ROMA, lunedì, 18 giugno 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il fondo a firma di monsignor Bruno Forte, arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto (in Abruzzo), pubblicato ieri, domenica 17 giugno, sul quotidiano Il Sole 24 Ore.
***
La pubblicazione di alcune carte private di Benedetto XVI (per lo più missive riservate, a Lui indirizzate), in un libro dal fin troppo facile successo editoriale, rappresenta una grave caduta sotto il profilo dell’etica della comunicazione. In quest’operazione giornalistica il rispetto dovuto a ogni persona non è stato minimamente tenuto in conto, in particolare quello più che doveroso alla persona del Papa e di quanti con confidenza e senso di responsabilità gli scrivevano. Se lo scopo era quello di far passare la comunità ecclesiale nel suo centro universale, la Curia romana, come una sorta di “nido di vipere”, screditando in tal modo allo stesso tempo l’autorità morale della Chiesa cattolica, esso sembra del tutto fallito: e questo specialmente nell’ambito del popolo di Dio, dove proprio il voler mostrare il Successore di Pietro in una condizione di fragilità e di solitudine ha suscitato verso di lui un’ondata di affetto e di vicinanza nella preghiera di proporzioni impressionanti. Le ovazioni rivolte al Papa dal milione di persone presenti alla Messa celebrata all’aeroporto di Bresso a Milano in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie quindici giorni fa, come gli innumerevoli segnali di devozione e di affetto che si vanno moltiplicando nelle Chiese locali di tutto il mondo, ne sono una riprova.
Anche protagonisti della cultura “laica” e della vita pubblica hanno mostrato la loro giusta indignazione di fronte a questo sfruttamento mediatico della “privacy” di tanti, in primo luogo di quel riferimento morale e spirituale altissimo che è per il mondo intero Benedetto XVI. Ciò che più colpisce dolorosamente in questa vicenda è la figura del cosiddetto “corvo”, di chi cioè quelle carte ha passato all’esterno, facendole uscire dalla riservatezza che ad essa competeva: si è trattato di un grave tradimento della fiducia ricevuta, di un atto moralmente riprovevole al grado più alto. Peraltro, al tradimento la comunità dei discepoli di Cristo è abituata sin dai suoi albori, a partire dal dramma di Giuda e da quei famigerati “trenta denari” che – macchiati di sangue – sono stati ritenuti adatti solo a comprare un campo di morti per gli stranieri. Eppure, in questa vicenda emerge uno straordinario aspetto positivo, legato alla testimonianza più che mai luminosa e credibile di Benedetto XVI, dalla fede veramente rocciosa.
Ne sono prova le parole pronunciate dal Papa all’udienza di mercoledì scorso nell’Aula Nervi in Vaticano, su cui merita più che mai soffermarsi: il contesto era quello della riflessione sulla preghiera, “oasi di pace in cui possiamo attingere l’acqua che alimenta la nostra vita spirituale e trasforma la nostra esistenza”. Il modello che il Pontefice ha proposto è stato l’Apostolo Paolo, che in un tempo di gravi sofferenze “per tre volte ha pregato insistentemente il Signore di allontanare questa prova”. Ed è in questa situazione che, nella contemplazione profonda di Dio, riceve risposta alla sua supplica: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Corinzi 12, 9). La logica dell’Apostolo è lineare: egli “non si vanta delle sue azioni, ma dell’attività di Cristo che agisce proprio nella sua debolezza”. Commenta Benedetto XVI: “Questo atteggiamento di profonda umiltà e fiducia di fronte al manifestarsi di Dio è fondamentale anche per la nostra preghiera e per la nostra vita, per la nostra relazione a Dio e alle nostre debolezze… Paolo comprende con chiarezza come affrontare e vivere ogni evento, soprattutto la sofferenza, la difficoltà, la persecuzione: nel momento in cui si sperimenta la propria debolezza, si manifesta la potenza di Dio, che non abbandona, non lascia soli, ma diventa sostegno e forza”.
Segue qui una toccante dichiarazione del Papa, in cui sembra manifestarsi con discrezione e modestia qualcosa della sofferenza da Lui provata: “Certo, Paolo avrebbe preferito essere liberato da questa sofferenza; ma Dio dice: No, questo è necessario per te. Avrai sufficiente grazia per resistere e per fare quanto deve essere fatto. Questo vale anche per noi. Il Signore non ci libera dai mali, ma ci aiuta a maturare nelle sofferenze, nelle difficoltà, nelle persecuzioni… Non è la potenza dei nostri mezzi, delle nostre virtù, delle nostre capacità che realizza il Regno di Dio, ma è Dio che opera meraviglie proprio attraverso la nostra debolezza, la nostra inadeguatezza all’incarico. Dobbiamo, quindi, avere l’umiltà di non confidare semplicemente in noi stessi, ma di lavorare, con l’aiuto del Signore, nella vigna del Signore, affidandoci a Lui come fragili vasi di creta”.
Traspare qui la testimonianza dell’uomo di fede, che sa bene quanto importante siano “la costanza, la fedeltà del rapporto con Dio, soprattutto nelle situazioni di aridità, di difficoltà, di sofferenza, di apparente assenza di Dio”. E questo è frutto di un grande amore: “Soltanto se siamo afferrati dall’amore di Cristo, saremo in grado di affrontare ogni avversità come Paolo, convinti che tutto possiamo in Colui che ci dà la forza”. Proprio così, sullo squallore della vicenda “Vatican Leaks” si leva la grandezza della statura spirituale di questo Papa, che diventa un messaggio di vita e di speranza per tutti noi: di fronte alle prove della vita e della storia, specie di quelle che ci arrivano tanto inaspettate, quanto dolorose, da quelle morali a quelle fisiche (come ad esempio nelle vicende drammatiche del recente terremoto in Emilia), di fronte alla crisi etica che è alla radice delle difficoltà odierne nel “villaggio globale”, occorre soprattutto mantenere alta la fiducia nella forza del bene, della capacità della verità di risultare alla fine vincente, e la serena certezza – vivissima in chi crede – di non essere soli, ma di poter contare sulla fedeltà di un amore che non verrà mai meno e che sosterrà nei flutti la barca della Chiesa e di chiunque si affidi al Dio vivente su una rotta sicura, verso un porto di giustizia e di pace per tutti.