Donne saudite alla guida

Oggi, sabato 26 ottobre, è il giorno ufficiale della ribellione femminile al divieto di guidare nel regno wahhabita

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“La chiave del cambiamento in Arabia Saudita”. Questa la didascalia di una vignetta che ritrae una donna al volante che sta inserendo la chiave d’accensione della propria auto. Nulla di più vero. Oggi, 26 ottobre, è il giorno ufficiale della ribellione delle donne al divieto di guidare nel proprio paese.

Tutto nasce da un comunicato impeccabile nella forma e coraggioso nei contenuti dal titolo “La guida della donna. Una scelta, non un obbligo” lanciato nei mesi scorsi sulla rete. Riportiamo il testo perché illustra perfettamente l’atmosfera in cui nasce questa battaglia che ha un valore e un significato superiori a quanto non si possa pensare:

 “Campagna popolare rivolta alle cittadine e ai cittadini. Considerato l’acceso dibattito negli anni scorsi circa la questione della guida delle donne, abbiamo deciso di affrontare la questione e di chiedere quanto segue: 1. A seguito dei mutamenti a livello regionale e internazionale e di quanto sta accadendo nel mondo moderno, che assiste a rapidi cambiamenti in campo economico, sociale e culturale, considerato che siamo parte integrante e fondante di questi raggiungimenti globali mossi dal desiderio di progresso e cambiamento per conseguire una umanità migliore e una nazione migliore, ebbene riteniamo che non esista alcuna giustificazione valida perché lo Stato vieti alle proprie cittadine adulte che sanno guidare di guidare, riteniamo necessario che si trovino le modalità adeguate per fare sì che le cittadine possano richiedere e conseguire la patente di guida. In primo luogo devono potere sostenere l’esame di guida, perché solo così otterranno la patente. Solo così si avrà un pari trattamento di uomo e donna. 2. In modo particolare perché questo progetto si muove al di là della visione formale e controversa che coinvolge la società, poiché il problema non è certo un veicolo con all’interno una donna, bensì si tratta di ammettere e concedere a metà della società un diritto naturale che il Creatore ha concesso ai Suoi fedeli. Si tratta di riconoscerne il diritto legale e civile di seguire eventi e sviluppi, così come le donne ai tempi del Profeta potevano cavalcare cavalli e cammelli per spostarsi e viaggiare. Quindi guidare è un nostro diritto fondamentale che risponde alle esigenze dell’epoca in cui viviamo. Inoltre non esiste un solo testo nella tradizione islamica o un impedimento legale che ce lo vieti. Anche se vi sono state giustificazioni a siffatto divieto, ebbene queste discendevano da usi e costumi che non sono un diretto ordine di Dio. Per questa ragione reputiamo che il tanto dibattere e discutere sulla liceità della guida della donna possa essere messo a tacere solo attraverso una decisione forte che sancisca quanto abbiamo chiesto al punto 1. Ricordiamo che le donne non saranno costrette a guidare qualora non lo vorranno. Qualora lo Stato decidesse di consentire alle donne di guidare, ciascuna di noi potrà liberamente decidere se vorrà fare o meno. 3. Rinviare tale questione sino a quando verrà raggiunto il “consenso sociale” ha portato solo ad ulteriori divisioni e non è certo sensato né logico costringere le persone a raggiungere un accordo e avere un’opinione unica. Noi siamo una società che deve accettare la differenza di opinioni, in modo particolare su questioni che non sono vietate da un testo esplicito del Corano o della Tradizione. 4. Nel caso in cui lo Stato si rifiutasse di levare il bando alla guida per le donne, chiediamo che esponga ai cittadini e alle cittadine le motivazioni del divieto. Non accetteremo che, invece di dare una motivazione valida, trasferisca la responsabilità alla “società”. 5. Nel caso in cui lo Stato si rifiuti di levare il bando che riguarda le donne, senza offrire motivazioni valide al diniego, chiediamo che alla “società” venga offerto uno strumento attraverso il quale esprimere la propria volontà. Chiediamo solo questo. Non lo chiediamo con l’intenzione di promuovere una specifica linea di pensiero o per importare valori provenienti dall’esterno. Chiediamo questo perché non vediamo alcun motivo che impedisca la guida alle donne. Lo Stato non è né la madre né il padre, e i cittadini non sono né bambini né incapaci.”

La pubblicazione online e la diffusione sui social network del testo qui tradotto ha scatenato l’ira funesta dei religiosi ultraconservatori che purtroppo rappresentano ancora uno zoccolo duro, ma soprattutto sono una spina nel fianco dei sovrani sauditi. Purtroppo dal 1924 l’interpretazione wahhabita dell’islam va di pari passo con la dinastia degli Al Sa’ud, facendo sì che la costituzione del Regno Saudita sia rappresentata dal Corano stesso, ma soprattutto impedendo ogni adeguamento della società ai tempi moderni. In base alla interpretazione manichea della vita e della religione promossa dal wahhabismo in Arabia Saudita vige il diritto penale islamico con esecuzioni che vengono regolarmente portate a compimento, uomini e donne non possono incontrarsi in luoghi pubblici a meno che non si tratti di coniugi o parenti, le donne non possono abbandonare il paese se non previo consenso del proprio guardiano, ovverosia di un maschio adulto della famiglia, e, per venire al nostro argomento, non possono guidare.

Ebbene, alcune promotrici della campagna si domandano non solo in base a quale versetto coranico si vieti alle saudite di guidare, ma soprattutto se lasciarle in balia di autisti stranieri e sconosciuti non sia peggio ancora? La poetessa Halima Muzaffar ha sottolineato in un articolo pubblicato nel settembre 2007 che è proprio il ricorso ad autisti stranieri a mettere a repentaglio la sicurezza delle donne e dei loro figli perché “molti di loro sono stati inviati in Arabia saudita in quanto hanno la fedina penale sporca e sono stati cacciati dai loro paesi” e lancia una stoccata ai religiosi nel momento in cui sostiene che “è sorprendente che le persone che si oppongono alla guida delle donne consentono che la donna possa socializzare con degli sconosciuti” alla guida delle loro automobili.

Questo interrogativo illustra chiaramente la schizofrenia saudita che vorrebbe fare progredire la società, ma rimane sempre vittima dell’ideologia che promuove.

Nonostante siano quasi centomila le auto registrate a nome di saudite, il che corrisponde a dire che il 25% delle saudite possiede un’auto,  sono più di vent’anni che le donne saudite non possono guidare nel loro paese. Il tutto ha avuto inizio nel 1990 con una fatwa dell’allora Gran mufti d’Arabia saudita, ‘Abd al-Aziz bin Baz.

Nel frattempo qualcuno ha cercato di cambiare lo stato delle cose, ma invano. Nel maggio 2005 due membri del Majlis al-Shura, il parlamento saudita, Muhammad ibn ‘Abd Allah al-Zalafa e ‘Abd Allah Bukhari, hanno proposto di levare il bando alla guida per le donne al di sopra dei 35 anni all’interno dei centri abitati mentre in campagna solo se accompagnate.

Lo stesso re ‘Abd Allah nell’ottobre dello stesso anno ha dichiarato che un giorno le saudite avrebbero potuto guidare, ma che la questione richiedeva pazienza. Nemmeno l’ingresso di trenta donne nel Majlis al-Shura lo scorso gennaio ha portato a un mutamento di direzione. Il 9 ottobre scorso, Latifa al-Sha’lan, una delle donne nominate dal re in seno al “parlamento” saudita, ha annunciato di avere sottoposto un’interrogazione volta a legalizzare una volta per tutte la guida per le donne. Purtroppo, 30 donne contro 120 uomini hanno potuto ottenere solo un diniego. D’altronde lo scorso aprile il ministro della Giustizia saudita, Muhammad al-‘Isa, aveva dichiarato che “non esiste un testo costituzionale o governativo che vieti alla donna di guidare l’auto, però la questione è legata alla volontà, ai desideri e alla cultura della società saudita”. Proprio come sottolinea il comunicato della campagna del 26 ottobre: non è il Corano, non è una legge, ma pare si tratti della volontà della società. Ci si chiede però per quale ragione allora abbiano sottoscritto il comunicato
della campagna anche uomini. Ci si chiede perché, se non esiste una legge, ad alcune saudite nei giorni scorsi è stato impedito di sostenere l’esame di guida perché non era stato ricevuto alcun ordine dal Ministero dell’Interno. Ci si chiede perché se si tratta solo di una questione “sociale” il portavoce del Ministero dell’Interno, Mansur al-Turki, abbia dichiarato con fermezza che “sul territorio saudita la guida alle donne è vietata” e abbia invitato le forze di sicurezza ad agire di conseguenza. Per assurdo, più conciliante è apparso il capo della polizia religiosa saudita, Abd al-Latif Al al-Shaykh, affermando che “la shari’a non vieta alla donna di guidare l’automobile”. Al al-Shaykh ha altresì dichiarato di non avere impartito ordini particolari in vista del 26 ottobre, ma al contempo le molte donne che in questi giorni si sono messe al volante e sono state fermate anche dalla polizia religiosa hanno riferito di essere state trattate con cortesia. La pena attualmente prevista per la donna alla guida è di dieci frustate.

Le attiviste della campagna del 26 ottobre sono serene, ma soprattutto non demordono. Sanno di avere i riflettori puntati su di loro. Ai conservatori al potere e agli imam che dimenticano che una moglie di Maometto, ormai vedova, aveva assistito a una battaglia dal proprio cammello, le donne saudite rispondono con le istruzioni per la giornata della donna al volante:

“Istruzioni importanti per chi vuole guidare. 1. Guida solo se possiedi la patente, teniamo alla tua sicurezza sulla strada; 2. Porta con te un membro della tua famiglia o le tue amiche per conferire più significato al tuo gesto; 3. Non organizzate né punti di ritrovo né manifestazioni, preoccupatevi solo di voi; 4. Fotografati o gira un video, pubblicali o inviaceli di modo che li pubblichiamo; 5. Non sai guidare? Invia semplicemente una tua fotografia dietro il volante a Oct26thDriving@gmail.com.

Fratello concittadino: insegna loro a guidare

Fratello, autista: è la tua occasione per mostrare la tua intelligenza

Fratello, preposto alla sicurezza: grazie, per la collaborazione!”

La strada sarà ancora in salita, ma i due documenti elaborati dalle attiviste dimostrano al mondo intero che con intelligenza e ironia si può trovare il coraggio di osare quel che si pensava impossibile vent’anni fa. 

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Valentina Colombo

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