"Nuova responsabilità verso i migranti"

Editoriale di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, sulla “Gazetta del Sud” di domenica 6 ottobre

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«Il viaggiare per profitto viene incoraggiato; il viaggiare per sopravvivenza viene condannato, con grande gioia dei trafficanti di “immigrati illegali” e a dispetto di occasionali ed effimere ondate di orrore e indignazione provocate dalla vista di “emigranti economici” finiti soffocati o annegati nel vano tentativo di raggiungere la terra in grado di sfamarli». L’attualità dell’analisi che il sociologo Zygmunt Bauman affidava al libro dal titolo emblematico La società sotto assedio, (2002) ce la ricordano le centinaia di cadaveri che giovedì scorso a Lampedusa, e qualche giorno prima a Scicli, hanno infestato di morte i mari di Sicilia.

Sembra una tragedia di secoli remoti, di tempi bui di mercanti di schiavi che traghettavano merce umana nel Nuovo mondo ed invece accade ancora. Accade ogni notte che un vecchio legno stracarico tenti la sorte verso la terra promessa: secondo Migrantes, prima dell’ultimo naufragio erano già 200, uno al giorno, i migranti che dall’inizio dell’anno avevano perso la vita nei viaggi della speranza verso le nostre coste.

Davvero inevitabili, queste sciagure? Le associazioni che assistono chi sbarca invocano corridoi umanitari nel Mediterraneo. «L’Europa dei popoli, se c’è, faccia sentire la sua voce», dicono in tanti. Pare, però, che l’Europa sia presa da altri problemi, forse nell’illusione che il lasciare i migranti al loro destino consenta di contenere il numero di quelli che premono alle sue porte. Il flusso che sfida il Mediterraneo assume così i connotati di una migrazione epocale, di un assedio inesorabile del mondo della fame, della guerra e delle persecuzioni al mondo in cui, comunque, si vive. Ecco perché l’esodo non si arresta, proprio come non si ferma, in natura, il flusso tra due vasi comunicanti e diversamente pieni.

Eppure avevamo creduto, oltreché sperato, che l’invito a educare le nostre comunità alla solidarietà verso i fratelli migranti fosse un impegno concreto da tradurre in realtà, ad  ogni livello, dopo il repentino volo di Papa Francesco a Lampedusa lo scorso luglio, in quella circostanza egli aveva invitato tutti «a una nuova responsabilità verso i migranti», evocando l’icona del buon samaritano. Non è successo niente, invece, in Italia, paese che 5 milioni di persone, di 200 nazionalità diverse, con esperienze religiose differenti hanno trasformato in un Paese globale. E non successo niente in Europa, a sua volta trasformata da 35 milioni di migranti in una casa comune.

Mentre le tragedie passano ogni giorno sotto gli occhi, l’indifferenza globalizzata anestetizza pure i cuori e le menti decisionali. Serve, è evidente ed ormai soprattutto necessario, l’inizio di una nuova storia di convivenza civile. Jean Daniélou, creato cardinale da Paolo VI, faceva osservare più di 40 anni fa che la civiltà nasce non tanto con le grandi scoperte, ma con un atto di umanità, di ospitalità. Essa non si può misurare solo in termini di tecnologia e di sviluppo economico, ma soprattutto nella logica dell’accoglienza che trasforma il potenziale nemico in un ospite, da hostis ad hospes. Una scelta complessa e faticosa, ma senza alternative: l’unica via possibile per la civiltà dell’amore.

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ZENIT Staff

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