di Mariaelena Finessi
ROMA, domenica, 22 maggio 2010 (ZENIT.org).- Se la premessa è che “Cristo è la via centrale della Chiesa e aiuta l’uomo a capire se stesso e a recuperare i suoi valori”, allora non è difficile scorgere nei documenti pontifici che Giovanni Paolo II ha lasciato in eredità alla fede cattolica “una sorta di linea guida”. Il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, commenta così l’iniziativa della casa editrice Treves di raccogliere in un’opera le 14 Lettere encicliche prodotte da Wojtyła in 27 anni di pontificato.
Presentata a Roma il 18 maggio, al Conservatorio di Santa Cecilia, l’edizione “Splendor Veritatis” può considerarsi il sunto del pensiero teologico e sociale del Papa polacco. L’introduzione all’opera, suddivisa in tre volumi – per un totale di 2.600 pagine – con testo latino a fronte, è firmata da Papa Benedetto XVI.
A completamento del testo vi è un ricordo biografico del Cardinale Stanislaw Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia e per anni segretario particolare del Pontefice neo beato, da lui definito, per via della grande resistenza e dell’immensa fede anche nelle avversità, “il maratoneta olimpionico che giunge stremato al traguardo, ma tenendo stretta nella sua mano la fiaccola accesa”. In appendice, anche il primo saluto e la prima benedizione di Giovanni Paolo II, il testo della sua prima omelia e il suo testamento spirituale.
“La scelta dei punti che sottolineiamo è necessariamente unilaterale”, scrive Ratzinger nella prefazione. “Inoltre, una valutazione congiunta dovrebbe includere anche gli altri testi magisteriali del Papa, che spesso sono di grande trascendenza e appartengono senza dubbio all’insieme delle affermazioni dottrinali del Santo Padre”. Ciò nonostante, le lettere pastorali mostrano un cammino ben preciso verso la creatura umana.
E il primo passo è segnato dalla “Redemptor Hominis” del 1979, spiega il Cardinale Re, che si annuncia “come uno squillo di tromba” là dove questo “leader morale, tra i più noti al mondo e certamente il più amato”, alle prime righe scrive che Gesù Cristo è “redentore dell’uomo”, “centro della storia e del cosmo”. Perché, questo è indubbio, ciò che non è mai mancato nell’analisi wojtyliana della Chiesa è la necessaria vicinanza che essa deve avere con le persone. Tant’è che “Papa Giovanni Paolo II, se da un lato era un mistico, dall’altro era profondamente inserito nella storia”, e il suo desiderio “è sempre stato quello di far avere cittadinanza a Dio nella società di oggi”.
Le 14 encicliche, pubblicate in ordine cronologico, possono essere suddivise per grandi tematiche: dal trittico trinitario degli anni 1979-86 ai tre testi dottrinali di natura antropologica: “Evangelium Vitae” , “Fides et Ratio” e “Veritatis Splendor”, che ha ispirato il titolo dell’opera. Quest’ultima, scrive ancora Ratzinger, “non solo affronta la crisi interna della teologia morale della Chiesa, ma appartiene al dibattito etico di dimensioni mondiali che oggi è divenuto una questione di vita o di morte per l’umanità”.
E poi ancora, le encicliche ecclesiologiche, cioè dedicate alla Chiesa, alla sua missione nel mondo e ai suoi rapporti con le altre confessioni. Centrale nel pensiero di Giovanni Paolo II il ruolo di Maria, che esprime compiutamente il senso ultimo della Fede: ogni lettera termina infatti con un’intenzione rivolta alla madre di Gesù. In ultimo, le encicliche attente ai problemi dell’uomo quale essere calato nella società, con le critiche al comunismo e alle distorsioni del capitalismo.
“Ha scritto tre encicliche sociali – chiarisce nella sua analisi padre Edward Fallugia, docente di dogmatica patristica al Pontificio Istituto Orientale e glossatore del volume -, la ‘Laborem exercens’ del 1981, dove non parla tanto del lavoro quanto del lavoratore, la ‘Sollicitudo rei socialis’ del 1987, dove attacca ambedue i sistemi perché non rispettano l’uomo, del quale ignorano la visione integrale, e la terza enciclica, ‘Centesimus Annus’, del 1991, riflessione su ciò che è il progresso se esso non porta a Cristo”.
Vero paradigma sulla fede e sulla sofferenza umana, “l’enciclica più bella di Giovanni Paolo II – ha commentato l’ex direttore della Sala Stampa vaticana Joaquín Navarro-Valls intervenendo alla presentazione – è stata però forse quella testimoniata dalla sua vita”.
“Avendo avuto la grazia di stare accanto a questo grande pontefice per quasi quarant’anni”, racconta nella sua testimonianza il Cardinale Dziwisz come ad echeggiare le considerazione di Navarro-Valls, “sono convinto che al magistero di Giovanni Paolo II vanno aggiunte altre due encicliche che lui ci ha donato”.
Due encicliche, conclude il porporato, che egli non ha scritto sulla carta, “ma sul cuore degli uomini”: la sua umanità e la sua sofferenza.
“La prima, la sua umanità, è il filo rosso che unisce le 14 encicliche”, mentre “la seconda, la sua sofferenza, è il filo d’oro che le impreziosisce, trasformandole da insegnamento a vita”.