La Bibbia sta trasformando l’Africa

Per padre Mose Adekambi è il fondamento per una nuova società

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ROMA, lunedì, 25 luglio 2011 (ZENIT.org).- Molti nigeriani sono in grado di citare la Bibbia a memoria, ma non perché si sono messi lì, con il Vangelo, a fissarsi delle parole nella testa. In una popolazione in cui solo il 68% non è analfabeta, non è quello il modo per memorizzare.

Allora dove imparano la Bibbia i nigeriani? A Messa. Hanno ascoltato la parola di Dio proclamata nelle loro chiese e l’hanno custodita nei loro cuori.

C’è fame della parola di Dio in Africa, afferma padre Mose Adekambi, sacerdote diocesano della diocesi di Porto Nuvue nel Benin.

Padre Adekambi è entrato in seminario da giovane, con il sogno di diventare un semplice prete diocesano. Ma con il tempo e l’incoraggiamento del suo vescovo è stato mandato a Roma ed è diventato uno studioso della Bibbia. Oggi, questa conoscenza la mette in pratica bene come direttore del BICAM, il Biblical Center for Africa and Madagascar.

È responsabile per la promozione della conoscenza della Bibbia per l’intera Africa.

Padre Adekambi ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, sulla Bibbia in Africa e su come sta determinando un cambiamento sociale.

Padre Mose, prima di parlare del suo lavoro di promozione della Bibbia in Africa, ci parli della sua vita. Quando ha preso coscienza della sua chiamata al sacerdozio?

Padre Adekambi: Ho sentito la mia vocazione quando avevo circa 12 anni, alle elementari. Come ogni altro ragazzo della mia età, volevo fare molte cose nella vita. Volevo essere un medico, un giudice, un insegnante. Volevo anche essere un prete perché giocavo a essere prete come molti altri ragazzi miei coetanei.

I suoi genitori appartenevano alle religioni africane tradizionali. Qual è stata la loro reazione?

Padre Adekambi: I miei genitori sono diventi cattolici da adulti. Io ero già nato quando mia madre è stata battezzata e si è sposata in Chiesa. Io sono cresciuto in una famiglia cattolica e ho ricevuto un’educazione cattolica. Un giorno mi chiedevo cosa avrei voluto fare da grande e mia madre mi ha chiesto: “Tu non sai esattamente cosa vorrai fare?”. Credo che quello stesso giorno ho deciso di diventare sacerdote. Più tardi, nell’ultimo anno delle elementari, dovevo decidere se passare alle superiori o entrare nel seminario minore. Ho scritto al primo sacerdote del Benin, che è cugino di mia nonna.

Il primo sacerdote originario del Benin è cugino di sua nonna?

Padre Adekambi: Esatto. Gli ho scritto dicendo: “Vorrei diventare sacerdote come te”. Lui mi ha risposto dicendo: “Per quest’anno è troppo tardi per entrare nel seminario minore perché la lista è già chiusa e il periodo d’esame è già passato”. Ma essendo un po’ testardo sono anche andato dal parroco dicendo la stessa cosa e lui mi ha accolto e mi ha trovato il modo per entrare in seminario. Sono andato a informare mia nonna e a dirle che volevo diventare sacerdote come suo fratello. Quindi queste sono le due figure che stanno dietro la mia vocazione. Mia madre che inconsapevolmente mi ha spinto a prendere una decisione…

…Inconsapevolmente. Ma quando poi ha preso una decisione, è stata accolta con gioia in famiglia?

Padre Adekambi: Il giorno della mia ordinazione, il 4 agosto 1984, ho pubblicamente ringraziato i miei genitori. E il motivo è semplice: sono il primogenito maschio. Sapevo che per loro era un grande sacrificio e li ho ringraziati perché mi hanno permesso di essere libero. Non hanno mai detto “non lo fare”. Né hanno mai detto “Fai così”. Sapevo che se avessi cambiato idea probabilmente sarebbero stati contenti, per questo li ho ringraziati pubblicamente per avermi dato la libertà di seguire la mia scelta nonostante la sofferenza che so che hanno provato.

Qual è la sfida più grande nel suo sacerdozio, nella sua vocazione?

Padre Adekambi: Essere disponibile. Quando ho deciso di diventare prete e durante la mia ordinazione, ho usato il simbolo dell’acqua piovana. Nella mia lingua abbiamo un detto: “L’acqua piovana è usata senza cura e poi è gettata via”. In Africa usiamo l’acqua del rubinetto e l’acqua piovana. Io volevo essere disponibile, come l’acqua piovana, a Dio e ai miei fratelli e sorelle, per andare incontro alle loro necessità, qualunque cosa avessero bisogno. L’acqua piovana è utilizzata per irrigare i fiori, lavare i piatti, per l’orto, per bere, è usata per ogni cosa. Quindi per me la “disponibilità” è una grande sfida come sacerdote: fare non ciò che voglio io ma ciò che la gente vuole che io faccia…

… e ciò che la gente le chiederà.

Padre Adekambi: Esattamente, perché hanno bisogno di me per quelle cose e in quel modo. Non è facile abbandonare i propri desideri, consegnare la propria libertà agli altri, per servirli in ciò che desiderano. Io lotto per rendermi disponibile e, leggendo i Padri della Chiesa, uno in particolare mi ha colpito. Credo che fosse Alessandro di Gerusalemme, che ha paragonato lo Spirito Santo all’acqua piovana che si adatta a ogni creatura. Ha detto che l’acqua piovana non è la stessa cosa per una palma o per un mango, perché essa si adatta sempre a ciascuna creatura su cui cade.

Così è stato per me una seconda sfida: adattare me stesso a ogni persona. Sono disponibile come Paolo che nella prima Lettera ai corinzi, capitolo 9, ha detto: “mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge…”, ma non è facile.

Perché l’accento sulla Bibbia?

Padre Adekambi: L’accento sulla Bibbia è dovuto al fatto che la Chiesa, soprattutto i vescovi africani, si erano resi conto che non esiste evangelizzazione senza la parola di Dio. Ed era diventato evidente che la parola di Dio non era conosciuta e che la gente aveva fame e sete della parola di Dio. Ora, per esempio, i nigeriani missionari, vescovi o preti, mi dicono che la gente spesso cita la Bibbia a memoria. Hanno grande facilità e amore per la parola di Dio. Per quanto riguarda l’Africa, posso dire che siamo più orientati alla parola di Dio che al libro contenente la parola di Dio.

Perché?

Padre Adekambi: Proprio perché la nostra cultura è in gran parte una cultura orale. Diciamo che una gran parte della popolazione non sa leggere. Se aspettiamo che imparino prima a leggere e scrivere, per poi proclamare la parola di Dio, come facciamo? Quanto dovremmo aspettare? Quindi dobbiamo considerare questo fattore: la dimensione orale della nostra cultura. Come dicevo, la gente in Nigeria è in grado di citare la Bibbia proprio perché ha ascoltato la parola di Dio nelle chiese e riesce a fissarla nella loro memoria.

Grazie a questa tradizione orale…

Padre Adekambi: … la tradizione orale, e non dimentichiamo che secondo il libro del Deuteronomio, la parola di Dio deve essere conservata sulle labbra e nel cuore.

Allora perché tornare alla parola scritta? Perché tornare alla Bibbia?

Padre Adekambi: In qualche modo, è la parola visibile di Dio, in termini sacramentali, è il Libro che è ispirato. Per questo il Libro è importante, ma non dovremmo neanche fissarci solo sul Libro perché avere un significato più ampio della Parola di Dio è utile anche in termini teologici. Io dico sempre alla gente che il capitolo 6 è l’ultimo capitolo preceduto da cinque capitoli su ciò che io chiamo la teologia della Parola di Dio. Quindi è necessaria prima una teologia della Bibbia, per poi avere un buon apostolato della Bibbia.

L’Africa, come è noto, soffre terribili mali sociali come la povertà, la guerra, ecc. Nel promuovere la Bibbia è possibile affrontare alcuni di questi mali? Fa parte del
suo lavoro?

Padre Adekambi: La parola di Dio può aiutare molto. Si prenda la Lettera agli ebrei, capitolo 4, in cui si afferma che la parola di Dio è una spada a doppio taglio; scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Se ci si apre alla parola di Dio e la si lascia penetrare, sicuramente le cattive intenzioni vengono messe alla prova e veniamo spinti verso la conversione. Credo che la nostra visione comune sia erronea. Oggi, quando si parla delle questioni sociali in Africa si parla sempre delle cose che vanno male: il problema con i nostri leader, l’odio, la violenza. Ma ciò di abbiamo bisogno è ciò che io chiamo un approccio oggettivo; un approccio incentrato sull’oggetto.

… Che va dritto al cuore.

Padre Adekambi: Esatto. Per risolvere i problemi dell’Africa dobbiamo concentrarci sugli africani, come cambiare i loro cuori, la loro mentalità. La parola di Dio, in questo senso, aiuta molto a cambiare, proprio perché ci spinge alla conversione attraverso le generazioni. Nel 2007 il tema biblico era: “Dove è tuo fratello?”. Stiamo lottando uno contro l’altro? Posso ridefinire l’immagine dei miei fratelli a immagine di Dio? Solo allora impariamo a rispettare i nostri fratelli. Da questo punto passiamo poi a Matteo, capitolo 5: amare i nostri nemici. Questo può aiutarci in Africa. Questo è veramente il nostro principale impegno. Questo è il nostro laboratorio.

Vorrei condividere con voi ciò che ho constatato in Africa, in seguito a questi laboratori. Quando ho visitato il Rwanda – io vado in giro per conoscere ciò che sta avvenendo nel Paese, come parte di questo apostolato – mi è stato detto: “Padre, la lettura in comune della Bibbia è una cosa buona: ci aiuta alla riconciliazione”.

Dopo il genocidio?

Padre Adekambi: Non dobbiamo mai dimenticarlo. Anche in Sud Africa, durante l’apartheid, la Bibbia ha fatto molto in termini di riconciliazione e di aiuto alle persone ad affrontare questioni sociali, compreso l’apartheid e, dopo l’apartheid, per la riconciliazione e la ricostruzione del Paese.

Quindi per lei la Bibbia e la reintroduzione della parola di Dio è un buon fondamento su cui costruire una nuova società?

Padre Adekambi: Ne sono convinto. Questa è la mia speranza per l’Africa. È la mia speranza; il mio sogno. È un sogno realizzato perché l’ho visto in Rwanda. L’ho visto in Sud Africa. L’ho visto in Zambia dove le piccole comunità cristiane, al livello più basso, stanno veramente cercando di staccarsi dalle loro vecchie mentalità e di cambiare il mondo che li circonda, ascoltando la parola di Dio e l’insegnamento sociale della Chiesa.

E mettendola in pratica?

Padre Adekambi: Esattamente. Il significato biblico dell’ascolto è quello di metterla in pratica. Come dice la Lettera di Giacomo: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi”. Quindi siamo chiamati ad ascoltare, tutti noi.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org

Where God Weeps: www.wheregodweeps.org

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ZENIT Staff

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