"Affidiamo a Maria tutte le nostre preoccupazioni, ansie, necessità"

L’omelia del cardinale Parolin durante la Messa di stamane sul sagrato della Basilica di Pompei, nel giorno della Supplica alla Beata Vergine

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“Sono lieto di farmi pellegrino, insieme a voi, in questa ‘città di Maria’”. Ha esordito così il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, nella sua omelia durante la Messa presieduta stamane sul sagrato della Basilica di Pompei, nel giorno della Supplica alla Beata Vergine Maria. L’antico rito mariano ogni anno richiama numerosi fedeli nel celebre Santuario campano, fondato dal Beato Bartolo Longo sul finire dell”800.

Anche alla “Supplica” di oggi erano presenti vasti gruppi di pellegrini provenienti dall’Italia e dal mondo, oltre all’arcivescovo prelato di Pompei, mons. Tommaso Caputo, al sindaco della cittadina partenopea ed altre autorità civili e militari. 

È un luogo speciale Pompei, – ha detto Parolin – la “città di Maria” che vede sorgere in una “terra meravigliosa e così ricca di storia” uno dei Santuari che più ha accolto devozioni, pellegrinaggi, miracoli, e nel quale sono risuonate le preghiere dei fedeli di tutto il mondo. In particolare la preghiera del Rosario, di cui il Beato Longo si fece apostolo, che venne “calata in una realtà” che parlava “di miseria e di abbandono, di ingiustizia e di sopraffazione”. “L’uomo – ha ricordato il porporato – era calpestato nella sua dignità e i poveri, gli ultimi della fila, non erano quasi considerati”.

Agli occhi di un evangelizzatore come Bartolo Longo “un laico, con esperienze di vita piuttosto difficili e tormentate”, Pompei apparve come una “Valle desolata”. Tuttavia egli “vide in quella terra abbandonata e infestata da degrado e malavita, non un luogo al quale voltare le spalle, ma il punto di partenza per un ‘nuovo inizio’. C’era innanzitutto una speranza da ricostruire”.

Fu “la carità” ad aprire, anzi a spalancare le porte a questa speranza, “dando vita a un’era nuova”, ad una “nuova Pompei”. “Siamo in un luogo dove la carità ha posto le tende, si è insediata come elemento costitutivo di una storia di fede che continua a guardare avanti sospinta dalla forza poderosa e umile della sua origine”, ha ricordato il Segretario di Stato. “Nessun problema, nessuna apprensione, per quanto forte e motivata”, può quindi “tenere lontana una speranza che, proprio in questo luogo si manifesta come concreta”.

Ciò rimane sempre vero e valido ancora oggi, nonostante “ciò che viviamo non ci mette al riparo da difficoltà e angustie”. Sono “l’insidia di una violenza sempre in agguato”, ha denunciato il porporato, o “le scarse e incerte prospettive di lavoro per i nostri giovani”, ai quali “non solo la crisi economica di questi tempi, ma ritardi antichi e strutturali rendono difficile guardare al futuro con serenità e fiducia”.

Dal presente, il cardinale è tornato poi al passato guardando alla “Chiesa nascente” di cui parlavano le letture della liturgia odierna. In particolare, Parolin si è soffermato sul mandato affidato a tutti i cristiani di professare la fede e di metterla in pratica attraverso l’amore vicendevole, per essere “luce del mondo”.

E, sulla scia di Bergoglio, non ha mancato di rivolgere un pensiero intriso di rammarico per “le migliaia di cristiani che, ancora oggi, nel XXI secolo, soffrono a causa della loro fede, sono perseguitati, vedono i propri diritti calpestati”. “Preghiamo per loro – ha esortato – e, soprattutto, agiamo come loro senza scendere a compromessi con lo spirito di mondanità, ma vivendo e professando in pienezza la nostra fede”.

Una fede, ha proseguito il Segretario di Stato, che viene messa in pratica amando il prossimo, secondo il comandamento lasciatoci da Cristo stesso. “Forti della nostra fede, decisi ad amare il fratello, ogni fratello, possiamo, quindi, essere, davvero luce per il mondo, come Gesù”. Questa luce, questa verità – ha proseguito il cardinale – “dobbiamo portarla al mondo, testimoniarla ed annunciarla a tutti”. E farlo sempre “con gioia”, come insiste sempre e in qualunque occasione Papa Francesco.

Allo stesso tempo, ogni cristiano è chiamato ad “aiutare gli uomini di questo nostro difficile tempo a credere in Gesù e in Colui che lo ha inviato; ridare la speranza all’umanità, perché Egli non è venuto per condannarci, ma per salvarci. Non può essere che questo il nostro impegno di cristiani maturi e coraggiosi”.

Tutte queste “preoccupazioni”, queste “ansie” e “necessità” – è la preghiera conclusiva di Parolin – affidiamole a Maria, “Sovrana del Cielo e della Terra”, “nostra dolcissima Madre”, la ‘più tenera fra le madri’”. Infine, ha invitato a pregare “per la Chiesa”, per la pace e il mondo intero, e in modo speciale per Papa Francesco “il quale – ha detto – mi ha chiesto che lo ricordiamo in modo particolare in questo giorno e in questo luogo”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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