ROMA, domenica, 25 settembre 2011 (ZENIT.org).- Oltre 200.000 persone hanno percorso a piedi in 6 ore più di 24 chilometri nel nome della pace e della fratellanza tra i popoli. Come ogni anno, il corteo della Marcia della Pace Perugia-Assisi si è mosso dall’Arco di S. Girolamo, con in testa numerosi gonfaloni di enti locali e striscioni di associazioni, per giungere alla Rocca della città di San Francesco.
Tra gli striscioni di testa spiccava quello della candidatura di Assisi e Perugia a capitale europea della cultura 2019. A portarlo, i due sindaci, quello di Perugia di centrosinistra e quello di Assisi, Claudio Ricci, di centrodestra, così da rappresentare “la laica Perugia e la spirituale Assisi” unite dalla Marcia ma più in generale dalla cultura della pace.
La prima Marcia è stata ideata 50 anni fa da Aldo Capitini, che percorse a piedi il cammino da Perugia ad Assisi il 24 settembre 1961 insieme a Norberto Bobbio, Renato Guttuso e Italo Calvino. E proprio per richiamare quell’atto fondativo, tra i simboli di questa edizione della marcia spiccava lo striscione portato nel 1961 dallo stesso Capitini, oltre alla barca per ricordare le 1500 persone morte quest’anno in mare nei viaggi della speranza per raggiungere l’Italia.
All’iniziativa hanno aderito, oltre a diversi rappresentanti del mondo politico, anche molti esponenti di associazioni laiche e religiose, scout, sindacati, parrocchie, ma anche numerosi rappresentanti di Comuni e Province italiane, enti ed organizzazioni, nazionali ed internazionali, impegnati nella lotta alla povertà, per la giustizia sociale, per l’uguaglianza dei diritti dei popoli, contro le discriminazioni di sesso, religione e razza.
Nel documento preparato dalle Acli in occasione della Marcia per la Pace si legge che “solo considerando la complessità dei conflitti che feriscono le nostre società possiamo capire che la pace non esiste se non c’è pace in una comunità, nelle strade o in una famiglia, se i governanti non rispettano e rendono giustizia ad ogni cittadino, o se l’economia, sempre meno reale e svincolata dal lavoro e dalla produzione, arricchisce chi è ricco e impoverisce chi già è povero”.
“Ogni cosa che accade ad un uomo o una donna, in qualsiasi parte del mondo vive – si legge ancora nel documento –, ci rende responsabili della sua sorte; ignorarlo significa sostenere quella violenza che è la causa dell’assenza di pace nel mondo”.
Nel documento finale della Marcia si sottolinea invece che “la fratellanza dei popoli si basa sulla dignità, sugli eguali diritti fondamentali e sulla cittadinanza universale delle persone che compongono i popoli”. Ecco quindi, si afferma, che la sfida sta nel “tradurre in pratica il principio dell’interdipendenza e indivisibilità dei diritti umani – civili, politici, economici, sociali e culturali – e ridefinire la cittadinanza nel segno dell’inclusione”.
Tra le proposte quelle di “garantire a tutti il diritto al cibo e all’acqua; promuovere un lavoro dignitoso per tutti; investire sui giovani, sull’educazione e la cultura; disarmare la finanza e costruire un’economia di giustizia; ripudiare la guerra, tagliare le spese militari; difendere i beni comuni e il pianeta; promuovere il diritto a un’informazione libera e pluralista; fare dell’Onu la casa comune dell’umanità; investire sulla società civile e sullo sviluppo della democrazia partecipativa; costruire società aperte e inclusive”.
In Italia per realizzare questo programma occorre, “un governo di pace e una nuova politica, coerente in ogni ambito, e investire con grande determinazione sulla costruzione di un’Europa dei cittadini, federale e democratica, aperta, solidale e nonviolenta e di una comunità del Mediterraneo che, raccogliendo la straordinaria domanda di libertà e di giustizia della primavera araba, trasformi finalmente quest’area di grandi crisi e tensioni in un mare di pace e benessere per tutti”.