La disputa sulla qualificazione liturgica del gesto compiuto dal Papa durante la Messa di Pentecoste è – come si suol dire – una “questione di lana caprina”: non era infatti quella la sede, né era quello il momento propizio per compiere il rito dell’esorcismo, che comunque non viene mai celebrato al grande pubblico. Tuttavia il Pontefice, resosi conto – in base alla propria lunga esperienza pastorale – che la persona con cui si era incontrato non aveva soltanto dei problemi psichici e fisici, ha certamente pronunziato una “preghiera di liberazione” dall’influenza del Maligno.
Già il Papa Giovanni Paolo II, anche egli nel corso di una udienza aperta ai fedeli, si era trovato nella stessa situazione, ed aveva agito in modo analogo al successore.
Il gesto compiuto da Francesco, che deve essere letto in parallelo con la sua affermazione sull’esistenza del Demonio e sulla influenza che egli esercita nel mondo, ribadisce una verità della nostra fede. Se poi alcuni giornalisti, poco edotti in materia liturgica, hanno veduto un esorcismo dove non c’era stato – almeno dal punto di vista rituale – ciò è avvenuto perché si tende a restringere l’esistenza del Diavolo in un ambito meramente folcloristico e spettacolare, facendone l’argomento di romanzi e film di successo, quando essa invece pervade ed insidia più che mai le nostre vite.
Il Demonio di certo è sempre esistito ed ha sempre operato nel mondo, ma la nostra epoca – rispetto a quelle precedenti – è caratterizzata da un indebolimento delle difese spirituali contro di lui.
Questa situazione è causata dalla tendenza al relativismo in materia etica: molto si è insistito, giustamente, sul relativismo nel campo della fede; molto meno, però, si è richiamata l’attenzione su di un atteggiamento ancor più dannoso ed ancor meno fondato, dato che mette in discussione non soltanto la legge di Dio, ma anche gli stessi principi della morale naturale.
Oggi, infatti, si tende a giustificare ogni comportamento, anche i più aberranti e i più peccaminosi, nel nome delle circostanze sociali: circostanze che si possono certamente considerare in molti casi come attenuanti, ma mai esimenti della responsabilità individuale.
Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere una sentenza tanto mite da ridurre quasi a una beffa – a giudizio di molti – l’esercizio della giurisdizione penale: quella emessa dal Tribunale dei Minori di Milano contro il giovane che ha ucciso senza motivo alcuno un povero Vigile Urbano; gli esempi, però, si potrebbero moltiplicare.
Se è bene che ad una persona minorenne all’epoca dei fatti si offrano tutte le possibilità di ravvedimento e di reinserimento nella società, è comunque discutibile il contenuto della motivazione del verdetto di condanna laddove praticamente nega l’esistenza di ogni sua responsabilità morale, addossandola completamente all’ambiente in cui era cresciuto: una affermazione quanto meno dubbiosa, che suona quasi come previa giustificazione della reiterazione – da parte di altri – degli stessi comportamenti criminosi.
Il Papa, che viene da un Continente dove il peccato sociale è tanto reale, grave ed esteso da motivare la negazione – da parte di tutta una corrente teologica – della stessa esistenza del peccato individuale, trae da una simile situazione una conclusione completamente opposta rispetto a quella cui sono giunti i fautori di questa scuola di pensiero: egli afferma infatti chiaramente che la presenza e l’azione del Demonio nel mondo pone ciascuno di noi di fronte al dilemma tra contrastarlo o assecondarlo.
Questa è l’eterna alternativa tra il peccato e la Grazia, tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, dinnanzi alla quale non è lecito rimanere neutrali o indifferenti. Tuttavia è paradossale che per renderci conto dell’esistenza e dell’origine della Grazia, del principio sommo del bene, della sede della giustizia, l’uomo contemporaneo debba prendere le mosse dalla causa del peccato, dal principio del male, dalla sede dell’ingiustizia: paradossalmente, ci rendiamo conto dell’esistenza di Dio partendo dall’affermazione dell’esistenza del Demonio.
E con ciò il discorso sul relativismo morale giunge a saldarsi con il discorso sul relativismo in materia di fede. Se ci fermiamo davanti alla constatazione dell’esistenza del Diavolo, finiamo inevitabilmente per ricercare in modo morboso le sue manifestazioni, quando invece sarebbe necessario sollevare il nostro sguardo verso Dio. Occorre dunque in primo luogo restaurare e rafforzare la fede, ed è questo per l’appunto il compito al quale Papa Francesco ci chiama.