Il 21 maggio 2014 è stata presentata nella cattedrale londinese di St. Paul l’ultima opera di Bill Viola dal titolo eloquente Martyrs (Earth, Air, Fire, Water). L’opera gli è stata direttamente commissionata dal Reverendo Mark Oakley, canon chancellor of St Paul’s, che ha motivato la sua scelta in una dichiarazione fatta alla giornalista Rachel Spence per “The Financial Times” affermando: “At the end of the day, the language of theology is not the language of information. It’s the language of formation. Of human becoming. So that each step has to be undone for us to grow more. And the Via Negativa is about never arriving. Good art, like good religion, is there to question our answers, not answer our questions. The cathedral brings together a vast number of different people,” he continues, “[with different] faiths, doubts and questions yet a shared language of concerns. Viola touches on all the things that we undergo: birth, death, love. He offers us a shared way into the mysteries.”
In questa dichiarazione ritroviamo una parte delle considerazioni che a volte vengono mosse per motivare operazioni di questo tipo. Di fatto si sposta l’attenzione sulle proprietà di un linguaggio teologico e di conseguenza artistico che non deve essere informativo, che nel contesto potremmo tradurre con più chiarezza con il termine catechetico, ma che lo si preferisce formativo, che nel contesto potremmo tradurre … culturale oppure performativo, o ancora espressivo. Inoltre viene asserito che il numero delle persone che frequentano la cattedrale è tale da comprendere varie formazioni culturali e varie visioni religiose, tanto che la scelta di Bill Viola è stata motivata proprio dalla sua capacità di toccare temi quali la vita, la morte o l’amore.
Ciò che si può rispondere in linea generale è che se l’arte sacra ha un compito, è proprio quello di formare alle verità di fede e non di esprimere una opinione personale su un tema generico che tocca l’umano e vagamente riguarda la rivelazione cristiana.
Se poi si guarda al titolo scelto dall’artista Bill Viola e dalla sua compagna e collaboratrice Kira Perov, Martyrs (Earth, Air, Fire, Water), si possono enucleare due distinte considerazioni, una sul piano teologico del titolo e l’altra su quello culturale. La prima considerazione che cade sotto i nostri occhi è che il titolo Martiri, viene inteso nel senso generico di tortura o di esecuzione, evidentemente non comprendendo affatto il significato originario del termine, che non è tanto quello di mettere in evidenza una sofferenza o una morte, quanto piuttosto quello di testimone, ovvero di colui o colei che visto e conosciuto personalmente Gesù Cristo, avendo sperimentato il suo amore, compreso il senso del Vangelo, ovvero della buona notizia, ne diviene testimone anche di fronte alla prospettiva del supplizio. Qui Bill Viola sembra invece pensare ad una performance di pura violenza insensata, o meglio ad una performance estetizzante della violenza subita come in una ascesi purificatrice, capace di liberare l’anima dal peso del corpo, visione che attiene alla metempsicosi di alcune forme religiose spiritualiste e che nulla ha a che fare con la spiritualità cristiana. Rachel Spence, nel suo articolo Bill Viola’s religious experience, riporta testualmente queste parole di Kira Perov: “All of the martyrs have already made their decision to make the ultimate sacrifice and this is their darkest hour through death,” says Kira Perov, who is Bill Viola’s life partner and a crucial collaborator in his work. Yet these scenes also have the mood of a transformative ritual from which the body will emerge stronger, lighter, closer to divinity.” Del resto, entrambi così si esprimono anche in una video-intervista pubblicata sulla pagina web della Cattedrale di St. Paul,[1] dove risulta evidente che la prospettiva con cui affrontano il tema della morte è in una chiave di reincarnazione-purificazione dal corpo. Da qui ne discende, poi, una ulteriore considerazione sulle finalità dell’arte sacra cristiana, che ha come compito quello di indirizzare le menti degli uomini a Dio, mantenendo un profilo di servizio e non di supremazia. In altre parole l’arte quando lavora al servizio della Chiesa, ovvero alla diffusione della buona novella tra gli uomini, non può e non deve assumere un ruolo predominante, ma avere un atteggiamento umile di servizio docile alla traduzione fedele della Parola in immagini consone ed opportune. Ed in secondo luogo, l’artista di arte sacra non può in nessun modo insegnare posizioni personali su temi importantissimi quali quelli della vita dopo la morte.
La seconda considerazione è ancor più sconcertante, perché riguarda il sottotitolo che implica una tematica, quella dei quattro elementi, (terra aria acqua fuoco) che appartengono espressamente alla filosofia gnostica pagana ellenistica, e che, invece di ricondurre il discorso del martirio all’ambito umano, come espresso nelle intenzioni, di fatto lo allontanano in una dimensione esoterica, che ricorda molto da vicino la filmografia di Peter Greenawey, in modo particolare la messa in scena esoterica dei quattro elementi dell’Ultima tempesta del 1991.
Bill Viola esprime in questa opera, che egli definisce il meglio di quanto abbia mai saputo dire, una visione estetizzante, raffinata e colta, capace di rifarsi a tutta la tradizione antica e contemporanea, tralasciando però completamente il pensiero cristiano, che dimostra di conoscere solo in maniera superficiale. Ma del resto non c’è da meravigliarsi di questo, in quanto gran parte della cultura massmediatica e letteraria degli ultimi decenni ha una profonda matrice neo-pagana, che troviamo analizzata con maggiore o minore consapevolezza da autori disparati di saggi e studi, che vanno, per esempio, dall’analisi delle radici sociologiche e politiche del concetto di democrazia come rielaborazione di una matrice eretica quale il pelagianesimo proposta da Tzevetan Todorov in I nemici intimi della democrazia, pubblicato da Garzanti nel 2012, fino all’ Elogio del politeismo, di Maurizio Bettini, pubblicato ora dal Mulino. E questo non ci meraviglia perché moltissimi movimenti artistici fin dal XIX secolo hanno preso le mosse dal recupero, a volte non solo formale, di principi e modelli tratti dal mondo pagano pre-cristiano, anzi si potrebbe affermare che gran parte del pensiero moderno, muovendo da posizioni atee, sia giunto a riappropriarsi di soluzioni deiste sia in chiave relativista che pluralista.
Quindi, tornando alla video istallazione di Bill Viola nella cattedrale di St. Paul a Londra, non possiamo considerarla una opera d’arte cristiana, per tre ordini di motivi.
Il primo riguardo al tema: infatti, come abbiamo visto il martirio non viene affatto affrontato nella giusta dimensione, ovvero come adesione alla volontà di Dio al fine di rendere testimonianza della verità con la perdita della vita. Il secondo riguardo alla composizione: perché introduce materiali pagani quali i quattro elementi e soprattutto il concetto di reincarnazione e purificazione dal corpo. Il terzo riguardo al mezzo: poiché l’arte sacra cristiana non può essere di tipo performativo, in quanto l’elemento più importante non è l’azione in sé, quanto la rappresentazione del concetto da proporre secondo la lex vivendi, orandi, ornandi e credendi, così come il Magistero della Chiesa Cattolica ha mirabilmente indicato.
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogsp
ot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it.
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NOTE
[1] http://www.stpauls.co.uk/Bill-Viola-Martyrs/Martyrs-in-Context