Una diocesi che è diventata un vero e proprio santuario per migliaia e migliaia di profughi – cristiani e non – in fuga dalle feroci persecuzioni dello Stato Islamico. Depositario di questa emergenza è monsignor Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, in visita a Roma in questi giorni.
Incontrando i giornalisti presso la Sala Stampa Estera a Roma, il presule ha testimoniato lo stato di assoluta emergenza in cui versa Erbil. L’arcivescovo ha ringraziato la Santa Sede ed Aiuto alla Chiesa che Soffre, per l’attenzione dimostrata nei confronti dei profughi.
“Il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre è stato immediato e decisivo. Senza di voi non avremmo potuto dare un alloggio dignitoso a migliaia di famiglie”, ha dichiarato Warda, rivolto ai dirigenti e ai rappresentanti di ACS presenti in sala.
Ammonta infatti a 7 milioni di euro, la cifra stanziata da Aiuto alla Chiesa che Soffre per Erbil: una somma che, da sola, copre il 60% della totalità delle donazioni ricevute dall’inizio dell’emergenza.
Parlando dell’espansione dello Stato Islamico, il presule ha richiamato i governi occidentali alla responsabilità nel combattere quello che lui stesso ha definito il “cancro” del terrorismo jihadista. Molti combattenti dell’ISIS, infatti, sono di nazionalità statunitense, canadese, francese e inglese, quindi, “l’occidente non può pretendere che sia semplicemente un affare del Medio Oriente”.
La comunità internazionale deve quindi attivarsi, esercitando pressione sul governo iracheno, affinché le “divisioni interne” non prevalgano sull’adozione di “soluzioni concrete”.
Warda ha ribadito che l’intervento militare non è l’unica ipotesi risolutiva dell’aggressione in atto, sottolineando però, a malincuore, che questa possibilità va presa in considerazione.
“All’inizio della crisi, abbiamo allestito 26 punti di accoglienza in tutto il territorio diocesano. Le gente dormiva nelle tende e nei palazzi abbandonati. Oggi fortunatamente hanno tutti un alloggio dignitoso”, ha dichiarato l’arcivescovo con riferimento all’emergenza umanitaria esplosa nell’estate 2014.
Dal momento della presa di Mosul da parte degli islamici, avvenuta lo scorso 10 giugno, “la Chiesa ha cercato di restituire la fiducia alla popolazione e di tenere unita la nostra comunità”, nonostante oltre 8000 cristiani abbiano deciso di fuggire in Libano, Turchia, Giordania o anche fuori del Medio Oriente.
Tra loro anche 500 tra le 6mila famiglie cristiane che si erano rifugiate ad Erbil tra il 2003 ed il 2014, “per sfuggire alla persecuzione in atto in città quali Mosul, Bagdad e Kirkuk”.
Anche quando l’intera piana di Ninive fosse liberato dalla presenza jihadista, sarebbe assai arduo pensare a un ritorno immediato dei profughi nelle città di provenienza. “Tikrit è stata liberata, ma nessuno è tornato ad abitarci. Chi vivrebbe in una città distrutta?”, si è domandato monsignor Warda.
Di fronte alle armi e alle minacce degli islamisti, i cristiani hanno tre alternative: “convertirsi, pagare la jizya o morire”. Oggetto di persecuzione, i cristiani sono però a volte considerati dei “danni collaterali”, ha commentato l’arcivescovo di Erbil.
Le vittime dello Stato Islamico, tuttavia, ha ricordato, non sono solo i cristiani ma anche gli yazidi, e i musulmani stessi. Domandarsi se il terrorismo sia il “vero volto dell’Islam”, tuttavia, è un falso problema, ha osservato Warda, perché “dobbiamo innanzitutto guardare alle vittime”.
Ad una domanda di ZENIT sulla consistenza e sul ruolo dell’Islam moderato, l’arcivescovo di Erbil ha sottolineato che “tra le vittime dello Stato Islamico ci sono proprio i musulmani moderati, anch’essi costretti alla fuga, determinando una grande perdita per la regione e per l’intera nazione”.
Ad una domanda sulla possibilità di una visita di papa Francesco in Iraq, il presule ha detto che, pur comprendendo l’oggettiva difficoltà di organizzare un viaggio simile, si tratta di un desiderio che il Santo Padre ha confidato allo stesso Warda. “Una sua visita avrebbe un fortissimo impatto sui fedeli”, ha commentato.
A conclusione della conferenza stampa, è intervenuto anche il presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre – Italia, Alfredo Manotovano, che si è soffermato in particolare sulla persecuzione anticristiana, delle cui vittime, la fondazione pontificia si sta prendendo cura in modo diretto, perché possano “riprendere una vita che si avvicina alla normalità” e, un giorno, “tornare alle proprie terre di provenienza”, che peraltro si caratterizzano per uno “straordinario interesse storico e religioso”.