Una terra piena di contraddizioni. Un Paese ricco di risorse minerarie e bellezze naturalistiche, in cui l’80 percento della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.
«In alcune regioni i malgasci vivono in condizioni miserabili, nonostante il petrolio, l’oro, i diamanti». Monsignor Rosario Vella racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la realtà del Madagascar e l’opera della locale Chiesa cattolica: «una Chiesa povera per i poveri». Il presule siciliano – primo salesiano alla guida di una diocesi malgascia – vive nell’isola dal 1981 e dal 2007 è vescovo di Ambanja, nel Nord del Paese.
Dopo il colpo di stato militare, che il 17 marzo 2009 ha portato l’ex d.j. Andry Rajoelina alla presidenza dell’Alta Autorità di Transizione – governo de facto privo di alcun riconoscimento internazionale – il Madagascar attraversa un momento assai critico. In questo inizio 2013 le elezioni sono state posticipate più volte e non si esclude la possibilità di un nuovo governo di transizione. I malgasci sono stanchi del protrarsi dell’incertezza, delle ristrettezze economiche e hanno ormai perso ogni speranza. «Viviamo in un caos economico, giuridico, politico, sociale, ma soprattutto morale – spiega monsignor Vella – Mentre le multinazionali stanno depredando l’isola delle sue ricchezze, i tantissimi, troppi, partiti politici guardano unicamente al proprio tornaconto e le persone vengono comprate a basso prezzo». I diritti minimi, come la scuola e l’accesso alle cure sanitarie, non sono garantiti dallo Stato. Solo il 15% della popolazione accede alle cure mediche di base e nei villaggi i bambini muoiono ancora per malattie perfettamente curabili. «Si può accettare la povertà di una famiglia che vive in una casa di paglia, ma non è tollerabile che non possa curare i propri figli per mancanza di denaro o di un ospedale nelle vicinanze. Perché questa non è povertà, è miseria».
Anche nei villaggi più remoti, immersi nella boscaglia, la Chiesa ha costruito scuole e dispensari che accolgono fedeli di ogni religione. Nel Nord del Paese e nelle regioni costiere la percentuale dei cattolici è minima: tra il 2 e il 15%. «Ma le nostre porte sono aperte a tutti», afferma monsignor Vella, ricordando l’opera encomiabile di tanti sacerdoti, religiosi e religiose che percorrono a piedi anche cento chilometri per incontrare comunità molto isolate.
La drammaticità del momento sta causando l’abbandono dei tradizionali valori malgasci – famiglia, solidarietà, rispetto della persona – «sostituiti dalla brama di potere e dalla voglia di facile guadagno, dal libertinaggio e dal relativismo esasperato». L’assenza di punti di riferimento ha conseguenze tragiche sulla formazione dei giovani. «I genitori non riescono più ad educare i figli e gli insegnanti, prostrati dalle avversità, non possono svolgere a pieno il loro dovere. Fortunatamente, e possiamo dirlo a testa alta, la Chiesa cattolica fa tanto, anzi tantissimo in questo campo. Per questi ragazzi le nostre scuole rappresentano l’unica ancora di salvezza».
L’educazione è tra le priorità della Chiesa cattolica. «Siamo fortemente preoccupati per il futuro dei giovani malgasci ed è essenziale garantire loro il diritto allo studio e alla formazione». Spesso nei villaggi vi è soltanto la scuola primaria e per proseguire gli studi, ragazzi di soli 11 o 12 anni sono costretti a trasferirsi. Soli, lontani da casa e con pochissimo denaro a disposizione, gli adolescenti sono esposti a numerosi pericoli. E per proteggerli la diocesi di Ambanja ha creato “villaggi” in cui vivono gli studenti, affidati alle cure di una famiglia, oppure di religiose o sacerdoti. «Da quando abbiamo iniziato, i giovani che continuano a studiare sono nettamente aumentati – spiega il presule – Con una guida accanto è più facile per loro non perdersi o correre il rischio di essere sfruttati. Altrimenti, una volta esauriti i soldi, i ragazzi rischiano di cadere nel giro della criminalità e le ragazze in quello della prostituzione». In Madagascar la prostituzione è un fenomeno diffuso – e in alcune zone lo è anche il turismo sessuale – e spesso sono gli stessi genitori a vendere le figlie adolescenti per necessità economiche.