole unicamente soddisfare le proprie esigenze e così trasforma il suo desiderio in bisogno impellente, in “voracità” dell’io-carne.
“Gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: ‘Ti darò tutto il loro potere e la loro gloria…’” (Lc 4,5-6): corrisponde alla “concupiscenza degli occhi”, quella stimolata dalla sensualità e alimentata dai media e dalla pubblicità, vera e propria droga (internet può diventarlo) che spinge irresistibilmente la volontà alla ricerca del piacere, e, più comunemente, fa del benessere materiale e psicofisico il criterio del vivere, abolendo totalmente l’idea della rinuncia e del sacrificio come educazione necessaria al vero bene, personale e comune.
“Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui…” (Lc 4,9): corrisponde alla “superbia della vita”, l’ostentazione di una sicurezza morale falsa e menzognera, la pretesa vertiginosa di decidere da sé ciò che è bene e ciò che è male misurando tutto l’ambito morale con il metro assoluto della propria coscienza, tanto certa quanto erronea perché svincolata dalla legge eterna naturale inscritta dal Creatore in ogni uomo.
Tutto ciò equivale a dire che nel deserto, in quei quaranta giorni, in Gesù e con Gesù era presente ogni essere umano, concretamente tentato nella sua nativa e storica fragilità, in forza della comune natura umana assunta dal Figlio di Dio incarnato. In Lui ogni tentazione, e in particolare quella contro la vita nel grembo, è destinata a venir meno, ad esaurirsi, per la forza vittoriosa della Parola, e di questa Parola che oggi è annunziata “nel deserto”: “Lo libererò, perché a me si è legato, lo porrò al sicuro perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e gli darò risposta; nell’angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso” (Salmo 91/90, v.15).
———-
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.