di padre Renato Zilio*
ROMA, martedì, 17 maggio 2011 (ZENIT.org).- Due celebrazioni grandiose a tre giorni di distanza una dall’altra. Una a Roma, l’altra a Londra, il mondo in visione. Il matrimonio del secolo di William e Kate, come qui lo intitolavano, e la beatificazione di Giovanni Paolo II.
Due eventi diversissimi… ma non troppo. Se uno è un matrimonio che sa di favola, l’altro è un’alleanza luminosa e meravigliosa tra un uomo e Dio. Sì, questo significa essere santi – ce lo ricorda il mondo protestante attorno a noi – una splendida relazione a due, in cui Dio resta il vero protagonista.
Per questo i due avvenimenti ci propongono due parole essenziali: l’idolo e l’icona. Due termini dalla stessa origine e dal significato di figura e d’immagine. Tutti e due coltivano lo stesso rapporto di fronte al sacro: un atteggiamento di rispetto e venerazione. E hanno lo stessa relazione con lo sguardo che si fa ammirazione e contemplazione.
Vivono, tuttavia, una dinamica assolutamente opposta. L’idolo accentra tutte le forze, l’attenzione e il potere. È autoreferenziale per eccellenza, un accentratore per natura. L’icona, invece, rinvia ad altro, ad un qualcosa di più grande. Porge a chi osserva un dolce invito interiore a guardare lontano… Infatti, un’icona – immagine dipinta e venerata di un santo – è un solo raggio della luce del Divino, del Trascendente. La sua virtù fondamentale è l’umiltà, mentre quella dell’idolo è l’ambizione o una segreta arroganza.
“Due si sposano sotto lo sguardo di due miliardi di persone” intitolava trionfante un giornale londinese, suggerendo così la forza di attrazione di un evento. Un idolo è qualcosa che sembra possedere un che di meravigliosamente magico. Inserti speciali, servizi televisivi, giornali di ogni specie sono stati invasi per giorni da una sola immagine, una giovane coppia reale, colta in tutti suoi aspetti e momenti di vita.
Tuttavia i cronisti facevano osservare che i 1.900 invitati a Westminster erano tutti bianchi, nobili e di alto rango. Mentre assiepata e perfino immersa nella fontana davanti Buckingham Palace vi era uno stuolo di gente di tutti i colori: il vero volto multiculturale della terra inglese. Un idolo, infatti, sa sempre circondarsi dei suoi adoratori.
L’icona, come un dito puntato verso un orizzonte, indica sempre qualcosa di più grande e di più bello. Perfino la sessualità, in fondo, vivrà sempre questa ambivalenza tra idolo e icona. Solo quando essa saprà esprimere quel senso grandioso della vita come una danza e una lotta da vivere insieme, allora, sarà un’icona insuperabile. Se invece si rinchiuderà in se stessa, esigendo ogni attenzione ed energia diventerà un idolo che disumanizza chi lo adora.
Questa duplice e contrapposta dinamica di idolo e di icona sarà preziosa per valutare qualsiasi situazione, qualsiasi uomo. Si diventa un idolo, quando si vive un protagonismo eccessivo, un attivismo esagerato, al centro dell’ammirazione e dell’obbedienza di altri. Ansiosamente si cercherà sempre e dappertutto un piedistallo. Non si tollera la critica, ma solo la venerazione. Si diventa idolo quando ci si arroga ogni forza, ci si identifica in Dio e nella sua volontà.
Ma un vero leader sarà sempre un’icona e sarà semplice distinguerlo fra la gente: dal suo stesso sguardo, differente da quello di ogni altro essere. Gli occhi gli brillano perchè ha una visione davanti a sé. Vede il mondo che sarà domani e sa captare il futuro che sta nascendo. Come Abramo e Mosè avvertirà i bisogni vitali di un popolo che cammina e ciò diventa una forza mobilizzatrice per sé e per gli altri. Sa risvegliare in tutti le forze migliori, perché le intravede, le chiama alla vita, al cammino e alle sfide… Non abbatte, ma suscita, incoraggia e stimola potentemente. Respira la speranza e la fiducia nell’altro.
Un’icona indimenticabile per tutti fu una semplice bara di legno e un Vangelo posato sopra come una corona sulla testa di un re. Come un canto di magnificat, che sa umilmente indicare in Dio solo l’unica grandezza. Era un leader vero. Sapeva dare al mondo un messaggio di speranza potente e indicare a tempo e a contrattempo un orizzonte straordinario per ognuno: l’incontro con il Cristo. Si commuoveva davanti a folle di ogni lingua e di ogni cultura e sapeva spalancare le porte del suo cuore ai giovani.
Nella nostra terra italiana dove ancora oggi crescono idoli potenti, preoccupati di sé o dei propri interessi, come dimenticare questo umile e grande leader appassionato unicamente di Dio e degli uomini?
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*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l’Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista “Presenza italiana”. Dopo l’esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d’Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.