La riflessione sull’arte è intimamente legata alla riflessione sulla tecnica. Vorrei proporre qualche riflessione sulla tecnica e la tecnologia nel mondo contemporaneo, per mostrare come una corretta impostazione della questione dell’arte possa essere utile all’analisi della criticità della situazione tecnologica contemporanea.
Innanzitutto un chiarimento. Nel linguaggio comune –e non solo in esso- sovente si usano in maniera indistinta i termini “tecnica” e “tecnologia”, che significano, invece, realtà che, se pur connesse tra di loro, sono diverse.
Infatti, la tecnica significa «quella forma di attività che produce mezzi e processi capaci di migliorare le condizioni di vita e del lavoro umano»1, e in quanto tale esiste da sempre «è nata con l’uomo», «esiste da quando esiste la cultura e aiuta la persona ad aprirsi al mondo, permettendole di abitare la terra»2. La tecnologia, invece, è tipica della cultura contemporanea, ed è «la scienza dell’artificializzazione; un sapere che rende sempre più artificiale l’ambiente in cui viviamo e il nostro stesso corpo»3.
Una riflessione sulla tecnica è presente in tutta la storia del pensiero, mentre la riflessione sulla tecnologia è tipica dell’epoca contemporanea.
Nel XX secolo si fa chiara la consapevolezza dei rischi legati alla “tecnica”: l’aggressività e l’esigenza di energia, intrinseche alla tecnica, possono causare lo sconvolgimento dell’ecosistema e la costruzione di tecnologie belliche distruttive difficilmente controllabili potrebbe causare catastrofi.
La condizione antropologica propria del produrre tecnologico è profondamente diversa dal fare artigianale: «Mentre nell’età pre-tecnologica il fare era arte e l’artigiano si rispecchiava nell’opera che riproduceva la sua “qualità” , nell’età della tecnica il fare è produzione, secondo quei criteri di razionalità il cui calcolo può effettuarsi solo sostituendo le proprietà qualitative, che sfuggono al calcolo, con quelle quantitative, che si evidenziano frazionando il fare in quelle operazioni parziali che il sistema tecnico collega fra loro, fino a unificarle nel prodotto.[…] l’uomo, che come tecnico opera in un sistema parziale, è calcolato dall’apparato e dal calcolo reificato in un sistema estraneo che il suo fare non può modificare, ma solo riflettere. […] Ciò significa che l’uomo non è più in rapporto con il mondo, ma esclusivamente con le leggi che governano il sistema parziale in cui il singolo si trova ad operare»4.
La tecnica non costituisce più solo un mezzo, ma appare trasformata essa stessa in fine: « nell’epoca della tecnica si realizza invece una inversione tra fine e mezzi» 5.
Così, la tecnica, che sembrava essere un potente strumento liberante, propone invece problematicamente la questione del dominio.
La riflessione contemporanea ha preso carico del dramma di questa situazione, denunciandola in vario modo; così, per esempio, innanzitutto Heidegger6, secondo il quale la tecnica minaccia la vita dell’uomo ed il suo stesso “essere-nel-mondo”; il predominio del “pensiero calcolante” minaccia la stessa essenza pensante dell’uomo.
Altre riflessioni interessanti possono essere trovate, per esempio, in Ernst Jünger, Oltre la linea (1989), Günther Anders, L’uomo è antiquato (1992), Hannah Arendt, Vita actica. La condizione umana (1994), Hans Jonas Il principio responsabilità (1990).
Secondo Oswald Spengler la tecnica si colloca proprio tra dominio e destino. Heidegger sottolinea che l’aspetto inquietante non sta tanto nel dominio, ma nella impreparazione umana a gestirlo: «Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo. Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca»7 .
L’enorme capacità di gestire eventi naturali dà all’uomo l’ambizione di essere “padrone della natura”: «Questa nostra tendenza al dominio si esprime non soltanto nell’acquisizione, attraverso l’attività scientifica, di una conoscenza sempre più ampia degli intimi segreti della natura stessa, ma soprattutto nell’intervenire con forza sull’habitat naturale, il quale sospinto oltre le proprie capacità di carico ne risulta seriamente intaccato». Ma gli effetti del dominio richiedono particolare riflessione; accade infatti un fenomeno complementare, da una parte la “disumanizzazione della natura”, dall’altra la “denaturalizzazione della persona”8.
La tecnica da strumento di dominio è divenuta essa stessa dominante: «L’esperienza ci ha insegnato che gli sviluppi di volta in volta avviati, con obiettivi a breve termine, dal fare tecnologico presentano la tendenza a rendersi autonomi, ossia ad acquistare una propria dinamica coattiva, un impeto automatico in forza del quale non soltanto diventano irreversibili, com’è stato detto, ma acquistano una funzione propulsiva al punto da trascendere la volontà e i piani degli attori. Ciò a cui un tempo è stato dato avvio ci sottrae di mano la legge dell’agire e i fatti compiuti sfociano nella normatività della coazione a ripetere … qui più che altrove si verifica che, mentre siamo liberi di fare il primo passo, al secondo e a tutti gli altri successivi siamo già schiavi»9
Come si esprime suggestivamente Splenger: «Essa (la macchina) lo costringe, anzi ci costringe tutto, senza eccezione –che lo sappiamo e lo vogliamo oppure no- a seguire la direzione della propria strada. L vincitore caduto viene trascinato a morte dal carro lanciato a folle velocità» 10
La denuncia impone non solo la capacità di formulare domande, ma anche di cercare risposte, per il recupero di quell’umanesimo che significa cultivatio animi, cura della propria umanità: «La nostra è un’epoca di transizione, caratterizzata oggi dal dominio della tecnica, che è diventata fine delle nostre azioni, da schiava a padrona. La sfida: il recupero della propria interiorità, del centro della nostra intelligenza, per recuperare la nostra anima»11.
Nella sfida del recupero della propria anima, sta l’importanza della dimensione artistica, come vedremo nel seguito.
(segue)
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1 S. Rondinara,, Tecnologia, politica, sviluppo, in Comunicazione e dialogo nelle arti e nei mestieri dei media: Idee e sperimentazioni, Congresso 2004, in www.net-one.org.
2 Id., Filosofia e web 2.0, in Web 2.0 Educazione e comunicazione: nuove sfide personale e collettive, Università Pontificia Salesiana, Roma 2012 (http://fse2.unisal.it/op/convegno2012/)
3 Id., Tecnologia, politica, sviluppo, cit.
4 U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 403-404
5 G. Anders, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 113.
6 Nel saggio del 1938 L’epoca dell’immagine del mondo, Heidegger afferma che le manifestazioni del mondo moder
no sono la scienza moderna, l’arte ricondotta all’orizzonte dell’estetica, il concepire e progettare l’agire umano come kultur, la sdivinizzazione e la tecnica intesa come «trasformazione autonoma della natura tale da importare prima di tutto l’impiego della scienza matematica in natura» M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1984, p. 72.
7 Id., L’abbandono, Il melangolo, Genova 1989, p. 36.
8 S. Rondinara, Dominare il dominio, in “Documentazione Interdisciplinare Scienza e Fede”, febbraio 2006. www.disf.org
9 H. Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1990, p. 41.
10 O. Spengler, L’uomo e la tecnica. Contributo a una filosofia della vita, Guanda, Parma 1992, p. 89.
11 S. Rondinara, Filosofia e web 2.0, in Web 2.0 Educazione e comunicazione: nuove sfide personale e collettive, Università Pontificia Salesiana, Roma 2012 (http://fse2.unisal.it/op/convegno2012/)