ROMA, martedì, 10 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo di don Enrico Finotti – parroco di S. Maria del Carmine in Rovereto (TN) – apparso sulla rivista LITURGIA ‘CULMEN ET FONS’ (marzo 2011).
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Vi è una questione fondamentale che deve essere necessariamente chiarita per impostare nel modo dovuto il discorso sulla Liturgia: è la questione del Soggetto. Chi agisce nell’atto liturgico? Chi opera nei riti e nelle preci? Con quale autorità si esercitano le azioni liturgiche? Queste domande sono di importanza così essenziale, quale lo è la ‘chiave di volta’ di un grandioso portale: rimossa la ‘chiave di volta’ tutto l’arcata crolla e con essa l’intero edificio. Oggi non si insiste abbastanza su questo problema e per questo è facile inoltrarsi in una grande confusione nel trattare del valore, dell’identità e dell’efficacia della liturgia, compromettendo gli stessi criteri di base nella sua concreta attuazione.
Il Soggetto della Liturgia è Cristo Gesù, indissolubilmente unito alla Chiesa, sua Sposa. Due Soggetti distinti, ma indissolubili, in modo da formare quasi un Soggetto unico, che agisce sempre in totale sintonia, senza la minima confusione della diversa loro natura e azione. Infatti potremo dire che: – nella liturgia di istituzione divina (il Sacrificio e i Sacramenti) è l’azione di Cristo-Capo che domina sovrana sia nel movimento ascendente del sacrificio che sale al Padre, portando con sé la Chiesa, sia nel movimento discendente che santifica la Chiesa sua Sposa, che ne riceve la vita della grazia; – nella liturgia di istituzione ecclesiastica è l’azione della Chiesa-Sposa che opera in primo luogo, ma sempre in indissolubile unione col suo Sposo divino, che sempre assume e fa propria l’azione della sua Chiesa, sia nel movimento ascendente dell’adorazione, come in quello discendente della santificazione. In tal modo ben si comprende che mai Cristo opera senza la sua Chiesa e mai la Chiesa opera senza il suo Capo. In verità se il Capo operasse senza il suo Corpo sarebbe negata l’Incarnazione e se il Corpo agisse senza il suo Capo cesserebbe nel momento stesso di essere Chiesa. Ecco allora che ogni volta che si attuano nel tempo e nello spazio i riti liturgici in modo valido e legittimo ci si incontra con l’intervento soprannaturale del Signore Risorto e della Chiesa, che operano affinché tutto il popolo cristiano e ciascuno dei suoi membri possano essere assunti nell’azione sacra, sacrificale e santificante, e diventare con Loro un sacrificio puro gradito al Padre.
La confusione dottrinale e i conseguenti abusi nella celebrazione liturgica sono dovuti anche ad un concetto errato del termine ‘Assemblea celebrante’. L’espressione in quanto tale è corretta: infatti è vero che nella liturgia l’intera Assemblea della Chiesa – Capo e Corpo – è il Soggetto agente di ogni azione liturgica. In tal senso ogni membro della Chiesa, per diritto battesimale e crismale, è chiamato ad un’operazione consapevole, attiva e fruttuosa ogni volta che interviene nella santa Assemblea. Tuttavia occorre precisare come si configuri l’ ‘Assemblea celebrante’ e quale siano le sue dimensioni costitutive e i lineamenti della sua vera e piena realizzazione. Per questo è necessario distinguere bene le sue componenti interne e con i loro diversi ruoli.
a. Non vi è ‘Assemblea celebrante’ senza Cristo-Capo. E’ necessario non passare sotto silenzio questa presenza assolutamente necessaria, primaria e sovrana. Anzi tutta la Chiesa è in Lui e da Lui fluisce. Al contempo vi sono atti propriamente suoi, in quanto Capo, e che la Chiesa riceve per diventare sempre più il suo Corpo. E’ Lui infatti che genera continuamente la Chiesa e che la mantiene permanentemente nella sua più profonda identità di assemblea santa, sposa incontaminata, popolo sacerdotale, sacrificio vivente.
b. Questa ‘Assemblea’ è certamente convocata qui ed ora in un preciso spazio e tempo: è l’Assemblea liturgica locale, che si delinea nelle caratteristiche proprie dei vari luoghi dove il popolo di Dio vive e cammina nel tempo, con tutta la più vasta gamma dei connotati culturali e ambientali, storici e sociali nel flusso del tempo presente che scorre verso l’eternità. E’ questa la Chiesa che il Concilio chiama ‘locale’ o ‘particolare’.
c. Questa medesima ‘Assemblea’ tuttavia non è chiusa, isolata nella sua località e oppressa dall’orizzonte ristretto della sua visione sociologica, ma è intimamente aperta e in comunione reale con tutte le ‘Assemblee’ liturgiche del mondo: quelle diffuse nello spazio su tutta la terra e quelle successive nel tempo, che ebbero luogo nello scorrere secolare dei millenni cristiani. E’ insomma una Assemblea cattolica, ossia universale nel senso che abbraccia le due coordinate essenziali della vita umana, il tempo e lo spazio. In questo sta il senso vivo della Tradizione liturgica della Chiesa che mai viene interrotta, ma che ci tiene in salda continuità con tutti quelli che ci precedettero nella fede. E così pure il senso della comunione e dello scambio reciproco tra tutte le Chiese a noi contemporanee, verso le quali abbiamo un debito e un impegno di comunicazione che deve poter essere sempre verificato, espresso e garantito. Nessuna assembla locale è totalmente libera di agire con una creatività svincolata dalla tradizione dei secoli e dalla comunione oggettiva con i fratelli di fede sparsi in tutto il mondo.
d. Infine – ed è cosa di primissimo ordine – l’ ‘Assemblea celebrante’ porta nella sua più profonda realtà l’immensa Assemblea celeste, la ‘maggioranza dei Santi’, lo stuolo delle miriadi di Angeli, la presenza materna della SS. Vergine. Non basta l’occhio del corpo per vedere il mistero che è sotteso all’ ‘Assemblea’ liturgica, per quanto piccola e povera che si raduna qui sulla terra. Occorre lo sguardo soprannaturale della fede, col quale si percepisce quella sterminata Assemblea che può essere ospitata soltanto nei cieli, ma che è geneticamente connessa ed intima con quel piccolo ‘noi’ qui radunati e col nostro flebile gemito di viatori nell’oscurità di quaggiù e nella debole luce della lucerna della fede che ci conduce nella notte. I Santi ci precedono in questo sguardo penetrante e il loro modo di celebrare ce ne svela il mirabile panorama di luce superna.
Ecco le componenti essenziali e mai dissociabili dell’ ‘Assemblea celebrante’. Se esse vengono adeguatamente tenute insieme, spiegate e vissute nella celebrazione, la nozione di ‘Assemblea celebrante’ non può che dichiarare senza timore la sua adeguatezza come Soggetto della liturgia.
Ma è a causa della riduzione o del silenzio di una o l’altra di queste coordinate fondamentali che si è diffusa l’incrinatura dottrinale e la pratica abusiva nel concreto modo sia di celebrare, come anche di impostare la formazione liturgica. Si assiste oggi, infatti, ad una riduzione solo sociologica dell’Assemblea liturgica, ossia, si considera soltanto il piccolo o grande gruppo che si vede e che si raduna in un certo luogo, ma si dimentica tutto il resto: la sua invisibile dimensione universale e soprannaturale. Soprattutto non ci si rende conto a sufficienza della presenza e dell’azione del Capo del Corpo, senza il quale tutto svanisce ed è travolto dal flusso inesorabile del tempo senza lasciare l’impronta di una salvezza eterna e definitiva.
Una ‘pastorale dimezzata’, attenta esclusivamente ai dati sociologici, ha ridotto la liturgia all’azione creativa del gruppo che gestisce di volta in volta il rito, senza più garantire a sufficienza l’azione del Signore, la comunione con i Santi, la Tradizione dei secoli e la sintonia con l’universalità della Chiesa. In tal modo la liturgia diventa l’espressione del ‘noi qui convocati’ e della nostra cronaca quotidiana. Svanisce il respiro dei secoli, si chiude l’orizzonte della Chiesa diffusa su tutta la terra, si osc
ura la comunione dei Santi nel cielo e Cristo stesso rischia di essere un ospite di riguardo invitato ad assistere ad una nostra sempre mutevole creatività e a condividere quello che piace fare a noi. Il nostro protagonismo rischia così di sostituirsi all’adorazione e il politicamente corretto soppianta l’obbedienza alla Sua Parola di verità.
Come allora superare la crisi e aver garanzia di celebrare la liturgia vera, quella che ha per Soggetto Cristo e la Chiesa? Ubbidendo al Magistero della Chiesa. Solo, infatti, la liturgia come è stabilita dall’autorità della Chiesa garantisce la composizione equilibrata di tutti gli ‘ingredienti’ necessari alla natura di un vero atto liturgico. Chi segue con fedeltà l’Edizione typica dei libri liturgici, osservandone con precisione le rubriche e pronunziando con fede le preci stabilite, assicura in ogni sua parte il complesso rituale: – gli atti di Cristo-Capo sono rispettati nella loro validità; – quelli della Chiesa sono celebrati con tutte le loro dimensioni costitutive: la comunione nel tempo (Tradizione) e nello spazio (universalità) si compone con l’attenzione all’ambiente concreto in cui la liturgia si attua (località). In tal modo sarà possibile celebrare una liturgia valida e lecita e quindi riconosciuta da Dio ed efficace in ordine alla nostra santificazione. Una liturgia, invece, che esulasse dal Magistero della Chiesa perderebbe immediatamente il suo vero Soggetto soprannaturale e decadrebbe irrimediabilmente in un atto di culto privato.
Si comprende allora le cause degli abusi liturgici attuali: – la non percezione della presenza e dell’azione diretta del Signore, che provoca la caduta del senso del sacro; – un concetto errato o insufficiente di ecclesiologia, ridotta a sociologia localista; – il conseguente concetto errato o ridotto di pastorale, rivolta eccessivamente all’uomo e al suo ambiente, senza vigilare adeguatamente sull’integrità del Mistero che deve trasmettere per la sua redenzione.
Con la caduta del Soggetto vero della liturgia oggi non si distingue più la liturgia dai pii esercizi, osservando che l’unico soggetto che opera sempre in ogni azione cultuale è l’ Assemblea celebrante’ nella sua visibilità più immediata. Oggi, infatti, non è raro ritenere che ogni espressione di preghiera fatta da chiunque e in qualsiasi forma sia liturgia e così pure la si denomina. In realtà la differenza essenziale la fa il diverso soggetto: la liturgia ha un soggetto soprannaturale Cristo e la Chiesa in quanto tale, mentre ogni altro atto di culto pubblico o individuale ha come soggetto la persona o il gruppo che lo crea e lo celebra. E’ allora necessario distinguere anche ritualmente la liturgia dai pii esercizi: – evitando l’intreccio interno con le azioni liturgiche: – ovviando all’unione organica di un pio esercizio che, senza soluzioni di continuità, precede o segue un rito liturgico; – resistendo decisamente dalla tentazione facile di sostituire atti liturgici preferendo superficialmente al loro posto pii esercizi e rallentando in tal modo di elevare il popolo alla liturgia. Forse potrebbe essere presa in considerazione anche l’opportunità di riservare gli abiti liturgici alle sole azioni liturgiche e indossare, invece, l’abito corale per presiedere ai pii esercizi del popolo cristiano.
Come si vede la normativa della Chiesa precede la prassi e davanti a noi vi è ancora molta strada da percorrere sia nella formazione liturgica, come nella conseguente celebrazione.