Quando il moralismo politico mette la sordina ai valori della vita

ROMA, venerdì, 14 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’editoriale di Claudio Gentili, Direttore della Rivista di studi e ricerche sulla dottrina sociale della Chiesa, “La Società”, sul tema “Dopo la Settimana Sociale” (n 6-2011, www.fondazionetoniolo.it/lasocieta).

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La 46° Settimana Sociale di Reggio Calabria (14-17 otttobre 2010) è stata un grande evento ecclesiale.

Tra le ragioni del successo l’eccellente organizzazione, il luogo scelto (il Mezzogiorno, che ha manifestato la sua vitalità ecclesiale), la significativa presenza di giovani e di movimenti ecclesiali, l’essere stata un momento comune di discernimento sociale, l’aver scritto una pagina nuova rispetto alla litigiosità e al pessimismo dilagante oggi in Italia, l’essersi conclusa con l’elaborazione di una agenda sociale come “cantiere aperto” (che spetta ai cattolici incarnare nei territori).

Dove si può migliorare?

Innanzitutto scegliendo in futuro temi più circoscritti (quello della agenda sociale e suggestivo ma forse di eccessiva vastità).

In secondo luogo migliorando il modello seguito nei gruppi i lavoro (che hanno registrato una quantità davvero imponente di diagnosi senza avere il tempo talora per definire in modo rigoroso linee propositive e prognosi efficaci).

In terzo luogo, sempre nel lavoro dei gruppi, si potrebbe superare un atteggiamento di critica generica e di denuncia e optare per l’individuazione di soluzioni pragmatiche, perfettibili e condivise.

Tutto questo perché le Settimane Sociali assumano sempre più rilievo, risonanza, efficacia e siano sempre più un laboratorio di pensiero sociale e di proposte concrete per le riforme possibili in una prospettiva di bene comune, come e’ accaduto sovente nella loro centenaria storia.

I due punti cardine delle intense giornate di Reggio Calabria sono un nuovo fondamento antropologico dell’impegno sociale e un vivo desiderio (specie dei giovani) di azione sociale e di concretezza.

Sarebbe grave separare questi due aspetti.

La 46ma Settimana sociale insomma sta nel mezzo tra la straordinaria lectio magistralis del Cardinale Bagnasco (pensiero sociale) e le esperienza dei partecipanti, espresse sia nelle tavole rotonde che nei gruppi di lavoro (azione sociale).

Alle volte molti generosi laici cattolici credono che quello che conta siano in fondo solo le opere e ritiene superflua ogni riflessione culturale.

Illusi!

Un cattolico non ha fede nelle opere.

Ma certamente non è inerte.

Se si spende per gli altri, se realizza opere sociali sa che sta realizzando le opere della fede.

E di queste opere sociali a Reggio Calabria abbiamo avuto un panorama davvero straordinario.

Il cuore della 46° Settimana sociale è stato la proposta di un pensiero sociale radicato in una antropologia adeguata come fondamento della azione sociale dei cattolici.

Da dove parte questa nuova visione (che sintetizza il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI)?

Dalla messa in discussione del modello del cosiddetto moralismo politico (un modello che si risolve tutto nella contrapposizione e nella denuncia, che ritiene sommamente importante stigmatizzare i comportamenti privati dei leader politici, ma e’ pronto a venire a patti sui valori non negoziabili, come e’ accaduto qualche anno fa nel caso dei i Pacs e dei Dico).

Il moralismo politico esalta i valori della legalità ma mette la sordina ai valori della vita, in nome dell’esigenza della loro negoziabilità

Tale modello, con forti caratteri giacobini, si basa su una idea di superiorità morale ereditata dalla tradizione prima dossettiana e poi berlingueriana, punta a mettere in primo piano la immodificabilità sacrale della Costituzione (ultimo baluardo contro i nuovi barbari del berlusconismo e del leghismo), i temi della giustizia sociale, del precariato, della lotta alla corruzione politica, il tutto condito da una visione keynesiana dell’uso della spesa pubblica per creare lavoro.

Questa visione, dopo il crollo della DC, ha avuto dagli anni Novanta a oggi un grande ascendente su una parte significativa dell’intellighenzia cattolica.

A questa visione si e’ contrapposta una visione – altrettanto discutibile – che mette in discussione i valori dell’unita’ nazionale e il solidarismo esaltando l’individualismo e il consumismo, e chiudendo un occhio (e certe volte tutti e due) sui comportamenti privai e sulla moralità dei leader politici.

Questa due visioni hanno portato a una bipolarizzazione dell’opinione pubblica cattolica e alla diffusione di modelli parziali che non favoriscono una maturazione condivisa della causa cattolica.

Uno dei terreni di maggiore scontro tra queste due visioni e’ il federalismo.

A Reggio se ne e’ parlato senza concessioni alle retoriche meridionaliste, come ha con forza sottolineato Savagnone.

In un recente saggio un acuto analista dei fenomeni sociali, Luca Ricolfi, ha introdotto quattro concetti-chiave su cui articolare un federalismo correttamente inteso intorno allo scottante temi della spesa pubblica e dei costi standard: il concetto di parassitismo netto, che permette di misurare il grado di dipendenza di un territorio dalla spesa pubblica corrente; il concetto di reddito comandato, che permette di valutare il grado di esosità del fisco; il concetto di spreco, che permette di valutare la dissipazione delle risorse pubbliche e l’output effettivo della P.A.; e infine il concetto di potere di acquisto locale, che permette di confrontare i consumi effettivi di territori caratterizzati da differenti livelli di prezzi.

Lo stato di divario crescente Nord-Sud non può protrarsi senza produrre conseguenze devastanti. Un federalismo solidale, mi pare questa la conclusione che si può trarre, richiama sia il Nord che il Sud e le loro classi dirigenti a praticare la virtù della responsabilità e richiede un profondo rinnovamento nella direzione del bene comune.

Questo del federalismo e’ solo un esempio scelto tra i tanti temi, dal lavoro all’impresa, all’educazione, alla famiglia, alla crisi istiuzionale e all’urgenza di una nuova legge elettorale che ci hanno appassionato nella 46ma Settimana Sociale.

A Reggio le relazioni di base hanno offerto un quadro di riferimento per un pensiero sociale sinfonico (cioè non divisivo ma universale).

Vi e’ un idea di fondo dietro questa nuova visione: l’etica della vita fonda l’etica sociale. Il vero sviluppo insomma, ha un centro vitale e propulsore, l’apertura alla vita. Quando una società (come accade oggi in Europa) si incammina verso la negazione della vita (aborto, negazione della differenza sessuale in nome dell’indifferenza, rifiuto della famiglia ecologica fondata sul matrimonio, teorie del gender, fecondazione artificiale, clonazione, eutanasia) “finisce – come leggiamo al n. 28 della Caritas in Veritate – per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche le altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono.”

I valori nativi e essenziali, come li definiva Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae (a tutti gli effetti una enciclica sociale che si fonda sulla questione antropologica) i valori che non possono essere negoziati, cioè barattati, (la vita, il matrimonio tra un uomo e una donna, la famiglia, la libertà religiosa e educativa), sono valori sociali, valori su cui si impianta ed e’ garantito ogni altro valore declinato sul piano sociale e politico (dalla pace alla giustizia sociale, dal lavoro alla casa, dalla custodia del creato, alla tutela dei diritti degli immigrati, dalla lotta contro l’emarginazione all’impegno per la legalità).

Staccati dalla tutela della vita questi valori inaridiscono e perdono senso.

E specularmente, accogliere la vita e’ sostenere i deboli.

A taluno sembra che i valori non negoziabili ci dividano non solo tra di noi cattolici, ma anche da chi e’ lontano dalla Chiesa, mentre la carità ci unisce tra di noi e ci rende simpatici al mondo laico.

Questo, a
pensarci bene, e’ vero solo superficialmente. In profondità esiste nel popolo italiano un humus che si ispira alla sacralità della vita e che ci unisce tutti nel difendere i valori veri e autentici che ci rendono uomini.

Questi valori non vanno declinati in modo parziale.

Non possiamo insomma accontentarci di vedere sostituita dopo gli anni Novanta, all’unita’ politica dei cattolici, la unità bioetica.

Se l’etica della vita e’ fondativa (ma non sostituisce) l’etica sociale, allora occorre superare la sindrome della bipolarizzazione dei cattolici e trovare forme di unità a livello sociale e politico.

Forme di unità che trovano un riferimento nella agenda sociale.

Come l’agenda di Malines prima e quella di Camaldoli poi hanno incarnato il Vangelo in programmi di riforma sociale che hanno visto i cattolici protagonisti di stagioni nobili delle vita politica, anche oggi possiamo e dobbiamo preparare una nuova stagione.

Una stagione in cui i cattolici, nella vita politica e sociale della nostra amata Italia non si riducano al ruolo residuale degli spettatori o delle forze di complemento dei due maggiori schieramenti politici.

Un pensiero sociale sinfonico la smette di dividersi sui valori, ma li assume nello loro interezza, e si basa su questa chiara percezione del fatto che la questione sociale oggi e’ radicalmente diventa questione antropologica.

Nella visione alta del Magistero di Benedetto XVI i cattolici hanno un compito e un ruolo: mettere insieme fede e ragione.

Correggere e illuminare con la fede la ragione. E accettare serenamente che la ragione ci liberi da fenomeni come il settarismo e il fondamentalismo religioso, che costituiscono una manifestazione di deficit di razionalità.

La lectio magistralis del Cardinale Bagnasco è stata sotto questo profilo un punto fermo, a cui dovremmo riferirci tutti, meditandola in profondità, (senza archiviarla troppo frettolosamante), in uno sforzo corale di abbandonare la bipolarizzazione della opinione pubblica cattolica.

La Prolusione del Cardinale Bagnasco si è ispirata in tutte le sue ricche articolazioni al magistero del Papa.

Lo stile che il Presidente della CEI ci ha suggerito è quello della presenza nel mondo (come il sale che da senso) ma non del mondo (come la luce che non si piega alle tenebre).

Se i credenti conoscono solo le parole del mondo saranno inevitabilmente omologati o irrilevanti.

Se ascolto l’omelia del parroco ma poi ispiro il mio pensiero sociale all’omelia domenicale di Scalfari su Repubblica (o di altri epigoni del pensiero laicista che scrivono su giornali di opposto orientamento) vengo meno al dovere del discernimento e mi adeguo al clima di contrapposizione ideologica e di propaganda, che caratterizza un paese in campagna elettorale permanente.

Senza il primato della vita spirituale non c’e’ presenza sociale, ma senza formazione di una coscienza sociale matura siamo destinati a contare sempre meno, e a far incidere sempre meno i valori del Vangelo nella vita concreta della gente.

Come ha saggiamente detto il Rettore della Università Cattolica Ornaghi, i cattolici in Italia devono smettere di “farsi contare” e ricominciare a contare, scrivendo una nuova pagina del movimento che ha in Toniolo e nell’Opera dei Congressi le sue origini.

Nell’era del sogno faustiano della riproducibilità tecnica della vita e’ questa la visione che consente di praticare la giustizia e di esercitare il discernimento.

Senza la prospettiva di una vita oltre la morte la politica si riduce a burocrazia, calcolo, gestione del potere per il potere.

Se il pane e’ necessario, non di solo pane l’uomo vive.

E questo riferimento a qualcosa che va oltre la morte che rende nobile l’attività politica e la fa una delle più alte espressioni della carità.

Che fare dopo Reggio Calabria?

Innanzitutto portare l’agenda sociale della speranza nei territori, riprendere il cammino delle scuole di formazione alla dottrina sociale (e su questo la Fondazione Toniolo è impegnata in profondità in collaborazione con 40 Diocesi), far diventare l’agenda sociale un laboratorio di pragmatismo politico in dialogo con tutte le componenti della società civile, rafforzare l’opera della Pastorale del Lavoro, ridare nella formazione di sacerdoti il giusto peso ai temi sociali, far crescere la coscienza sociale dei credenti e in primo luogo dei giovani.

Ritengo che sia la liturgia il primo banco di prova per una riscoperta della Dottrina Sociale della Chiesa.

Come afferma il Concilio, la liturgia tutta e in particolare il Sacrificio dell’Eucarestia “contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa, che ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e, tuttavia, pellegrina; tutto questo in modo che ciò che in lei è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla futura città verso la quale siamo incamminati” (Sacrosanctum Concilium, n. 2).

Come la carezza è l’unita’ di misura del riconoscimento dell’altro (e i bambini che crescono senza carezze da parte dei genitori diventano insicuri e violenti), allo stesso modo, usando una metafora, si può dire che la dottrina sociale è la carezza di Dio nella città dell’uomo, l’amore per la giustizia, l’incarnazione dello spirito del Vangelo sulle strade della storia.

Parlare di liturgia come esperienza di formazione alla dottrina sociale, significa ritenere che la coscienza sociale non sia nella Chiesa locale un optional o un settore (magari da confinare agli operatori della Pastorale del lavoro o della Caritas) ma una condizione di ogni fedele.

La Dottrina Sociale è patrimonio irrinunciabile anche di chi nella Chiesa si occupa di educazione, di famiglia, di promozione della vita, di pastorale giovanile o vocazionale.

La liturgia è talmente al cuore della vita della Chiesa che è nella liturgia che occorre dare adeguato spazio alla formazione di una coscienza sociale.

E parlando di liturgia, che e’ il luogo dell’incontro tra il volto dell’uomo e quello di Dio, in Cristo, si vuole ovviamente evitare ogni deriva “orizzontalista” dell’impegno sociale del cristiano.

Per chi si occupa del sociale concretamente, per chi realizza centri di accoglienza per immigrati, case per persone abbandonate, cooperative , comunità per tossicodipendenti, progetti di sviluppo nel Terzo Mondo e’ difficile sostituire la mitezza dell’annuncio del Vangelo con la urgenza della denuncia sociale.

Ma per gli agit prop dell’impegno ideologico, per i tifosi dello scontro politico e della sostituzione delle invettive ai ragionamenti invece e’ facile cadere in questa trappola.

Niente di nuovo.

E’ la vecchia sindrome dello zelota. Tutto si risolve nella denuncia tanto veemente quanto semplicistica del potente di turno. Non importa a che prezzo. Il Vangelo è lì a ricordarcelo continuamente.

E’ una sindrome che divide, fa odiare, fa entrare nella spirale della propaganda, attenua le capacità di discernimento.

Alla fine la vita sociale diventa uno stadio e ognuno è chiamato a fare l’ultras.

A Reggio Calabria abbiano avuto molti segnali di allontanamento di questa bipolarizzaione radicale all’interno dei cattolici. Abbiamo assunto un giudizio morale che non si limita a essere declamatorio. E abbiamo ritrovato una unità più vera tra di noi sulle cose che contano. Abbiamo avvertito, anche in relazione alla celebrazione del 150mo dell’Unita’ d’Italia una più forte responsabilità per un paese che vediamo ancora troppo lacerato e profondamente diviso.

L’Unita’ d’Italia che celebriamo non è solo un ricordo
: è un programma per il futuro.

Essere cattolici oggi è lavorare per l’unità, tra i cattolici e nel Paese.

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ZENIT Staff

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