ROMA, domenica, 24 giugno 2012 (ZENIT.org).-

Quesito:

Siamo un gruppo di medici (alcuni in specialità, altri svolgono corso medico in medicina
generale) che operano in provincia di [omissis] come guardia medica. Vorremmo avere
alcune delucidazioni sulla nostra possibilità di negare la prescrizione della "pillola del
giorno dopo" in quanto veniamo continuamente minacciati, in maniera non ufficiale
naturalmente, di possibili denunce nei nostri confronti. Vorremmo sapere quindi come
possiamo agire in coerenza ed alla luce della legislazione vigente.
Grazie per l'attenzione.
[omissis]

Risposta:

Si devono considerare a tal proposito una serie di presupposti, sulla cui base l’ammissibilità giuridica dell’obiezione di coscienza alla prescrizione e alla somministrazione della c.d. Pillola del giorno dopo, e ora, a maggior ragione, della pillola dei cinque giorni dopo, non può non essere riconosciuta:

- Rilievo basilare è che sussistono elementi non eludibili dal punto di vista scientifico1, suffragati dalle stesse indicazioni delle case farmaceutiche, che attestano l’attitudine delle pillole in parola ad agire anche nella fase post-concezionale, impedendo l’ulteriore procedere della vita dell’embrione e, in particolare, il suo annidamento nella parete uterina.2

Quantomeno, dunque, non può assolutamente escludersi che simile effetto sia in grado di determinarsi, e anzi è attendibile (con le differenze relative ai due contesti in esame) che esso abbia un’incidenza rilevante.

Risulta evidente, inoltre, che la prescrizione e la somministrazione delle pillole menzionate assume rilievo causale decisivo rispetto al possibile determinarsi dei loro effetti.

- L’obiezione di coscienza nei casi in esame non è esplicitamente prevista da una norma di legge: in particolare, la previsione di cui all’art. 9 della legge n. 194/1978 attiene al contesto della interruzione di una gravidanza accertata. Ma ciò non preclude, per molteplici motivi, il riconoscimento del diritto all’obiezione.

- Sussistono, innanzitutto, le condizioni che consentono l’applicabilità per analogia, ai sensi dell’art. 12, co. 2, disp. prel. cod. civ., del medesimo art. 9, posto che nell’ipotesi in quest’ultimo esplicitamente prevista e nei casi in esame è riscontrabile la medesima ratio giustificativa dell’obiezione, rappresentata dall’indisponibilità ad agire in senso lesivo di una vita umana nella fase prenatale, e segnatamente di una vita umana che va svolgendo la sua sequenza esistenziale all’interno del corpo femminile.

Considerato, del resto, che l’art. 9 cit. restringe l’ambito della potenziale applicabilità di norme penali incriminatrici, l’utilizzazione analogica della medesima norma non va incontro al divieto di cui all’art. 14 disp. prel. cod. civ., dando luogo per l’appunto, sotto il profilo penale, a un’ipotesi di c.d. analogia in bonam partem.3

- Anche a prescindere da questi rilievi, peraltro, i casi dei quali discutiamo, in quanto riguardano l’indisponibilità alla collaborazione verso un atto lesivo della vita umana, devono ritenersi afferenti all’ambito di un diritto all’obiezione che ha fondamento costituzionale e risulta desumibile direttamente dalla Costituzione.4

Tale indisponibilità, infatti, non riflette un atteggiamento antigiuridico, ma la fedeltà al rilievo di quel particolare bene – la vita umana – il cui rispetto assume un ruolo del tutto preminente nell’impianto costituzionale, costituendo presidio del mutuo riconoscimento fra gli esseri umani come uguali (vale a dire, del principio di uguaglianza), nonché presupposto necessario dell’esercizio di qualsiasi altro diritto.

Per cui se l’ordinamento giuridico non vieta ogni lesione della vita e, talora, richiede a determinati soggetti di tenere condotte idonee a ledere la vita umana (senza che di ciò si discutano in questa sede le motivazioni), non può tuttavia obbligare ad agire in tal senso: cioè a svolgere professioni, come quella del militare, che abbiano come contenuto loro proprio tale possibilità, oppure ad accettare l’eventualità di dover ledere la vita umana da parte degli esercenti professioni, come quelle sanitarie, di cui certo non può dirsi che simile eventualità costituisca elemento caratterizzante5.

Verrebbe meno, altrimenti, qualsiasi rilievo effettivo del rango sovraordinato che compete dal punto di vista costituzionale, nel senso poco sopra descritto, al bene vita.6

Ne deriva, altresì, che l’accesso (per concorso o in qualsiasi altra forma) a ricoprire ruoli professionali che non abbiano come elemento caratterizzante la possibilità di dover esercitare violenza contro la vita umana non può essere subordinato – in quanto ciò lederebbe i principi di uguaglianza e di non discriminazione – al vincolo di non far valere l’obiezione di coscienza nei confronti delle prestazioni suscettibili di ledere la vita.7

- Resta inoltre applicabile in favore del medico che non intenda prescrivere o somministrare le pillole in oggetto la clausola di coscienza contemplata dall’art. 22 del codice di deontologia medica8: clausola che non avrebbe alcuna ragion d’essere se non costituisse un criterio delimitativo degli obblighi giuridicamente ascrivibili al medico, assumendo rilievo, pertanto, anche al di fuori dei casi di obiezione esplicitamente previsti dalla legge9.

E proprio in riferimento alla clausola di coscienza il Comitato Nazionale per la Bioetica ha riconosciuto in modo unanime, nella Nota sulla contraccezione di emergenza approvata il 28 maggio 2004, la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione di Levonorgestrel (LNG): «Ritenuta unanimemente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione di LNG, si è svolta all’interno del CNB un’ampia discussione sulle motivazioni di tale possibilità, configurandosi unanimità sul fatto che il medico il quale non intenda prescrivere o somministrare il LNG in riferimento ai suoi possibili effetti post-fertilizzazione abbia comunque il diritto di appellarsi alla “clausola di coscienza”, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (cfr. p. es. Corte cost. n. 35/1997), e dunque a prescindere da disposizioni normative specificamente riferite al quesito in esame».

Conclusioni, queste, che sono state coerentemente riferite anche ai farmacisti dalla maggioranza dei membri del CNB nella Nota in merito alla obiezione di coscienza del farmacista alla vendita di contraccettivi di emergenza, approvata il 25 febbraio 2011.

- Da quanto s’è detto deriva che, se l’ordinamento giuridico intende garantire la disponibilità di prestazioni in grado di causare l’interruzione del procedere già attivatosi di una vita umana (prestazioni richieste dagli utenti anche e proprio perché idonee a produrre pure tale effetto), non può operare con modalità coattive nei confronti di soggetti indisponibili per ragioni di coscienza a tenere quelle medesime prestazioni. Potrà muoversi, eventualmente, sul piano organizzativo e informativo, coinvolgendo in via esclusiva nell’esecuzione delle menzionate prestazioni soggetti disponibili ad effettuarle.

Ciò considerato, sono da ritenersi molto forti i motivi che conducono a escludere possibili iniziative aventi rilievo giuridico contro i sanitari che intendano far valere l’obiezione di coscienza nei confronti delle pillole in oggetto. E se pure iniziative dovessero essere intraprese, esse non sembrano poter reggere a un vaglio giudiziario.

Si noti del resto che, perfino nel caso in cui – per ipotesi – si dovesse giungere in sede giudiziaria a considerare inammissibile l’obiezione di coscienza nei casi in discussione, sarebbe ben difficile non riconoscere nei sanitari interessati – alla luce della situazione attuale e dei pronunciamenti del Comitato Nazionale per la Bioetica – un errore inevitabile (e come tale scusabile) di diritto sull’obbligo penalmente rilevante, come altresì l’assenza del dolo in merito all’antigiuridicità della condotta.

Neppure si trascuri che eventuali pressioni o minacce intese a far sì che l’obiezione non sia esercitata potrebbero a loro volta essere suscettibili, sussistendone le condizioni, di rilievo giuridico, anche sul piano penale (per esempio con riguardo ai reati di violenza privata e di minaccia, ex artt. 610 e 612 c.p.).

Roma, 18 giugno 2012

*

NOTE

1 Per una sintesi dei dati, e per i riferimenti bibliografici essenziali (con riguardo non soltanto ai meccanismi di efficacia dell’Ulipristal acetato, ma anche del Levonorgestrel), cfr. p. es.: EMEA. CHMP Assessment Report for ellaOne®, 2009, p.9; FDA. Background document for meeting of advisory committee for reproductive health drugs. NDA 22-474 Ulipristal Acetate (Proposed trade name: Ella).
HRA Pharma, June 17, 2010. (accesso del 12.06.2012, a www.fda.gov/downloads/AdvisoryCommittees/CommitteesMeeting Materials/ Drugs/ReproductiveHealth DrugsAdvisoryCommittee/UCM215425.pdf ; Brache V. et al. Immediate preovulatory administration of 30 mg ulipristal acetate significantly delays follicular rupture. Hum Reprod. 2010;25(9):2256-2263; Mozzanega B., Cosmi E. Considerazioni su ellaOne® (ulipristal acetato), It J Gynaecol Obstet. 2011;23(2/3):107-112; Romano L. Pillola dei cinque giorni dopo: “solo” un contraccettivo? Scienza & Vita bioFiles 2011, 6. (accesso del 12.06.2012, ahttp://www.scienzaevita.org/scarica.php?file=biofile/biofile_6.pdf

2 Fermo il riconoscimento legislativo del diritto alla tutela che compete al concepito: cfr. in part. artt. 1, co. 1, lett. c), l. 405/1975, 1 l. 194/1978, 1 e 14, co. 1, l. 40/2004; Corte cost. nn. 27/1975, 35/1997 etc.

3 Cfr. MANTOVANI F. Obiezione di coscienza: fra presente e futuro. Iustitia 2011;2 (in part. p. 151 s.)

4 Cfr. Leoncini I. Laicità dello Stato, pluralismo e diritto costituzionale all’obiezione di coscienza. In Aa.Vv. Studi in onore di M. Romano, Napoli: Jovene, 2011: vol. I (in part. p. 402).

5 Si consideri l’art. 1 l. 12 ottobre 1993, n. 413 (Norme sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale), il quale conferma, indirettamente, il particolare significato che non può non assumere, ai fini dell’obiezione di coscienza, la non disponibilità ad agire contro la vita umana: la norma appena richiamata, infatti, dichiara addirittura di voler salvaguardare tutti «i cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi».

6 Cfr. Eusebi L. Obiezione di coscienza del professionista sanitario, in Rodotà S., Zatti P. (diretto da), Trattato di biodiritto, vol. III, I diritti in medicina, a cura di Lenti L., Palermo Fabris E., Zatti P., Milano: Giuffrè, 2011: p. 173 ss.

7 Circa l’esigenza che sia esclusa qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di chi rifiuti il compimento di simili prestazioni in ambito medico si consideri: Council of Europe, Resolution 1763 (2010). The right to conscientious objection in lawful medical care.

8 «Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita, e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento».

9 Si consideri il punto 3.16 del Codice Deontologico dell’Ostetrica/o della Federazione Nazionale Collegi Ostetriche, approvato in data 19.06.2010: «L’ostetrica/o di fronte ad una richiesta di intervento in conflitto con i principi etici della professione e con i valori personali, si avvale della obiezione di coscienza quando prevista dalla legge e si avvale della clausola di coscienza negli altri casi, garantendo le prestazioni inderogabili per la tutela della incolumità e della vita di tutti i soggetti coinvolti».