"Oggi il grande indifeso è Dio"

L’intervento di Salvatore Martinez al Life Day

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ROMA, lunedì, 21 maggio 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito il messaggio di Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, al Life Day.

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Saluto con affetto il popolo della vita, che crede nella vita, che non rinunzia a vivere. Il Rinnovamento nello Spirito, da anni ormai, sente viva e necessaria questa collaborazione, perché se grande è la sfida che ci attende, ancor più grande sarà la nostra risposta se esperimenteremo il dono della comunione e dell’unità.

Le parole di un salmo ci permettono di dare alla tutela della vita un risvolto non sempre evidenziato: «Dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo» (Sal 127, 3).

Dunque sentiamo il dovere irrinunciabile di tutelare e promuovere il diritto imperscrutabile di Dio Padre e conseguentemente – non a prescindere – i diritti nativi degli uomini suoi figli. Il grande indifeso, oggi, è Dio, il Creatore, sempre più eclissato dalla storia.

L’aborto, l’eutanasia, sono sfide aperte a Dio e in fondo all’uomo stesso. Una sfida aperta al genere umano che finisce con il combattere se stesso, il proprio destino di felicità nel tentativo di eliminare Dio dalla storia e quindi dal grembo delle madri, di eclissare il divino dal cuore dell’uomo.

Un credente professa «che lo Spirito Santo è Signore e dà la vita» (Credo niceno costantinopolitano): da Lui provengono il bene grande dell’amore sponsale e familiare, il potere di dare la vita, la compassione e la fraternità cristiane di cui abbisogna la nostra umanità.

È sempre lo Spirito che, come i primi cristiani, ci spinge a rendere testimonianza del «Verbo della vita» (1Gv 1, 1), perché sia illuminata ogni tenebra di menzogna e di morte che attenta al vero bene dell’uomo secondo i voleri di Dio Creatore.

Il tempo che viviamo è sempre più pervaso da siccità di valori spirituali. Stiamo supinamente accettando che il regno del soggettivismo esasperato continui a produrre e a giustificare il moltiplicarsi di crudeltà. Sì, perché l’egoismo, il giustificare l’aborto come scelta d’amore (per risparmiare a se stessi e ai propri figli la fatica di essere uomini tra le prove della vita) è scuola di crudeltà!

Già il Concilio profetizzava che «legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità è riposto nelle mani di chi saprà trasmettere alle nuove generazioni “ragioni di vita e di speranza”» (Gaudium et Spes, n. 31).

Dunque, occorre insegnare alle nuove generazioni “l’arte di vivere”. Come ha ricordato più volte Benedetto XVI, ciò significa primariamente, oggi, la parola “evangelizzare”: educare a vivere. A vivere una vita buona, piena, felice. Altrimenti diventa insopportabile, per se stessi e per gli altri.

Lorena aveva 16 anni quando si suicidò nella metropolitana di Roma. Nel biglietto lasciato accanto al suo corpo si leggeva: “grazie papa, mamma. Mi avete dato tutto, ma non mi avete insegnato ad amare”.

A vivere s’impara soffrendo, facendo spazio nel nostro cuore alla consolazione divina.  È lo Spirito Santo che ci insegna, dal di dentro, come un “Maestro interiore”, che cosa significa vivere per amore.

S. Pietro ne fece esperienza. Non era stato capace di difendere la Vita; si era arreso alla menzogna non riconoscendo di essere un seguace di Gesù dinanzi ad una serva, per paura di fare anch’egli la stessa fine del Maestro.

Ma nel giorno di Pentecoste tutto cambiò per lui. Con l’effusione dello Spirito, con una nuova capacità d’amore che agiva dentro di lui, Pietro non avrà più paura e affronterà il popolo d’Israele gridando: “Avete ucciso l’autore della vita” (At 3, 15). Ora anche lui era pronto a dare la vita per amore.

La vita la si trova donandola e non impossessandosene. “La vita è bella” ci ha raccontato con maestria, in un film, Roberto Benigni. E se fosse “brutta”? Allora la sopprimo? La vita è semplicemente “originale”; un’originalità che discende dall’amore, dall’amare e dal sentirsi amati.

Vivere è la cosa più rara al mondo. “Voglio vivere e non vivacchiare” diceva il beato Piergiorgio Frassati ai suoi coetanei. Purtroppo, spesso l’uomo impara a vivere quando è troppo tardi. Per Thomas Elliot, “quindici minuti prima di morire l’uomo si dà contezza della propria vita”.

Quando una creatura viene al mondo, la prendiamo e la portiamo a noi con due mani. Idealmente, vorrei che considerassimo le nostre due mani entrambe utili per reggere con una la vita umana, con l’altra la vita divina; con una il nostro destino di uomini; con l’altra il destino di Dio tra gli uomini.

Non ci arrendiamo, allora. La profezia obbedisce allo Spirito di verità e lo Spirito di verità forgia i testimoni della vita. Continuiamo il nostro cammino e seminiamo speranza creatrice.

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ZENIT Staff

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