Una chiesa può essere luogo di un percorso, la sua visita occasione di un pellegrinaggio. Può offrire il contesto di un cammino spirituale. Purtroppo, oggi, lo abbiamo in parte dimenticato sia perché non riconosciamo gli aspetti simbolici di un edificio sacro, sia perché la collocazione fissa nei banchi appare bloccare qualunque cammino…
San Fedele, la chiesa cinquecentesca dei gesuiti a Milano, fin dalla sua fondazione avvenuta nel 1569 per volere di san Carlo Borromeo, arcivescovo della città, e per opera di Pellegrino Tibaldi, non fu soltanto una delle massime espressioni artistiche del periodo della Riforma cattolica. Ne fu concreto strumento.
Nell’eleganza delle sue forme tardo-manieriste riaffermava dogmi e valori che la Riforma luterana aveva messo in discussione. Il fedele ripercorreva – come può fare ancora oggi – la navata, grande aula classicheggiante, dinanzi ai preziosi bassorilievi dei confessionali lignei che raccontano la storia della salvezza, progettata per favorire l’ascolto della Parola e fare emergere l’importanza del sacramento della confessione.
Superato l’arco trionfale, si avvicinava all’altare maggiore, grande “macchina teologica” che accoglie il tabernacolo e le numerose reliquie. Il banchetto eucaristico è evento di comunione e di salvezza, il sacrificio dei martiri esempio di fede. Nutritosi del corpo di Cristo, vedeva simbolicamente nell’abside, il luogo della luce, simbolo del divino, della Gerusalemme celeste.
Il valore delle immagini in questo itinerario di fede è stato sempre sottolineato dai gesuiti. Lo stesso Ignazio di Loyola invita a pregare con le immagini, a esserne coinvolti anche attraverso l’arte: pregare sui testi biblici prevede infatti ricostruire le diverse scene, prendervi parte, essere stimolati a porsi le domande più profonde rispetto alla propria adesione a Cristo. Significa diventare contemporanei al mistero.
Per questo la chiesa di San Fedele ha continuato a essere anche nel Novecento un laboratorio spirituale, luogo di dialogo tra l’arte e il “sacro”, da quando Lucio Fontana realizzò nel 1957 la pala del Sacro Cuore. Certo non fu un caso: dal dopoguerra il gesuita Arcangelo Favaro, fondatore della Galleria San Fedele, aveva iniziato a sviluppare un rapporto fecondo con gli artisti del tempo.
Tale dialogo continua oggi nel Museo San Fedele. Itinerari di arte e fede, curato da Andrea Dall’Asta SJ, direttore della Galleria San Fedele. Il lavoro di “ricucitura” tra le arti e la dimensione del sacro ha ricevuto, infatti, un’organizzazione più organica a partire dal 2015, al termine di un decennio di lavori di restauro della chiesa di San Fedele, della cripta e degli altri ambienti circostanti.
Quelle sperimentazioni che nei decenni si sono avute nella Galleria San Fedele trovano oggi pienezza di senso negli interventi nello spazio liturgico della Chiesa. Opere di Claudio Parmiggiani, Jannis Kounellis, Sean Shanahan, Nicola De Maria, Mimmo Paladino, David Simpson, interpellati negli ultimi anni a riflettere sui temi fondamentali della fede come la Gerusalemme Celeste, la Croce, l’Apocalisse, gli ex voto, sono pensate specificamente per gli spazi della chiesa. Sull’altare maggiore la corona di spine di Claudio Parmiggiani e nell’abside tre pannelli monocromi dell’artista americano David Simpson, sono sorprendenti esempi di questa riflessione.
Lontano dalla volontà di “musealizzare” il patrimonio, questo confronto dialettico tra arte antica e contemporanea è stimolato da una committenza sempre attenta ai nuovi linguaggi: è dello scorso luglio l’intervento di Nicola De Maria che ha affrescato la cupola del piccolo spazio sacro sotto l’altare maggiore, dove i colori caldi della sua poetica dell’immagine si riflettono negli argenti dei reliquari.
Intimamente legata alla memoria di tanti milanesi è la “cappella delle ballerine”, dove fino agli anni Ottanta le danzatrici della Scala portavano i fiori la sera prima del debutto e oggi una poetica installazione di Mimmo Paladino interpreta quella tradizione.
Da un lato, l’imponente sacrestia con opere lignee del Seicento, gli antichi oggetti liturgici, crocifissi e reliquiari (tra cui una rara collezione sei-settecentesca di piccole reliquie di tutti i santi del calendario), dipinti di Peterzano, Cerano, Figino, Bernardino Campi, Romanino, Tintoretto Francesco Cairo sono espressione di una fede tramandata nel tempo; dall’altro, inediti di Sironi, bozzetti di Tavernari, Archipenko e Umberto Milani, lavori di Lawrence Carroll ed Ettore Spalletti – solo per citare ulteriori autori legati alla storia recente di San Fedele – costituiscono un patrimonio che parla un linguaggio attuale.
Ultima tappa del percorso, la cripta secentesca custodisce diverse opere tra le quali una preziosa croce processionale del Quattrocento in rame dorato, una statua in marmo di un gisant dello scultore Bambaia (XVI secolo), la bellissima Via Crucis in terracotta di Lucio Fontana e, in una cappella attigua, l’impressionante installazione di Jannis Kounellis, protagonista dell’arte povera, sul tema dell’Apocalisse.
Si compie così un’esperienza unica, tra opere sacre moderne e contemporanee, che arricchisce l’itinerario religioso e artistico ereditato dal passato. Nella comprensione del passato, siamo infatti chiamati a conoscere i nuovi linguaggi, ad assumere le lacerazioni e le contraddizioni del mondo attuale, cercando di aprire un dialogo con la cultura di oggi, interrogandola sulle sfide culturali e spirituali del nostro tempo.
[Gli autori dell’articolo sono Andrea dall’Asta SJ, direttore Galleria San Fedele, e Francesco Pistocchini, coordinatore Museo San Fedele. Itinerari di arte e fede]