ROMA, giovedì, 14 giugno 2012 (ZENIT.org).
Vangelo
Matteo 5,20-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Lettura
Mentre nella prima lettura di ieri l’elemento rappresentativo del divino era il fuoco, oggi è l’acqua. Per la religiosità cananea, Baal era il dio della pioggia e della fertilità della terra. Il fatto che vi sia una siccità nonostante il culto a Baal, indica la sconfitta di quella divinità. L’unico che può donare la pioggia, e, quindi, la fecondità, la vita, la prosperità, è il Dio di Israele. Il Vangelo parla della «giustizia superiore».
Meditazione
In cosa consiste la «giustizia superiore» che deve caratterizzare il discepolo di Cristo? Nell’osservare la Legge non secondo la materialità dell’espressione, ma secondo la comprensione della finalità profonda. Il passo delle cosiddette «antitesi» («Avete inteso che fu detto […]. Ma io vi dico») – che, in realtà, antitesi non sono in quanto Gesù non contrappone la sua Legge all’antica, ma porta quest’ultima a compimento –, prende in esame alcuni casi esemplificativi. Oggi vediamo quello relativo al comandamento di non uccidere. Gesù afferma che la proibizione di uccidere va intesa in un’accezione più ampia rispetto al togliere la vita in senso stretto. Uccidere significa anche adirarsi con qualcuno, dirgli stupido o pazzo, e litigare. Il “fratello” a cui Gesù si riferisce è non solo un altro appartenente alla comunità, ma ogni persona. Posso uccidere il fratello adirandomi con lui, o entrando in una situazione di litigio. Qui non si tratta dell’ira che nasce dall’amore per l’altro (ad esempio, l’ira del genitore nei confronti del figlio), ma dell’ira come espressione del desiderio che l’altro non esista. L’ira diviene un atto blasfemo perché si vorrebbe che Dio non avesse creato il fratello. È volontà di morte. Posso uccidere il fratello dicendogli “stupido” o “pazzo”. Sì, la parola può uccidere: «Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua» (Sir 28,18). “Stupido” traduce l’aramaico rakà: “testa vuota”. Con la parola posso uccidere la stima che l’altro ha di sé, e che gli altri hanno di lui; lo posso annientare. “Pazzo” rende il greco moròs, che significa anche “stolto, privo di sapienza”. Uccido il fratello quando mi arrogo il diritto di esprimere un giudizio sul suo rapporto con Dio. Anche questa è un’azione di morte perché non credo che Dio sia in grado di salvare il fratello.
Preghiera
Signore, grazie per la presenza dell’altro.
Agire
Compio un gesto di riconoscenza per la presenza del fratello.
La meditazione quotidiana è un servizio offerto dal Regnum Christi. Le riflessioni sul vangelo del giorno sono tratte da Messa Meditazione, per gentile concessione di Edizioni ART.