Il Papa nella cappella di Santa Marta nel suo pensiero omiletico del 4 giugno scorso ha detto: “L’ipocrisia, è la lingua dei corrotti. Questi non amano la verità. Amano soltanto se stessi e così cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro nella loro menzogna, nella loro bugia. Hanno il cuore bugiardo; non possono dire la verità”.
Alla conclusione, ha auspicato, a mo’ di preghiera rivolta al Signore, “che il nostro sia il parlare dei semplici, il parlare da bambino, parlare da figli di Dio: dunque, parlare nella verità dell’amore”.
Oggi il linguaggio ipocrita è chiamato anche “politicamente corretto”, vale a dire il contrario di un nuovo galateo istituzionale che comprende tre livelli, o meglio tre centri concentrici, via via più ampli se vi includiamo le regole formali anziché limitarci a quelle sostanziali. Da essi dipende sostanzialmente la convivenza civile tra le persone.
Il primo livello – più basso, o, se si preferisce, il cerchio più ampio – è di carattere meramente semantico, per cui non si dice aborto, ma IVG. Il Papa non si occupa però di questioni linguistiche o di antilingua, termine coniato da Italo Calvino, avendo cose più serie cui dedicare la propria attenzione: “de minimis non curat praetor”.
Poi c’è il secondo livello, quello comprendente le offese alle verità storiche, offese che non costituiscono soltanto degli errori scientifici, quanto piuttosto delle istigazioni a ripetere i crimini del passato, o quanto meno delle giustificazioni offerte a chi persevera in pratiche o convinzioni aberranti, soprattutto il razzismo.
L’esempio più clamoroso è offerto dal cosiddetto negazionismo, che aggiunge al tradizionale repertorio delle offese antisemite l’argomento secondo cui gli Ebrei avrebbero inventato l’Olocausto per basare su di esso il loro presunto potere sul mondo intero.
C’è infine un terzo livello di argomenti, che risultano politicamente corretti o scorretti a seconda del metro con cui essi vengono valutati, vale a dire la verità oppure la convenienza: questi temi riguardano solitamente i rapporti internazionali ed i loro riflessi sull’informazione. Qui la lista degli esempi è lunghissima, ed in continuo aggiornamento.
Un nostro amico siriano, esule in Italia, non riusciva nemmeno a farsi ricevere nelle redazioni dei giornali quando voleva denunziare i crimini di Assad: ora viene conteso dagli stessi giornalisti che prima lo disdegnavano. Gesù Cristo ha detto: “Il vostro linguaggio sia: si, si, no, no; il resto è opera del Maligno” (cfr. Mt 5, 33-37): un principio di cui il Papa riafferma ora con forza la piena vigenza ed attualità.
Il problema che ha di fronte il Vescovo di Roma consiste nella necessità di destreggiarsi tra le esigenze e le regole della diplomazia da una parte, e l’insegnamento del Divino Maestro dall’altra. Ben quattro, tra i Papi del Novecento, venivano dal servizio diplomatico della Santa Sede: Benedetto XV, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI. Tutta la loro opera, anche quella antecedente l’assunzione al Soglio di San Pietro, dimostra che si possono conciliare felicemente i due termini dell’apparente dilemma. Questo vale nella parte pubblica dell’azione svolta dalla Santa Sede.
Il Papa deve però soprattutto dirigere con il suo Magistero le coscienze dei fedeli, come anche consigliare tutti gli uomini di buona volontà che – pur non condividendo la nostra stessa fede – ascoltano attentamente il suo consiglio.
Francesco ha dichiarato di auspicare “una Chiesa povera e per i poveri”: i poveri, però, non sono soltanto gli indigenti, ma sono anche quanti attendono che sia resa loro giustizia. Se dunque i Cattolici devono trarre una conseguenza dal più recente insegnamento del Papa è che essi devono sempre sforzarsi di ricercare e di affermare la verità, quella verità da cui – dice la Scrittura – “sarete resi liberi”. I credenti non devono mai tacere per convenienza, devono sempre praticare l’imitazione di Cristo nell’affermare quanto la loro conferma dice essere vero.