La forza della fragilità

 Siamo così abituati a nascondere le nostre fragilità, che può diventare un problema anche un vestito che non ci copre abbastanza la ‘pancetta’…

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È impossibile non commuoversi nel guardarli e, nella festa di battesimo della mia nipotina, loro due spiccano su tutto. Tomas, un bellissimo bambino di 5 anni (non vedente) sta abbracciando Linda, una meravigliosa bambina di tre anni (anche lei nata con la sua fragilità). Tomas le tocca il viso con delicatezza, l’accarezza incuriosito e, con le sue mani, cerca di entrare il più possibile nel suo mondo.

Linda, seduta sul suo passeggino, non potendo ricambiare il suo abbraccio come vorrebbe, gli parla con il suo sorriso entusiasta. I suoi due splendidi occhi azzurri ricordano il Cielo che la ama in modo speciale e che ce l’ha mandata per rammentarci che ogni creatura giunge sulla terra per insegnarci qualcosa. Percepisco con emozione che sto assistendo a degli “abbracci veri” e ad una “curiosità ben incanalata”. 

Gli abbracci veri sono quelli fatti per far nascere dialoghi d’affetto e la curiosità ben incanalata è quella fatta allo scopo di scoprire il dono che c’è per noi, nella vita degli altri (e viceversa, ovviamente). Siamo così abituati a nascondere le nostre fragilità, che può diventare un problema anche un vestito che non ci copre abbastanza bene la pancetta che, sadicamente, lo specchio ci mostra. Siamo così addestrati alle risposte di circostanza, che alla frase “Come stai?” rispondiamo in automatico “Bene”, anche se quel giorno vorremmo piangere sulle spalle di qualcuno.

Tu pensa se al mondo fossimo tutti come Elia e Linda: fiori di rara bellezza che, spontaneamente, si avvicinano l’un l’altro per conoscersi e toccare le reciproche vite. Quante fragilità ci portiamo appresso? Tante (almeno io ne potrei riempire un bel bauletto). Ma non credo sia questo il problema. Sono convinta che la vera difficoltà inizi quando decidiamo di mascherarci da Zorro, pur non avendo neanche la spada per fare la zeta sul retro dei pantaloni degli altri.

Vorremmo apparire forti, tenaci, indistruttibili, sicuri… Tutte qualità che se le avessimo davvero tutte insieme, ci trasformerebbero in una persona antipatica…ma così antipatica! Non c’è niente di peggio, infatti, degli individui a cui la vita ha regalato tanto (in termini di salute, carriera, intelligenza) e che credono che tutto sia merito loro. Diventano presuntuosi, saccenti ed egoisti in modo insopportabile. Spesso, nel rapporto con gli altri, sono come elefanti in un negozio di cristalli. Quei cristalli che io adoro sempre di più, man mano che rifletto sulla vita.

Come si fa, infatti, a non rimanere estasiati di fronte alla luminosa fragilità del vetro di Murano o del cristallo di Boemia? Chi non è disposto a proteggerli dagli urti violenti dei sassi?  Chissà perché educhiamo (e ci educhiamo) all’idea che essere forti significa diventare come sassi. Nessuno deve avvicinarsi a noi e romperci. Casomai siamo noi che rompiamo gli altri: con il sarcasmo, l’ostentazione di ciò che abbiamo, la battuta che ferisce, la violenza che zittisce…

Abbiamo il timore di diventare luminosi come cristalli di Boemia e sfacchiniamo da morire per diventare come macigni: resistenti, incrollabili. La lacrima va nascosta, l’insicurezza va combattuta, la paura va sostituita con il potere, la timidezza va curata… La fragilità e la forza si affrontano in un eterno duello, dentro di noi. Ma io credo che abbiamo sbagliato guerra.

Io voglio abbracciare la fragilità umana, perché mi fa stare bene. E mi fa star bene perché vi incontro tanti abbracci veri e tante curiosità ben incanalate.  Noi siamo convinti che i “grandi” siano quelli che nella vita vincono con la loro forza mentre i fragili siano quelli che si incrinano e si frantumano. Per questo nascondiamo come matti le nostre paure e le nostre debolezze. Invece io voglio gridare al mondo la mia fragilità. Ho visto che così si sta meglio perché pian piano diventiamo capaci di fare come Tomas e Linda: riempire le nostre crepe con l’oro dei veri abbracci. Allora la fragilità dell’uno diventa pietra angolare per l’altro, appiglio saldo a cui aggrapparsi, debolezza trasformata in forza.

Anche san Paolo aveva la sua debolezza. Non sappiamo con precisione cosa fosse. Fatto sta che ad un certo punto ci racconta la risposta di Dio alla sua richiesta di tornare ad essere acciaio e non più cristallo: «Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità … quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 9-10).

Dio sa benissimo che il potente non sa amare. L’uomo d’acciaio è freddo e fa paura. Crede di essere meglio di tutti ed evita, quindi, di confrontarsi con chiunque. Capta attorno a sé lo sguardo ammirato di chi incontra e non vede la presenza dell’altro come possibile parte di sé. Il Padre dei Cieli sa benissimo che il nostro cuore non è sereno finché non si accorge di essere fragile e bello come il cristallo. Due fragilità si uniscono con abbracci veri e si danno forza in segreto: come Tomas e Linda. Come dovremmo fare tutti.

È il mistero dell’amore. È il mistero di Dio che ama amarci con le nostre debolezze, perché sono proprio quelle che ci fanno alzare le braccia verso il Cielo e dire senza vergogna alcuna: “Papà, sono qui. Abbracciami!”.

[Tratto da www.intemirifugio.it]

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Maria Cristina Corvo

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