Papa Francesco e le strutture di peccato

Nell’omelia del Pontefice a Lampedusa si colgono reminiscenze della “Libertatis conscientia” della Congregazione per la Dottrina della Fede, firmata nel 1986 dal prefetto Ratzinger

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A distanza di una settimana esatta, la visita di papa Francesco a Lampedusa di lunedì 8 luglio continua ad avere una grande risonanza mass mediatica, così come molti dei suoi gesti e delle sue espressioni. Legittima sorge la domanda circa quanto di tale entusiasmo lasci spazio a una riflessione più ponderata e interiorizzazione come richiesto dal Pontefice stesso.

In questo c’è da considerare anche che spesso egli usa espressioni e citazioni ma senza indicarne la fonte, come dei testi senza note di rimando. Di conseguenza importante è cogliere il retroterra dottrinale dei suoi discorsi. Così durante la celebrazione eucaristica a Lampedusa nell’omelia ha parlato di «catena di sbagli che è catena di morte», di una perdita del «senso della responsabilità fraterna», di una «globalizzazione dell’indifferenza», di «coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi».

Leggendo tali espressioni si colgono reminiscenze della Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione Libertatis conscientia della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 22 marzo 1986, che porta la firma dell’allora Prefetto, cardinal Joseph Ratzinger, dove si illustra la realtà delle “strutture di peccato”:

Divenuto centro di sé stesso, l’uomo peccatore tende ad affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare. […] Alla luce del Vangelo molte leggi e strutture appaiono portare il segno del peccato, di cui prolungano l’oppressiva influenza nella società». […]

Questi criteri consentono, altresì, di giudicare il valore delle strutture. Queste sono l’insieme delle istituzioni e delle prassi che gli uomini trovano già esistenti o creano, sul piano nazionale e internazionale, e che orientano o organizzano la vita economica, sociale e politica. Di per sé necessarie, esse tendono spesso a irrigidirsi e a cristallizzarsi in meccanismi relativamente indipendenti dalla volontà umana, paralizzando in tal modo o stravolgendo lo sviluppo sociale, e generando l’ingiustizia. Esse, tuttavia, dipendono sempre dalla responsabilità dell’uomo, che le può modificare, e non da un presunto determinismo storico […] Si può, dunque, parlare di strutture segnate dal peccato, ma non si possono condannare le strutture in quanto tali.

Il primato dato alle strutture e all’organizzazione tecnica sulla persona e sulle esigenze della sua dignità è espressione di un’antropologia materialistica, ed è contrario all’edificazione di un giusto ordine sociale. Tuttavia, la priorità riconosciuta alla libertà e alla conversione del cuore non elimina in alcun modo la necessità di un cambiamento delle strutture ingiuste. È, dunque, pienamente legittimo che coloro i quali soffrono per l’oppressione da parte dei detentori della ricchezza o del potere politico si adoperino, con i mezzi moralmente leciti, per ottenere strutture e istituzioni, in cui i loro diritti siano veramente rispettati.

Resta, nondimeno, che le strutture messe in atto per il bene delle persone sono da sole incapaci di procurarlo e di garantirlo. Ne è prova la corruzione, che colpisce in certi Paesi i dirigenti e la burocrazia di Stato, e che distrugge qualsiasi onesta vita sociale. La dirittura morale è condizione per una società sana. Bisogna, dunque, operare a un tempo per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture, perché il peccato, che è all’origine delle situazioni ingiuste, è , in senso proprio e primario, un atto volontario che ha la sua sorgente nella libertà della persona. È solo in un senso derivato e secondario che esso si applica alle strutture, e che si può parlare di “peccato sociale”.

Volendo chiarire il rapporto tra strutture e libertà umana sempre la Congregazione per la dottrina della fede con l’istruzione su alcuni aspetti della “teologia della Liberazione” Libertatis nuntius, firmata dal cardinal Joseph Ratzinger, già il 6 agosto 1984 sostiene che: “Neppure è possibile localizzare il male principalmente e unicamente nelle cattive ‘strutture’ economiche, sociali o politiche, come se tutti gli altri mali trovassero in esse la loro causa, sicché la creazione di un “uomo nuovo” dipenderebbe dall’instaurazione di diverse strutture economiche e socio-politiche. Certamente esistono strutture ingiuste e generatrici di ingiustizia, che occorre avere il coraggio di cambiare. Frutto dell’azione dell’uomo, le strutture, buone o cattive, sono delle conseguenze prima di essere delle cause. La radice del male risiede dunque nelle persone libere e responsabili, che devono essere convertite dalla grazia di Gesù Cristo, per vivere e agire come creature nuove, nell’amore del prossimo, nella ricerca efficace della giustizia, nella padronanza di se stesse e nell’esercizio delle virtù”.

“L’urgenza di riforme radicali delle strutture che ingenerano la miseria e costituiscono in se stesse delle forme di violenza non deve far perdere di vista che la sorgente delle ingiustizie risiede nel cuore degli uomini. Quindi soltanto facendo appello alle capacità etiche della persona e alla continua necessità di conversione interiore si otterranno dei cambiamenti sociali che saranno veramente al servizio dell’uomo. Infatti man mano che collaboreranno liberamente, di propria iniziativa e solidarmente, per questi cambiamenti necessari, gli uomini, risvegliati al senso della loro responsabilità, si realizzeranno sempre più come uomini. Tale capovolgimento tra moralità e strutture è pregnante di una antropologia materialista incompatibile con la verità sull’uomo”.

“Quindi – scriveva il Papa emerito – è un’illusione mortale anche credere che delle nuove strutture daranno vita, per se stesse, ad un ‘uomo nuovo’, nel senso della verità dell’uomo. Il cristiano non può dimenticare che la sorgente di ogni vera novità è lo Spirito Santo, che ci è stato dato, e che il signore della storia è Dio. Così pure, il rovesciamento delle strutture generatrici d’ingiustizia mediante la violenza rivoluzionaria non è ipso facto l’inizio dell’instaurazione di un regime giusto. Tutti coloro che vogliono sinceramente la vera liberazione dei loro fratelli devono riflettere su un fatto di grande rilevanza del nostro tempo. Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell’uomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire”.

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ZENIT Staff

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