di Salvatore Cernuzio
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 29 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Circa un miliardo di esseri umani sperimenta oggi la sorte migratoria. Lo rivelano le cifre dei migranti internazionali, aumentati a più di 214 milioni rispetto al 2005 (il 3% della popolazione mondiale), e di quelli interni, 740 milioni già nel 2010.
È partendo da questi dati tecnici stimati dall’OIM (Organizzazione Mondiale per le Migrazioni) che il cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha presentato, questa mattina in Sala Stampa vaticana, il Messaggio di Benedetto XVI per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si terrà il 13 gennaio 2013.
Un messaggio che non vuole solo porre in luce l’impressionante numero di persone coinvolte nel fenomeno migratorio, ma far emergere l’anima di questa gente, che spinta dalla “disperazione di un futuro impossibile da costruire“, si avventura in un pellegrinaggio esistenziale alla ricerca di un futuro migliore.
“Fede e speranza riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano“, ha affermato il porporato citando l’immagine dell’homo viator offerta dal Pontefice nel Messaggio.
Tuttavia, anche se fiduciosi che “nel migrare, Dio sarà accanto a loro”, non tutti i migranti “considerano il loro viaggio come un andare verso Dio, un movimento animato dalla fede”. In un certo modo, però, ha precisato il cardinale, “è proprio nelle persone che non conoscono ancora che possono scoprire Dio stesso”.
C’è quindi anche una “dimensione religiosa” del fenomeno che la Chiesa non può trascurare, e in virtù della quale “è chiamata a svolgere la sua materna sollecitudine senza distinzione”, in particolare, nell’ambito del processo d’integrazione.
La Chiesa, ha sottolineato il cardinale, pone infatti l’accento “sulla centralità e la dignità della persona con la raccomandazione a tutelare le minoranze, valorizzando le loro culture, il contributo alla pacificazione universale, la dimensione ecclesiale e missionaria del fenomeno, l’importanza del dialogo e del confronto all’interno della società civile, della comunità ecclesiale e tra le diverse confessioni e religioni”.
L’integrazione dei migranti non si risolve, quindi, solo nell’accettare socialmente la presenza straniera, ma in un lungo e delicato processo di “mutua comprensione” che porti all’inserimento integrale nel nuovo contesto socio-culturale, grazie al quale essi possono “contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze professionali, il loro patrimonio socio-culturale e, spesso, anche con la loro testimonianza di fede” (Messaggio 2013).
Il porporato ha citato poi uno studio del 2012 dal titolo Faith on the Move che, mettendo in relazione i flussi migratori con la fede professata dai migranti, individua dieci Paesi che ne hanno “accolto” il maggior numero negli ultimi anni. Si tratta di Federazione Russa, Germania, Arabia Saudita, Canada, Francia, Regno Unito, Spagna, India, Ucraina e al primo posto gli Stati Uniti d’America, che ospitano oggi circa 43 milioni di cittadini stranieri, che rappresentano il 13,5% della popolazione nazionali. Tra questi, ben 32 milioni sono cristiani, in maggioranza provenienti dal Messico.
“Questi numeri mostrano le potenziali risorse religiose che portano con sé i migranti – ha dichiarato Vegliò – allo stesso tempo, rivelano le aspettative che essi nutrono nei confronti delle comunità cristiane che li accolgono”.
Ciò mette in luce il punto di vista della società accogliente ribadito nel Messaggio del Papa, ovvero che: “Ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune“. Lo Stato, ha precisato infatti il porporato, “ha il dovere di promuovere condizioni di vita tali da permettere ai suoi cittadini di vivere in condizioni dignitose. Ma tale regolamentazione deve tenere conto del rispetto della dignità di ogni persona umana”.
Interrogato su questo punto, se cioè la Santa Sede scoraggi o incoraggi un forte controllo sui flussi migratori, il cardinale Vegliò ha dichiarato: “Nessuno Stato al mondo ha il diritto di cacciare i migranti, ma nessuno Stato al mondo deve essere così naïf che tutti quelli che vogliono entrare nel suo Stato possano farlo. Ci sono leggi e lo Stato deve difendere l’identità culturale, di benessere, dei propri cittadini. Questo non significa, però, cacciare i migranti”.
Prendendo la parola, il segretario del Pontificio Consiglio, mons. Joseph Kalathiparambil, si è concentrato invece sulle cosiddette “migrazioni forzate”, riferite a tutti quei rifugiati e richiedenti asilo alle prese, ogni giorno, con il loro “calvario per la sopravvivenza” fatto di abbandono, abusi, camion nel deserto e carrette in mezzo al mare quali unici mezzi di fuga verso la speranza.
L’esempio è quello della Siria, del Mali e della Repubblica Democratica del Congo, “dove l’80% delle vittime sono i civili” ha ricordato mons. Kalathiparambil. “La fuga da queste tragedie prende diverse vie – ha raccontato il presule -. Alcuni, ad esempio, devono camminare per settimane intere prima di varcare la frontiera di un Paese africano orientale. Purtroppo, durante questi esodi, non è raro che una madre perda uno o più figli, a causa di privazioni o stremati dalle fatiche”.
A tali drammi si aggiungono poi altre complicazioni come le misure restrittive per ostacolare l’accesso al territorio, introdotte in alcuni Paesi dell’Unione Europea, che “rendono sempre più difficile poter chiedere asilo”. Non solo: “queste limitazioni hanno incentivato le attività dei contrabbandieri, dei trafficanti, e pericolose traversate in mare che hanno visto sparire fra le onde già troppe vite umane”, ha denunciato il Segretario del Dicastero.
Diventano necessari, in tal contesto tutti quegli “elementi primari” che solo le norme internazionali possono garantire: cibo, alloggio, cure mediche, diritto al lavoro e alla libera circolazione. “Concederli e provvedere alla loro integrazione da parte degli Stati – ha concluso – richiede grandi sforzi e adattamento”, ma essi sono “indispensabili”.
In ogni caso, le misure politiche decise in alto, per essere efficaci devono essere sorrette dall’umanità dei cittadini secondo mons. Kalathiparambil, il quale ha ribadito: “C’è bisogno di un atteggiamento socievole e disponibile da parte del grande pubblico”.Anche un piccolo gesto di attenzione, come “un sorriso, un saluto, una chiacchierata, un invito a partecipare alle attività di tutti i giorni”, può aiutare dunque i rifugiati e i richiedenti asilo “a sentirsi più accolti”, facilitando il processo di inclusione nella società.