Benedetto XVI cammina su un filo religioso

Cercando di portare avanti il suo messaggio nonostante le critiche

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di padre Thomas D. Williams, LC

GERUSALEMME, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Questa mattina ci siamo svegliati a Gerusalemme con i titoli dei giornali che sottolineavano la presunta inadeguatezza del rimorso di Papa Benedetto XVI nella sua visita al Memoriale dell’Olocausto Yad Vashem questo lunedì e nel suo incontro con sei sopravvissuti all’Olocausto. Le critiche avevano più a che vedere con le omissioni – ciò che i critici pensavano avrebbe dovuto essere detto – che con ciò che il Papa ha effettivamente fatto e detto.

Nonostante il suo ricordo esplicito della Shoah nel primo discorso pronunciato in Israele e la sua inequivocabile condanna dell’antisemitismo (“Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi”), molti commentatori hanno affermato che non è stato abbastanza. Alcuni hanno detto che le parole “nazista” e “assassinio” non erano comparse nel suo discorso allo Yad Vashem, altri hanno dichiarato che il Papa avrebbe dovuto scusarsi per la presunta complicità cattolica nell’Olocausto. Altri ancora hanno criticato il Pontefice per essere stato arruolato nell’esercito tedesco (anche se poi ha disertato) e per aver mostrato una scarsa emozione nel suo discorso allo Yad Vashem.

Di fronte a questa ondata di critiche si sa a malapena da dove iniziare (ho solo grattato la superficie). Sembra che alcuni degli ascoltatori del Santo Padre non sarebbero mai stati soddisfatti per ciò che poteva dire o fare, a meno che non fosse caduto in ginocchio pregando la terra di inghiottirlo nella vergogna più totale. In cambio di quello che mi è sembrato un approccio sincero e umile di pace e riconciliazione, il Santo Padre è stato rimproverato come se fosse personalmente responsabile della sofferenza ebraica nel mondo.

Ho cercato invano di spiegare a molti israeliani che il Papa non è un uomo che esprime apertamente le sue emozioni, per cui qualunque dimostrazione di angoscia che si aspettavano da lui non corrisponderebbe alla sua natura. Li ho invitati a guardare maggiormente alla decisione personale del Pontefice di affrontare la questione in un modo così franco e di visitare il Memoriale dell’Olocausto come momento forte del suo primo giorno in Israele (il che non gli era stato certo richiesto), come dimostrazione della sua profonda vicinanza. Purtroppo queste argomentazioni non sono servite.

Nel frattempo, dall’altro estremo, le reazioni sono altrettanto appassionate. Questa mattina ho ricevuto una forte e-mail di un cristiano di Gaza che mi aveva visto al telegiornale e ha obiettato nei confronti dell’attenzione quasi esclusiva data agli ebrei nei resoconti di questa visita. Il suo lungo messaggio, intitolato “E noi?”, elencava una serie di lamentele contro il trattamento dei palestinesi da parte dello Stato di Israele. “Forse lei ha dimenticato”, ha scritto, “che Israele è stato costruito sul sangue e sulle case di migliaia di palestinesi cattolici e cristiani”. “Forse ha dimenticato che Israele sta costruendo un muro di apartheid, in qualche modo peggiore del muro di Berlino e di quello sudafricano”, ha aggiunto.

Per un momento mi sono sentito in piccola parte partecipe di ciò che il Santo Padre deve sperimentare mentre cerca di navigare per le secche estremamente difficili del teso sentimento religioso che permea questa regione. Come un uomo che cammina su un filo spirituale, basta che si pieghi leggermente a sinistra o a destra e viene immediatamente etichettato come insensibile o malvagio. Ancora peggio, anche quando cerca di raggiungere il perfetto equilibrio non è mai sufficiente. Sembra che molti osservatori non si interessino minimamente delle reali intenzioni del Papa per questo pellegrinaggio o del contenuto positivo del suo messaggio, e passano tutte le sue parole e le sue azioni al microscopio alla ricerca di qualcosa in cui trovare un errore.

Malgrado tutto questo, il Papa sembra notevolmente sicuro di sé e sereno, segno della profondità delle sue convinzioni spirituali e della sua grande fiducia che la grazia di Dio porti abbondanti frutti da questa visita. Le sue giornate sono letteralmente piene di attività, a volte una ogni ora, e nonostante questo ha un costante buonumore.

Un uomo che almeno in apparenza è sembrato più in sintonia con Papa Benedetto è stato il Presidente di Israele, Shimon Peres. In un importante passaggio del suo discorso di benvenuto al Santo Padre, è sembrato che abbia captato meglio di chiunque altro l’importanza della sua visita apostolica. “I leader spirituali possono spianare la strada ai leader politici”, ha detto. “Possono liberare i campi minati che ostacolano la via per la pace. I leader spirituali dovrebbero ridurre l’animosità, così che i leader politici non ricorrano a mezzi distruttivi”. A quanti hanno criticato il viaggio papale definendolo inefficace, le parole di Peres sono sembrate incisive e lungimiranti. “Non abbiamo bisogno di più veicoli blindati”, ha aggiunto Peres, “ma di una leadership spirituale ispirata”. E’ ciò che Benedetto XVI sta rappresentando in questa terra martoriata.

Da un punto di vista più “leggero”, mi sono piaciute le mie frequenti corse in ascensore a Gerusalemme per via di una piccola placca ironica che vi ho trovato. Gli ascensori in Israele sono perlopiù costruiti da una compagnia che si chiama Schindler. E visto che qui viene usato l’inglese britannico, chi viaggia in ascensore viene portato su e giù dagli “Schindler Lifts”.

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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l’occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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