Benedetto XVI: l'esperienza della sofferenza ci rende più umani

Durante la visita al Centro Regina Pacis di Amman

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di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Vivere in prima persona la sofferenza, l’abbondono e il momento della prova ci fa entrare in contatto con la nostra umanità più profonda.

Lo ha detto questo venerdì pomeriggio Benedetto XVI, che, come prima tappa del suo pellegrinaggio in Terra Santa, ha scelto di incontrarsi con il mondo della disabilità e del volontariato visitando il Centro Nostra Signora della Pace ad Amman.

Fondato dal Patriarcato latino di Gerusalemme – le sue prime pietre sono state benedette da Giovanni Paolo II il 21 marzo 2000 – il Centro, inaugurato il 15 aprile 2004, era in realtà attivo già da mesi. Il suo più grande animatore è mons. Salim Sayegh, 74 anni, Vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme per la Giordania.

Il Centro – sostenuto in buona parte dalla solidarietà internazionale, in particolare da gruppi di amici, Ong, associazioni cattoliche e diocesi – offre servizi di assistenza medica, psicologica, culturale nonché di formazione al lavoro a giovani portatori di handicap con lo scopo di migliorarne le condizioni di vita e permettere loro un futuro inserimento nella società.

In Giordania, dove i giovani al di sotto dei 19 anni costituiscono il 53% della popolazione complessiva che supera i 5,7 milioni di abitanti, il fatto che il 10% di loro sia portatore di handicap fa comprendere il valore particolare ricoperto da questo Centro.

Esso offre, inoltre, sempre in maniera gratuita, sostegno e aiuto alle famiglie con figli o membri colpiti da handicap, accogliendo tutti coloro che sono nel bisogno, senza distinzione di appartenenza religiosa o politica, né di statuto sociale.

L’altra particolarità del Centro Regina Pacis, che comprende anche la chiesa del Buon Pastore, è quella di esser un laboratorio dove il dialogo interreligioso si fa vita e dove volontari, cristiani e musulmani, lavorano fianco a fianco.

Al suo arrivo il Papa è stato accolto, all’esterno della Chiesa del Centro, da un gruppo di persone, per lo più giovani, che hanno improvvisato una piccola festa araba.

Un sacerdote con il microfono ha animato la piccola folla, nella quale era possibile scorgere bandiere della Giordania e del Vaticano, con slogan in arabo e scandendo una frase in italiano: “Benvenuto Benedetto”, accompagnata con il battito delle mani.

Giunto all’altare il Papa si è inginocchiato per pregare, facendo calare un profondo silenzio all’interno della chiesa.

Subito dopo, mons. Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme, ha rivolto un breve saluto al Pontefice, sottolineando tra le finalità del Centro quello di adoperarsi “per far prendere coscienza della dignità intrinseca delle persone portatrici di handicap”.

“Noi aiutiamo le famiglie a riconoscere questa dignità, ma anche a difendere e a promuovere i diritti dei loro parenti portatori di handicap nell’ambiente familiare e nella società”, ha aggiunto mons. Twal.

“Il dono, però, non è a senso unico – ha sottolineato –. La verità è che coloro che servono i malati scoprono con gioia quanto proprio il loro cuore risulti fortificato e reso più grande”.

“Inoltre, la testimonianza offerta dalle persone portatrici di handicap, così gioiose nonostante la loro prova, ci rende umili – ha confessato –. Questi fratelli e sorelle ci fanno prendere coscienza che la nostra intelligenza, la nostra forza e la nostra salute non sono nulla accanto a un cuore che non cessa di sperare nonostante l’avversità”.

Successivamente, ha quindi preso la parola il Papa che rivolgendsi direttamente ai disabili ha detto: “A volte è difficile trovare una ragione per ciò che appare solo come un ostacolo da superare o anche come prova – fisica o emotiva – da sopportare”.

“Ma la fede e la ragione ci aiutano a vedere un orizzonte oltre noi stessi per immaginare la vita come Dio la vuole”, ha proseguito. Perché “l’amore incondizionato di Dio, che dà la vita ad ogni individuo umano, mira ad un significato e ad uno scopo per ogni vita umana”.

Allo stesso modo, ha aggiunto il Santo Padre, “la via della speranza che guida ogni passo che facciamo lungo la strada, così che noi pure diveniamo portatori di tale speranza e carità per gli altri”.

“Cari giovani amici, a voi in particolare desidero dire che stando in mezzo a voi io sento la forza che proviene da Dio”, ha poi affermato Benedetto XVI.

“La vostra esperienza del dolore, la vostra testimonianza in favore della compassione, la vostra determinazione nel superare gli ostacoli che incontrate, mi incoraggiano a credere che la sofferenza può determinare un cambiamento in meglio”, ha osserbato.

Infatti, ha spiegato, “nelle nostre personali prove, e stando accanto agli altri nelle loro sofferenze, cogliamo l’essenza della nostra umanità, diventiamo, per così dire, più umani”.

Dopo il discorso il Papa ha salutato personalmente i disabili presenti, alcuni dei quali sulla sedie a rotelle, intrattenendosi con loro in colloqui spontanei.

Durante lo scambio di doni, un applauso fragoroso è scoppiato quando una coppia di giovani ha posto sulle spalle del Papa una kefiah bianca e rossa, il copricapo tradizionale dei sovrani ascemiti.

Dal canto suo, Benedetto XVI ha ricambiato offrendo alla piccola comunità un tabernacolo.

All’uscita del Papa, è stato intonato il canto dell’Ave Maria di Lourdes in lingua araba.

[Con il contributo di Jesús Colina]

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ZENIT Staff

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