I limiti dei media di fronte alla realtà dell'immigrazione

di Chiara Santomiero

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ROMA, giovedì, 15 luglio 2010 (ZENIT.org).- Una specifica formazione per garantire una adeguata informazione che offra una visione il più possibile corretta della realtà dell’immigrazione: si è parlato di questo nella giornata di studi “Media e immigrazione: informazione, rappresentazione e linguaggio” proposta dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Associazione stampa romana e all’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi) del Lazio e tenutasi a Roma lo scorso 6 luglio.

Al centro dell’incontro la ricerca “Media e immigrazione”, uno studio svolto dalla Carta di Roma – il protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti varato dalla Federazione nazionale della stampa italiana nel 2008 – che evidenzia come, nell’ultimo anno, su 5684 servizi sugli immigrati solo 26 non risultano legati al problema della sicurezza.

“La risposta più tipica nel descrivere il fenomeno dell’immigrazione – ha affermato Mario Morcellini, docente presso l’Università “La Sapienza di Roma” – che è un tema sensibile per tutte le società industriali moderne e quindi esige razionalità e dati, è, invece, ancora quella riduttiva e manipolatoria dell’emergenza”.

Mentre “l’immigrazione non è più congiunturale ed esistono tutte le possibilità identitarie e culturali per gestirla”, accade che “il binomio sicurezza/immigrazione continua a dominare i contenuti del dibattito politico e del palcoscenico mediale”. Il nesso tra “stereotipi e pigrizie narrative”, secondo Morcellini “finisce per determinare un’equivoca rappresentazione dell’altro come minaccia incombente sulla nostra cultura e sulla nostra vita”.

Diverse indagini dimostrano che “i media moltiplicano i migranti, creando un’asimmetria tra l’esperienza reale e quella simbolica” e contribuiscono così a creare “un atteggiamento di diffidenza che non aiuta il superamento dei conflitti né la soluzione dei problemi che l’immigrazione stessa pone”.

Per questo motivo “non stupisce il sorgere di atteggiamenti di una certa chiusura verso l’altro anche in un paese come l’Italia, luogo di incontro nel tempo tra persone provenienti da paesi diversi per sua stessa storia e tradizione culturale”.

Nel trattamento del tema dell’immigrazione da parte dei media diventa indispensabile, secondo Morcellini “formulare con chiarezza ipotesi e spiegazioni, prendendo in considerazione i problemi sociali alla base dei fatti” così come “spostare il focus sugli articoli che descrivono in termini positivi il fenomeno, con attenzione alle buone pratiche e dando spazio al fenomeno dei media gestiti dai migranti”.

Molta attenzione al piano del linguaggio

“Negli ultimi anni – ha sottolineato Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio – alla parola ‘extracomunitari’, tecnicamente corretta ma che comunicava un senso di estraneità alla comunità nazionale, se ne sono aggiunte altre: immigrati, rifugiati, profughi, clandestini, richiedenti asilo, stranieri, nuovi cittadini”.

Progressivamente, però “si è ridotta a una soltanto, in qualunque circostanza: ‘clandestini”. E’ questa una parola che “comunica allarme sociale e che dà il senso di un ingresso nascosto, di una vita nascosta, di un mondo senza volto che può diventare minaccioso da un momento all’altro”.

Questo anche quando “come nel caso degli sbarchi a Lampedusa è dimostrato che circa il 70% proviene da paesi in guerra o colpiti da gravi emergenze e persecuzioni, molti sono i bambini e circa il 50% è costituito di autentici profughi e richiedenti asilo le cui domande vengono accolte in questa percentuale”.

“E’ tempo di un’inversione di tendenza – ha affermato Marazziti –. Occorre una politica della comunicazione che aiuti e non ostacoli i processi di integrazione, che aiuti a ridimensionare l’allarme sociale e a creare ponti di simpatia di conoscenza”. “In una società – ha sottolineato il portavoce della Comunità di Sant’Egidio – che già di suo fatica a conservare coesione sociale e obiettivi comuni”.

“Esistono oggi dei limiti culturali e professionali nell’esercizio del mestiere di giornalista – ha affermato Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa – che non possono essere imputati a nessun tipo di pressione esterna”. Nella prospettiva di una professionalità più rigorosa e attenta, la Carta di Roma “è un testo che richiede a tutti i giornalisti, nel trattare il tema dell’immigrazione, il rispetto della verità sostanziale dei fatti e di svolgere con scrupolo il proprio mestiere”.

Un ruolo importante viene giocato, allora, dalla formazione. “Se il problema è culturale e professionale – ha proseguito Natale – occorre studiare e per questo la Carta di Roma è stata inserita negli aspetti deontologici della professione giornalistica su cui prepararsi per l’esame da professionista”. Si sta lavorando, inoltre, “sull’ipotesi di seminari di formazione ad hoc per quanti nelle redazioni affrontano il fenomeno dell’immigrazione”.

“Corriamo il rischio – ha concluso Natale – di uno svuotamento dei contenuti della nostra informazione e il tema dell’immigrazione è un misuratore di questo rischio”.

D’accordo Andrea Melodia, presidente dell’Unione cattolica stampa italiana: “l’unica vera risposta ad una certa pigrizia e sciatteria dei giornalisti nel trattare il fenomeno dell’immigrazione è l’aggiornamento professionale obbligatorio a cura dell’Ordine dei giornalisti”.

“L’immigrazione – ha concluso Melodia – è il tema del secolo e subisce invece un trattamento segnato da limiti professionali e questioni di politica interna: si costruisce la figura del ‘nemico’ quando bisogna, invece, lavorare a ricostruire l’identità di tutta la nostra società”.

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ZENIT Staff

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