Abdullah al-Kurdi (C)

ANSA

Addio al piccolo Aylan, sepolto a Kobane insieme alla mamma e al fratellino

La foto del siriano di 3 anni morto su una spiaggia turca ha commosso e sconvolto il mondo. Il padre, l’unico sopravvissuto, ha rifiutato l’asilo in Canada per rimanere nella città curda con i suoi cari

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È stato sepolto a Kobane, città curda in Siria, il piccolo Aylan Shenu, il bambino di tre anni morto in un naufragio sulle coste turche, due giorni fa, la cui foto ha commosso il mondo intero. Insieme a lui sono stati seppelliti anche il fratello di cinque anni, Galip, e la mamma Rehan. Le strazianti immagini della sepoltura dei corpi sono state trasmesse in diretta dalla tv al-Arabiya, che ha mostrato anche il padre Abdullah, unico sopravvissuto della famiglia, mentre accompagnava la salme nella sua martirizzata città d’origine.

La famiglia Shenu era fuggita per cercare la salvezza in Europa e poi in Canada, dove risiedeva la sorella del capo famiglia. Un naufragio al largo della Turchia ha però interrotto bruscamente i sogni e le speranze, facendo annegare i due piccoli con la loro mamma. Il corpicino di Aylan è poi stato trasportato dalla corrente sulle rive di Bodrum, meta turistica turca, dove è stato rinvenuto dalla polizia. La sua foto ha commosso e allo stesso tempo sconvolto il mondo. 

Il papà, un barbiere 40enne di Damasco, distrutto dalla tragedia, ha detto ieri: “Non mi interessa più arrivare in Canada, voglio tornare nella nostra terra per dare sepoltura ai miei famigliari”. E così ha fatto. Dopo nemmeno due giorni da quella orribile notte, l’uomo è arrivato a Kobane attraverso la frontiera turca di Suruc, accompagnato da alcuni deputati turchi, per dare degna sepoltura ai suoi cari.

Era stato lui a spingere la sua famiglia alla fuga, per scampare dalla ondata di inarrestabile violenza perpetrata dai jihadisti dell’Isis nella città, difesa strenuamente dalle milizie curde. Prima della nascita di Aylan, gli Shenu vivevano a Damasco; le bombe e la paura li ha costretti a rifugiarsi ad Aleppo e, all’esplosione della crisi di quest’ultima, a trasferirsi ancora a Kobane. Ma anche lì i quattro non hanno trovato pace: dopo l’invasione degli uomini del Califfato, Abdullah ha spostato di nuovo tutti in Turchia e tentato invano di ottenere l’asilo nel Canada in cui vive la sorella Timaa. La domanda è stata però respinta perché priva di regolare status di rifugiato, allora l’uomo ha chiesto in prestito 4 mila euro per imbarcarsi alla volta dell’isola Kos, in Grecia. 

Ma proprio in questo viaggio è avvenuta la tragedia. “Eravamo in 12 e la barca era stracarica quando si è rovesciata, poco dopo aver salpato, ho preso mia moglie e i bimbi tra le braccia ma mi sono scivolati via, le onde erano altissime, era buio, tutti urlavano e li ho perduti”, ha raccontato l’uomo. Giunto a riva, indietro al punto di partenza, “credevo che fossero fuggiti per la paura e aspettavo nel luogo d’incontro di Bodrum ma non vedendoli sono andato all’ospedale e ho saputo la verità”. Il Canada che li aveva rifiutati ha offerto adesso all’ex barbiere l’asilo che desiderava per lui e la sua famiglia. Ma lui non lo vuole più, perché, come ha detto, vuole restare a Kobane con i suoi cari “tutta la vita”.

Intanto, dopo la diffusione delle fotografie del piccolo siriano è scattata nel mondo una corsa alla solidarietà in tutto il mondo. In particolare in Italia dove centinaia di famiglie si sono messe in contatto con agenzie e onlus dichiarandosi disponibili ad accogliere i piccoli profughi rimasti soli durante il viaggio per fuggire dalla guerra.

[S.C.]

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ZENIT Staff

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