C’è qualcosa di peggiore della persecuzione

di padre Piero Gheddo*

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ROMA, venerdì, 14 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Nel 2010 l’avvenimento della Chiesa cattolica che più mi ha colpito, non sono state le numerose persecuzioni anticristiane e i martiri che hanno segnato col loro sangue lo svolgersi dei mesi e dei giorni, ma due discorsi di Papa Benedetto, nei passaggi in cui apre uno scenario insolito nel panorama della vita ecclesiale, del quale siamo protagonisti noi tutti credenti in Cristo.

Giovanni Paolo II, al termine e all’inizio del nuovo millennio, già aveva più volte chiesto perdono per le colpe dei cristiani, suscitando anche contestazioni e incomprensioni nella Chiesa cattolica. Benedetto XVI fa un passo avanti. Il 28 giugno 2010, parlando a 38 cardinali e arcivescovi metropoliti ai quali imponeva il pallio, ha affermato: “Se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr   Mt 10,16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave. Il danno maggiore, infatti, la Chiesa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto”. Poi il Papa cita la “Seconda Lettera a Timoteo” dove tratta degli atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e possono contagiare la comunità cristiana: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro, eccetera (cfr 3,1-5). La conclusione dell’Apostolo è rassicurante: gli uomini che operano il male – scrive – “non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti” (3,9).

Il 20 dicembre Papa Benedetto, parlando ai cardinali, arcivescovi e vescovi e ai prelati della Curia vaticana per gli auguri natalizi, è tornato sul tema richiamando una mistica tedesca, sant’Ildegarda di Bingen, alla quale in visione è apparsa la Chiesa: “Una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere… Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate”.      

Il Papa poi aggiunge: “Il volto della Chiesa è coperto di polvere, ed è così che noi l’abbiamo visto. Il suo vestito è strappato – per la colpa dei sacerdoti. Così come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo vissuto in quest’anno. Dobbiamo accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento. Solo la verità salva. Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere”. Il richiamo ai sacerdoti pedofili è evidente.   

Questi due pesanti richiami debbono scuoterci e aprirci gli occhi: il peccato di noi cristiani è oggi il principale ostacolo all’evangelizzazione del mondo! Questo me l’hanno detto spesso nelle missioni tra i non cristiani. Oggi lo dice il Papa e ne parla due volte a vescovi e sacerdoti. Siamo tutti chiamati in causa. Il nostro peccato, oltre agli aspetti negativi personali, ha prodotto la società dell’Occidente, con popoli in maggioranza battezzati che vivono “come se Dio non esistesse”, dove fioriscono tanti costumi e ideologie che di evangelico non hanno assolutamente nulla. Ad esempio, l’ideologia che la religione è un fatto privato, ci si vergogna persino di parlarne in pubblico.  

Ci lamentiamo spesso del nostro tempo, ma siamo noi, adulti e anziani, che l’abbiamo preparato, proprio seguendo le mode correnti. Un piccolo esempio, in passato almeno nelle famiglie credenti si pregava in famiglia: il Rosario alla sera era un costume ampiamente diffuso. Oggi pare scomparso. Nel mondo occidentale in cui viviamo, le leggi danno piena libertà di religione, ma la persecuzione viene dalla cultura dominante che ritiene il fatto religioso irrilevante nel cammino della società. Il nostro mondo secolarizzato (nato dalla continua diminuzione della fede e della vita cristiana dei battezzati) tende a ridurre la religione ad un “hobby” personale e privato, che non interessa la politica, la scuola, la famiglia, l’economia, i dibattiti culturali.

Ecco la mancanza di libertà: un credente non è più libero di praticare la sua fede, se è considerato un “alieno” negli ambienti di lavoro, specialmente in giornali e televisioni, scuola e università. Conosco giornalisti cattolici che hanno dovuto uscire dalla redazione di importanti giornali nazionali, altri si sono camuffati per poterci restare. Ho sempre pensato che questo avveniva per colpa di altri. Dopo quanto ha detto il Papa, debbo incominciare a pensare che è anche colpa mia.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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