ROMA, venerdì, 22 maggio 2009 (ZENIT.org).- “Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,9-11).
In questo velato rimprovero degli angeli sta l’annuncio che l’apparente distogliersi dal mondo, proprio dell’ascensione di Gesù al cielo, è in realtà l’affacciarsi permanente del Risorto verso il basso, verso la piccola Galilea, e verso tutte le nazioni della terra. Per capire il messaggio dell’Ascensione partiamo allora da uno spazio circoscritto, un luogo ed un giorno preciso: piazza San Pietro, 2 aprile 2005.
La sera dell’ultimo giorno della vita terrena di Giovanni Paolo II, migliaia di persone stavano là, a guardare in alto verso la sua finestra illuminata, sperando che non morisse. Tuttavia, come i discepoli nell’Ultima Cena, tutti presagivano sconsolatamente l’ora imminente dell’addio. Uno sgomento di solitudine gravava sulla piazza e dentro molte delle case collegate con San Pietro dalla televisione.
Nel pomeriggio di quel sabato, il Papa morente aveva chiesto con un fil di voce: “Lasciatemi andare alla casa del Padre”; ma il senso profondo della sua supplica non era il commiato, bensì questo: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (Gv 14,1). (…)Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22).
La Domenica precedente, giorno di Pasqua, tutti avevamo visto che il Papa della Parola e della Vita, apparso per l’ultima volta alla finestra per la benedizione Urbi et Orbi, non era riuscito a parlare, perché un nodo di commozione più forte delle sue indomite ultime forze, glielo aveva impedito. Parlò tuttavia qualche secondo dopo nella stanza, dicendo: “Sarebbe forse meglio che io muoia, se non posso compiere la missione affidatami”, e aggiunse:”Sia fatta la Tua volontà..Totus tuus” (Dal libro “Lasciatemi andare”, p. 45).
Per comprendere il vero senso che la grande fede di Giovanni Paolo II intendeva dare a queste ultime parole, basta completarle così: “Sarebbe forse meglio che io muoia se non posso più compiere in terra la missione affidatami”. In altre parole, ai suoi giovani e al mondo intero il Vicario di Cristo mandava questo silenzioso messaggio: “E’ bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado (Gv 16,7)…dopo aver percorso tutte le nazioni per vent’otto anni, non potrò essere missionario della dignità e della vita dell’uomo, e di ogni uomo sulla terra, ..tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20)”.
Il messaggio fu accolto al punto che decine di migliaia di persone cominciarono a venire nei giorni seguenti da ogni angolo della terra per dargli l’ultimo saluto, e da allora il flusso continua. Sei giorni dopo, gli occhi di tutto il mondo “videro” Giovanni Paolo II affacciato ad una finestra migliore di quella che da’ su piazza san Pietro; lo videro già santo, radioso e pieno di Vita, lo videro per mezzo della liturgia eucaristica. Vedemmo il suo volto amato, più che mai rivolto verso di noi a partire dal Padre e insieme col Padre, come affermò il suo successore: “Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della Casa del Padre, ci vede e ci benedice” (omelia del card. Ratzinger alla messa esequiale, 8 aprile 2005).
Torniamo ora all’Ascensione del Signore Gesù, riflettendo sulla seconda Lettura di oggi alla luce degli eventi di quattro anni fa. Scrive Paolo agli Efesini: “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: asceso in alto ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese, è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, (…) tendendo a lui che è il Capo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef 4,7-16).
E’ un testo da approfondire, ascoltiamo:
“Andandosene, Gesù ritorna di nuovo per ordinare il mondo secondo lo scopo della creazione. Distogliendo apparentemente lo sguardo dal mondo, egli si volge in realtà ad esso più che mai. Paolo ce lo spiega in immagini: Cristo viene elevato a Capo, a Capo della Chiesa e di tutta la creazione, per poter da questa posizione di privilegio organizzare armonicamente tutto il corpo a lui sottomesso.
Solamente ora vengono assegnati ai singoli membri, quali noi siamo, le loro esatte funzioni. Solamente ora veniamo a sapere a che scopo noi siamo al mondo e che cosa in esso noi dobbiamo fare. Non soltanto un’azione provvisoria, paragonabile ad una rotellina in una macchina immensa e che forse corre a vuoto, senza uno scopo, ma un servizio, che è definitivo e pieno di significato sin dentro l’eternità.
Questo viene descritto in modo particolare sul modello della Chiesa visibile, la quale viene ripetutamente paragonata a un corpo correttamente organizzato e alle sue molteplici funzioni.
In essa c’è, ad esempio, anche la funzione piena di significato della sofferenza, altrettanto ricca di significato quanto fu per noi la sofferenza di Cristo, cosicchè qui – e qui soltanto – viene chiarito ai tanti sofferenti nel mondo il significato positivo, anzi indispensabile del loro dolore, delle loro privazioni, della loro impotenza. In essa c’è, ad esempio, la funzione piena di significato del morire, che è un atto di puro offrirsi e venire accolti, quando viene compiuto nello spirito cristiano. In essa c’è ad esempio la funzione piena di significato della preghiera, che vista dal mondo sembra un’azione vana.
Vista, invece, a partire dal Signore che ne dispone, è del tutto indispensabile per la salute del corpo, è come il sangue che circola in tutte le membra e feconda la loro vita a partire dal tutto. E poi ci sono naturalmente tutti i diversi doni di grazia, ministeri e servizi, ai quali ognuno ha parte secondo le sue capacità e la sua elezione. Possiamo essere certi, tuttavia, che il Signore innalzato al Padre, il Signore che ha sofferto per tutti gli uomini, volge le sue cure non solo alla Chiesa, ma anche a tutti gli uomini al di fuori di essa.
Il suo corpo è, da ultimo, l’umanità nel suo insieme..che Egli fa crescere come un grande corpo, verso una figura piena, che gli permetterà di pervenire al suo traguardo in Dio, di esistere nel fuoco dell’eterno amore del Padre, del Figlio e dello Spirito. Se il mondo non avesse questa meta e non potesse raggiungerla per mezzo dell’Ascensione di Gesù Cristo, noi dovremmo dire di esso che non ha alcun senso ultimo.” (H.U.v. Balthasar, “Tu coroni l’anno con la tua grazia”, p. 95-96).
Ho voluto sottolineare i riferimenti al corpo per orientare la riflessione verso il prodigioso dinamismo di crescita del corpo umano nel grembo, a partire dal primo istante della sua esistenza, quell
o del concepimento. Il mistero dell’Ascensione, come Balthasar suggerisce, riguarda ogni singolo uomo e l’umanità nel suo insieme di un corpo solo.
Biologicamente, il corpo umano ha inscritto quel progetto genetico che presiede alla crescita perfettamente armoniosa di ogni suo membro, con la funzione speciale che gli compete nell’economia prodigiosamente integrata dell’organismo intero, ma ciò è simbolo di un progetto più alto e profondo, spirituale ed eterno, progetto divino di specialissima felicità riguardante l’umanità nel suo insieme, ed ogni uomo nel suo insieme di “spirito, anima e corpo”, tre nomi che non devono far pensare a qualcosa che l’essere umano ha o possiede, ma indicano la totalità della persona: “tutta la vostra persona” (1 Ts 5,23).
Tale progetto della volontà di Dio è il senso stesso della vita e della morte di Gesù: il significato della sua “pasqua”, del suo “passaggio”, della sua “ascensione” da questo mondo al Padre. Tutto ciò vale anche per ogni uomo concepito sotto il cuore della madre, ognuno dei miliardi degli esseri umani concepiti da quando esiste sulla terra l’umanità: sia che la sua vita sia durata cent’anni, sia poche ore, settimane o mesi senza poter nascere; sia che abbia lavorato, abbia avuto figli, abbia lasciato un segno nella storia, sia che sia stato annientato in un forno crematorio o nell’azoto liquido. Nessuno di questi Cristo ha lasciato indietro, quando “asceso in alto ha portato con se prigionieri” ( Ef 4,8).
Gesù entra dunque nel Paradiso e ci precede passando per il travaglio della morte, tunnel oscuro ma anche “sentiero della vita”, che è necessario percorrere con Lui ed in Lui per varcare la soglia della Speranza ed entrare a vivere per sempre la “gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra”(Salmo 16,11). Tutto ciò ora lo intravediamo come al di qua della finestra, prigionieri dell’orizzonte terreno come il bambino nel grembo. Ma se c’è la finestra c’è anche la casa, la Casa del Padre.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.