Con il Giubileo ormai alle porte ecco riprendere vita, nel cuore del territorio laziale, gli antichi itinerari di pellegrinaggio verso Roma che si snodano da Oriente e da Occidente, come la via Francigena, il Cammino di Benedetto e quello di Francesco. A margine della presentazione del progetto della Regione Lazio che ha ripristinato la fruibilità dei percorsi battuti dai vecchi pellegrini, il direttore scientifico dell’Archivio della Fondazione internazionale “Don Luigi di Liegro”, Carlo Felice Casula, o-ordinario di Storia contemporanea presso Roma Tre, ha raccontato a ZENIT le radici storiche in cui affondano le origini dei Cammini del Lazio.
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Quale è la tradizione e la storia dei Cammini del Lazio e per quale motivo è andata perdendosi negli ultimi tempi rispetto ad altri percorsi come quello verso Santiago?
Il Lazio aveva un percorso, quello della via Francigena, ma la realtà territoriale della regione e delle province è abbastanza recente, e ha a che fare con la formazione dello Stato italiano; prima dell’unità d’Italia, il territorio era organizzato in forma diversa e i percorsi si snodavano più da Roma verso il nord, l’Umbria e le Marche, lungo la dorsale dello stato della Chiesa. Parte della provincia di Rieti faceva parte inoltre parte del Regno delle due Sicilie; poi vi sono state le grandi trasformazioni dello sviluppo del trasporto ferroviario, mentre la costruzione delle reti stradali è stata di molto successiva.
I cammini invece, come percorsi da fare a piedi, a dorso d’asino o di cavallo, riguardavano non solo i pellegrini, ma anche quanti si spostavano in genere: ancora negli anni ’50, per risparmiare sul trasporto, dai paesi dell’Abruzzo si scendeva verso Roma e i Castelli a piedi. Il Lazio era ricchissimo di questi cammini che dovevano permettere le varie forme di transumanza presenti ancora negli anni ’50 ’60 del secolo trascorso.
Chi erano i pellegrini dei tempi di Dante e che cosa li induceva a intraprendere quelle strade rischiose?
Vi erano forme di tutela diverse rispetto ad oggi, anche se la cronaca e la cinematografia hanno teso ad insistere sui briganti; linguisticamente parlando, il modo di salutarsi in passato era “addio”, (“arrivederci” è un saluto molto più recente) ma questo aveva a che fare più con la lunghezza che con l’incertezza del viaggio.
I percorsi erano i tre che troviamo già codificati nella Vita Nuova di Dante: vi erano i peregrini che andavano a Santiago di Compostela, che per Dante era la sede di sepoltura più lontana dalla Palestina e il punto estremo in cui era arrivato uno dei dodici apostoli. Poi c’era Roma, la quale, oltre ad essere città del papato, è anche luogo dove sono arrivati i santi Pietro e Paolo, l’uno crocifisso e l’altro decapitato. Infine vi erano i ‘palmieri’, coloro che si recavano in Terra Santa tornando con la palma di Gerico. Su questa rete di percorsi si innestano i cammini lungo i quali si erano mossi San Francesco e San Benedetto, sentieri che coinvolgono l’Umbria e la Toscana ma anche il Lazio, parte integrante del percorso di Francesco che, non a caso, era venuto a Roma per far approvare la regola del suo ordine a piedi, come ci si spostava allora, rifiutando di spostarsi a cavallo. Il cavallo era come una macchina di lusso di oggi: sia per mancanza di mezzi sia per testimonianza cristiana ci si muoveva a piedi o tutt’al più con l’asino, come aveva fatto Gesù attraversando tutta la Palestina durante la sua predicazione.
È possibile riproporre la figura degli antichi pellegrini alla contemporaneità? Quali sono i bisogni del pellegrino di oggi?
Nel sonetto di Dante, Deh peregrini che pensosi andate, l’aggettivo pensosi si riferisce ad un cammino lento, che talvolta si faceva in solitudine e durante il quale si rifletteva sullo scopo del viaggio e della propria vita, sul destino e sulla fede… Ma per il sommo poeta ‘pellegrino” è da intendersi chiunque sia lontano dalla sua patria. Oggi noi vediamo un mondo di pellegrini: se abbiamo presenti le immagini recentissime della tragedia dei siriani, vediamo questi uomini e donne percorrere lunghe distanze a piedi; quasi come un paradosso della storia, alcuni degli antichi cammini sono oggi proprio le rotaie di questi migranti, laddove non è loro permesso di salire sui treni. Questi nuovi poveri fanno lo stesso percorso a piedi dei poveri di allora, che si spostavano da una regione all’altra forse anche in numero più grande.
In un momento come quello attuale, è possibile pensare ad una capacità di accoglienza così grande come poteva essere quella di una volta? Papa Francesco recentemente ha chiesto anche alle parrocchie di accogliere le famiglie…
Bisogna ricordare che nel Medioevo le chiese erano aperte giorno e notte, ed i luoghi privilegiati in cui sostavano e dormivano i pellegrini erano proprio direttamente le chiese: questa non veniva vista come una provocazione o una profanazione, le chiese erano i luoghi dove si dava ospitalità. Oggi tendiamo ad abbinare il pellegrino al turista, ma se lo leghiamo anche al migrante sarebbe un’associazione di idee più corretta.