“I-ta-lia-no batti le mani!”. Questo è solo uno dei tanti cori che in questi giorni si sentono per le strade di Rio de Janeiro. I gruppi provenienti dalle diverse diocesi d’Italia sono arrivati quasi tutti nella metropoli, pronti ad incontrare questa sera Papa Francesco sulla spiaggia di Copacabana.
Come sempre gli italiani si fanno notare: sventolano la bandiera tricolore in giro per la città, giocano a calcio con qualsiasi oggetto simile ad una palla, cantano e cercano ogni pretesto per fare amicizia. Molti si raccolgono in preghiera nelle chiese aperte fino a tardi. Altri circolano per bar e ristoranti alla ricerca di qualche pietanza tipica. Sul lungomare di Copacabana, questa mattina, si vedevano gruppi pregare sulla spiaggia o danzare sullo spiazzo dietro il palco allestito per il Pontefice.
Insomma gli italiani di questa Gmg non saranno tantissimi a livello numerico, ma danno quel pizzico di pepe a questo evento che ancora sembra non decollare.
Quasi tutti sono radunati a Casa Italia, la struttura dei barnabiti a Rio centro che la Pastorale giovanile della CEI ha reso suo quartier generale. Lí, anche a mezzanotte inoltrata, ragazzi e ragazze sono fermi al computer o alle televisioni, e i volontari aspettano gli ultimi gruppi per regalare i kit del pellegrino comprendenti il k-way, la radiolina, la guida della città, gli occhiali verdi e gialli (super kitsch, ma molto originali) e altri oggetti necessari per il tempo instabile del Brasile.
La maggior parte è ospitata dalle famiglie del quartiere, per lo più parrocchiani di San Paolo apostolo, che hanno dato la disponibilità completa delle loro abitazioni per far sentire a casa i giovani pellegrini ed evitare loro la scomodità di dormire nelle palestre o nelle scuole.
In generale, l’atmosfera è elettrica: c’è una grande attesa per gli appuntamenti con il Santo Padre, ed è bello vedere da parte di tutti una grande disponibilità a rendere questa ventottesima Gmg un evento di comunione.
Basta un “mi fai accendere?” per far partire lunghe chiacchierate sulle emozioni vissute finora o sulle (dis)avventure del viaggio e della mancata compatibilità tra lingua italiana e portoghese.
I brasiliani, dal canto loro, sono sorridenti e disponibili con i ragazzi e le ragazze che affollano i loro locali. Provano a interagire, salutano e battono le mani al loro passaggio in strada. Sono gentili, al contrario delle tante voci che li descrivevano come un popolo di ladri e di violenti.
È vero, la realtà di Rio de Janeiro non è fatta solo di gente che balla e sorride; la povertà è dilagante e basta scendere qualche fermata di autobus più in là che ci si ritrova nelle favelas, mondi a sé, dove è difficile entrare e da dove, il più delle volte, è difficile uscire.
Solo pochi giorni fa – riferisce a ZENIT Simone, un seminarista di Rio de Janeiro – “un turista tedesco ha sbagliato strada e ha fatto inversione di marcia in una favela. È stato sparato a vista…”. In questo ammasso di casupole che si estendono come presepi lungo le montagne della città, si sperimenta la vera miseria: bambini armati, donne abbandonate e ubriache per strada, violenza, case costruite con materiali cancerogeni sulle cui tavole al posto delle posate ci sono pistole e invece del cibo c’è droga.
Non sono luoghi comuni: Simone, che in una favela c’è entrato per davvero, ha visto tutto ciò con i suoi occhi. “Qualche settimana fa – racconta – il vescovo ha preso contatti con i ‘capi’ di alcune favelas e ha chiesto loro di farci entrare perché volevamo portar loro la parola di Dio. C’era tanta diffidenza nei nostri confronti, e non posso negare che noi seminaristi eravamo impauriti anche solo a muoverci”.
Tuttavia, prosegue, “ci hanno accolti e ci ascoltavano assorti e stupiti quando gli parlavamo di un Dio che li ama e che vuole solo la loro felicità. Abbiamo capito che più della nostra sicurezza, è importante anzi urgente far conoscere a queste persone l’amore del Signore”.
Si spera che l’ondata di giovani della Gmg possa servire anche a questo: penetrare in queste ‘periferie dell’esistenza’, come le chiama Papa Francesco, e far entrare la luce del Vangelo.
Finora, però, un vero e proprio incontro tra europei e latino-americani non c’è stato. “È tutta colpa del tempo”, dicono alcuni, che ha posto un freno a qualsiasi iniziativa.
Effettivamente il clima è la più grande delusione di questa Giornata mondiale: ci si aspettava un’atmosfera autunnale, ma di certo non un diluvio continuo come quello di oggi.
La pioggia insistente ha sconvolto infatti i programmi di parecchi gruppi (soprattutto un eventuale tuffo nell’Atlantico) e deluso le speranze di chi si aspettava un Brasile assolato come quello delle foto su Google.
Rischi e difficoltà, dunque, ci sono. Ma i ragazzi non demordono. In fin conti non hanno fatto quasi 20 ore di volo per prendere il sole o farsi una vacanza. Sono venuti dall’altra parte del mondo per incontrare Gesù Cristo, attraverso l’abbraccio e le parole di Papa Francesco, e per diventare apostoli e testimoni.
Lo confermano alcuni pellegrini incontrati da ZENIT per le strade della metropoli. Tiziano, ad esempio, giovanissimo seminarista italiano trapiantato a Dar-er-Salaam, in Tanzania, racconta: “Sono venuto qui a Rio per ripetere l’esperienza meravigliosa di Madrid, dove, nella Gmg di due anni fa, ho realmente incontrato il Signore, tanto che è nato in me il desiderio di lasciare tutto e seguirlo”.
“Ora – prosegue – spero di rinnovare questa promessa di Dio e rinvigorire lo spirito per l’evangelizzazione che mi aspetta nei prossimi mesi proprio qui in Brasile, a San Paolo”.
Un’esperienza simile è quella di Emmanuel, 27 anni, partito alcuni mesi fa da Roma in missione in Kenya. Anche lui – ha detto a ZENIT – spera di ricevere, in questa Gmg, “una parola concreta di Gesù Cristo che possa cambiarmi la vita come è successo in Spagna”.
E già in questi pochi giorni, ha aggiunto, “nonostante le innumerevoli scomodità sto provando una grande intimità con il Signore”.
Infine Marco, da vent’anni al seguito delle Giornate mondiali della gioventù, prima come pellegrino, ora come accompagnatore, afferma: “Da veterano delle Gmg posso dire che da questo evento non bisogna aspettarsi altro che l’incontro con Cristo. Il che significa entrare nelle difficoltà, trascorrere intere giornate sotto l’acqua senza scoraggiarsi, trasmettere ai ragazzi la fede”.
“Ancora non ho visto lo ‘spirito’ – conclude – per varie problematiche come il tempo, il lungo viaggio, il paese nuovo… Una cosa però mi ha commosso: vedere le famiglie di Rio aprire le proprie case ai giovani, dargli un letto, del cibo, accoglierli, assisterli. Questa ospitalità è per me il segno che quando c’è Gesù si può creare la comunione anche vivendo dall’altra parte del mondo”.