Giovanni Paolo II: la sapienza della croce tra magistero e testimonianza

Giornata di riflessione e di preghiera in Vaticano organizzata dalla Pontificia Università Lateranense

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di H. Sergio Mora

ROMA, giovedì, 17 maggio 2012 (ZENIT.org) – Una giornata di studio e riflessione su La sapienza della Croce nel magistero di Giovanni Paolo II si è svolta martedì, 15 maggio, nella chiesa di Santo Stefano degli Abissini, in Vaticano, insieme ad un momento di preghiera presieduto dal cardinale Angelo Comastri sulla tomba del beato Wojtyla.

Diversi i punti affrontati durante l’incontro: il pensiero di papa Wojtyla nelle sue encicliche quale grande contributo al Concilio Vaticano II e la sua concezione di persona che non nasceva da un libro ma della sua esperienza pastorale.

Ma soprattutto la testimonianza di un Papa, il cui messaggio più convincente e meglio compreso dalle folle del suo pontificato è stata proprio la debolezza, o meglio l’accettazione della sofferenza.

Il prof. Fernando Taccone, direttore della cattedra Gloria Crucis della Pontificia Università Lateranense ha spiegato a ZENIT che questi programmi si svolgono due volte durante l’anno accademico. “Ad aprile – ha detto – abbiamo trattato il senso della vita come risposta al senso della Croce. Ora ci stiamo occupando della sapienza della Croce nella vita e nel magistero di Giovanni Paolo II. Ci sarà poi la pubblicazione degli atti da presentare al mondo scientifico ed accademico”.

“Generalmente lo facciamo alla Lateranense – ha precisato il docente – ma quest’anno, proprio perché il tema era su Giovanni Paolo II, abbiamo voluto inserire una meditazione ed un momento di preghiera proprio sull’altare del Beato. Questo è stato possibile grazie al cardinale Angelo Comastri, che ha presieduto la meditazione e perché ci ha ceduto la Chiesa di Santo Stefano agli Abissini a cui sono accorse circa 250 persone”.

Riguardo al tema di Giovanni Paolo II, il prof. Taccone ha spiegato che è stato scelto “perché abbiamo voluto dare una chiave esperienziale al tema della croce attraverso la vita di una persona, la sua figura e il suo pensiero”.

Il professor Gilfredo Marengo, del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, nella sua relazione ha invece ricordato le tre encicliche di Giovanni Paolo II: Redemptor Hominis, Dives in Misericordia e Dominum et vivificantem.

“Ho voluto citarle – ha detto a ZENIT – perchè rappresentano il grande contributo di questo Papa alla ricezione del Concilio Vaticano II, nelle quali emerge una lettura profondamente unitaria del mistero di Cristo e del mistero dell’uomo, centrato sulla redenzione”. 

“Un trittico trinitario – ha aggiunto – oltre che un tentativo di sintesi del percorso di riflessione sulla vita della Chiesa che Wojtyla iniziò a Cracovia negli anni ’70, e che poi si portò a Roma per svilupparlo negli altri testi fino a Dominum et vivificantem del 1986”, come peculiare contributo all’attuazione degli insegnamenti del Vaticano II (soprattutto della costituzione Gaudium et spes, testo particolarmente amato dal Pontefice). 

Giovanni Paolo II ha tracciato, ha affermato ancora il professor Marengo, “un percorso che testimonia la consapevolezza del rapporto tra il Mistero della Redenzione in Gesù Cristo e la singolare esistenza e dignità dell’uomo”, al fine di far emergere “la pertinenza della missione della Chiesa col servizio all’uomo, attraverso il mistero della sua vita”.

Questa testimonianza è presentata ed offerta a tutta la Chiesa come contenuto centrale del suo ministero petrino. “Volendo suggerire una possibile formula sintetica – ha proseguito il docente, si potrebbe dire che, alla luce delle encicliche dedicate al Concilio, la preoccupazione centrale di quel fondamentale evento ecclesiale, viene ricondotta dal Papa al trittico Cristo-Uomo-Chiesa”.

E il concetto che Giovanni Paolo II aveva elaborato sulla persona non nasceva da un libro ma della sua esperienza pastorale. “Ha attirato alla gente – ha concluso Marengo – perché era un testimone e un pastore, prima di tutto, un uomo che ha sentito una singolare unità tra il compito istituzionale che nella Chiesa ha la figura del Papa e la sua umanità”.

Il cardinale Georges Marie Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, nella sua relazione ha ricordato il motto di Giovanni Paolo II: Totus tuus riferito alla Madonna e “ricevuto da san Luigi Maria Gignon di Monfort nel Trattato della vera devozione a Maria”.

Il Beato Papa, ha detto il porporato, ha visto infatti “un segno della maternità di Maria sulla nostra epoca, segnata dalle persecuzioni e dal crollo dei totalitarismi” e “ha avuto coscienza di ciò, come testimonia la sua lettura dell’attentato del 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima”.

Il Padre Ottaviano D’Egidio, superiore generale dei Passionisti ha indicato, invece, che ancor prima del suo insegnamento, la grande eredità di Giovanni Paolo II “è la sua testimonianza di vita”. A tal proposito, ha concluso ricordando il “Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo“, come segno simbolico che “quello che chiedeva a tutti egli stesso l’ha fatto per primo”.   

Nel suo intervento, invece, il rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico dal Covolo  ha dichiarato: “Che Giovanni Paolo II fosse un ‘chiamato’, nel senso biblico del termine, è una convinzione sempre più diffusa nelle persone che lo hanno incontrato”.

Il padre passionista Ciro Benedettini, vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede ha centrato la sua relazione sulla capacità di Giovanni Paolo II di comunicare il messaggio cristiano, di farsi ponte e mediatore “vivendo le sofferenze come compimento della volontà di Dio”.

Ha vissuto pienamente il suo ministero petrino “sia nel periodo del suo vigore fisico, quando era chiamato l’atleta di Dio, sia nel tempo della debolezza e della malattia” ha ricordato, “anzi ha dato la parte più convincente del suo messaggio proprio nella debolezza”.

Ha concluso la serie di interventi, il giornalista vaticanista del Tg1, Aldo Maria Valli, che parlato della “forza debole” di questo Papa che “non ha mai fatto mistero dei suoi problemi fisici” e della “preoccupazione che spesso alcuni hanno avuto su cosa potesse dire ai giovani un Pontefice così debole, stanco e malato”.

Wojtyla invece “superò ogni previsione”, ha affermato il giornalista. “Il Papa ha fatto breccia nel mistero del dolore, un mistero che si chiarisce solo in Gesù Cristo, a cui non risponde in modo astratto ma con una chiamata: seguimi”. 

“Ecco perché il Papa – ha concluso Valli –  sebbene sempre più vecchio e stanco, non si è mai fermato, ma fino all’ultimo ha voluto portare l’annuncio del Vangelo nel mondo”.

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ZENIT Staff

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