San Gabriele dell’Addolorata, al secolo Francesco Possenti (Assisi, 1º marzo 1838 – Isola del Gran Sasso d’Italia, 27 febbraio 1862), undicesimo di una famiglia di tredici figli di un prefetto dello Stato Pontificio, era un giovane generoso ed estroverso che sentì a 18 anni la vocazione religiosa. Scelse la Congregazione della Passione di Gesù Cristo che rifletteva la sua devozione, radicata in lui fin dall’infanzia per la Madonna Addolorata. Trascorse solo sei anni nella congregazione e non riuscì a venir ordinato sacerdote perché venne colpito da tubercolosi ossea. Morì nel ritiro passionista dell’ Isola del Gran Sasso a soli 24 anni. E’ stato canonizzato nel 1920 e Giovanni XXIII lo ha dichiarato patrono dell’Abruzzo, dove passò gli ultimi tre anni. Migliaia di giovani si recano ogni anno in pellegrinaggio alla sua tomba e traggono ispirazione dal suo esempio di vita santa, fatta di semplicità, ubbidienza ai superiori e devozione alla Madonna ma anche serena accettazione della propria sofferenza offerta per il bene degli altri.
Come riuscire a raccontare la vita di un santo? La risposta non è semplice perché non si tratta solamente di realizzare la biografia di un personaggio già noto al pubblico cercando di cogliere con linguaggio cinematografico gli elementi essenziali della sua personalità ma di far rivivere qualcosa di ancora più impalpabile: la sua fede e la sua adesione totale alla Volontà Divina.
Maurizio Angeloni, regista e sceneggiatore di questo film sul santo dei giovani e patrono dell’Abruzzo, ha scelto un approccio “dall’esterno”: fa iniziare il racconto a Roma, nel 1890 ponendosi nei panni del postulatore che ha il compito di condurre la causa di beatificazione di Gabriele dell’Addolorata. Il suo atteggiamento è scettico, come indispettito per l’entusiasmo dei vari testimoni che quasi lo assediano per raccontare la vita di “Cecchino”, come lo chiamavano in famiglia. Come può esser considerato santo un ragazzo morto a 24 anni di tubercolosi che non fece in tempo neanche a venir ordinato sacerdote?
Per più di due terzi del racconto il film si concentra sul periodo pre-vocazionale di Francesco, sulle sue allegre scorribande con gli amici per la città di Spoleto, l’amore per la caccia, il gusto per il ben vestire senza però mai dimenticare di portare qualcosa da mangiare a Cilicia, una mendicante che sintetizza nel film tutta la sua attenzione per i poveri. Una vita continuamente scandita anche dalla vicinanza con la morte: i suoi fratellini morti in tenera età fino al caso più tragico, quello di Adele che aveva cessato di vivere a nove anni e che provocherà la morte per dolore della madre.
Roberto Gleijeses, l’attore scelto per interpretare Francesco, con il suo volto riflessivo rende molto bene l’impatto che questi eventi a volte gioiosi, a volte tristi provocano in un ragazzo che sta riflettendo sulla direzione da dare alla propria vita. Il film dedica spazio, molto giustamente, al rapporto intenso fra Francesco con la sorella maggiore Maria Luisa, la sua nuova madre putativa, con la quale ama confidarsi dopo che hanno recitato insieme le preghiere serali. Una confidenza che non trova riscontro con il padre Sante, che recepisce controvoglia i suoi primi accenni a una vocazione religiosa e lo invita a riflettere. Sarà poi la morte anche della sorella Maria Luisa, secondo l’interpretazione del film, che costituirà la spinta decisiva per il giovane a optare per una scelta più radicale. L’adesione all’Ordine dei Passionisti viene raccontata come il frutto di prolungate riflessioni con don Angelo, un sacerdote diventato suo amico e un padre passionista sul significato della morte e resurrezione di Gesù Cristo.
Il racconto prosegue con Francesco, ora Gabriele dell’Addolorata, con il talare nero durante la cerimonia di vestizione come passionista e successivamente quando riceve gli ordini minori. Poi sul letto, ormai gravemente malato, circondato dall’affetto dei suoi confratelli.
Il film si sposta continuamente fra due contesti, quello del racconto della vita del santo e la sala romana dove proseguono gli interrogatori per la causa di beatificazione.
E’ qui che alla fine viene compreso il vero significato della santità di Gabriele, il vero miracolo che ne costituisce la giustificazione: la sua semplice, umile, discreta vita in totale abbandono fiducioso alla volontà divina.
L’autore, al di là del racconto degli elementi biografici del santo, aggiunge qualche sequenza originale, in particolare durante il lungo trasferimento a piedi per raggiungere l’Isola del Gran Sasso Gabriele incontra varie persone (una prostituta accusata di essere una spia, una mamma che ha perso la sua bambina) che costituiscono una forma di Via Crucis di quei tempi di guerra. E’ probabile che l’autore abbia voluto alludere in questo modo alle motivazioni per la sua scelta nei confronti di una vita contemplativa: il prevalere del senso della caducità umana, della predominanza nella nostra vita della morte e della sofferenza. Si tratta di una interpretazione personale dello spirito del santo che però finisce per mettere in secondo piano la gioia che deriva dalla fiduciosa certezza in una Provvidenza operosa. Poco sottolineata infine la devozione di Gabriele per la Madonna, che costituì un elemento portante per la sua vocazione.
Il film è disponibile in DVD nelle edizioni Paoline. Esiste anche il DVD del musical che è stato dedicato al santo reperibile in www.sangabrielemusical.it
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Titolo Originale: Gabriele
Paese: ITALIA
Anno: 2001
Regia: Maurizio Angeloni
Sceneggiatura: Maurizio Angeloni
Produzione: Minerva International
Durata: 95
Interpreti: Lorenzo Gleijeses, Mario Scaccia, Demetra Hampton, Loredana Cannata
Per ogni approfondimento http://www.familycinematv.it/