Potrebbero presto arricchirsi le fila delle regioni italiane che alzano gli scudi per impedire la penetrazione del gender nelle scuole. Dopo la Lombardia, la Basilicata e il Veneto, anche il Friuli Venezia-Giulia è intenzionato a elaborare uno strumento legislativo atto a contrastare le “colonizzazioni ideologiche” – per mutuare papa Francesco – nelle aule scolastiche.
Il contenuto della mozione presentata in Consiglio regionale da Luca Ciriani (Fratelli d’Italia) e Barbara Zilli (Lega Nord) prevede non solo di bandire la teoria gender dai corsi scolastici, ma anche di rispettare il ruolo della famiglia nell’educazione degli alunni attraverso il coinvolgimento dei genitori e dei loro enti rappresentativi nei progetti educativi riguardanti affettività e sessualità.
Nel testo si legge che “oggi più che mai ci troviamo di fronte a un’emergenza educativa, in particolare per quanto riguarda tematiche relative all’affettività”, che “in alcuni casi purtroppo è diventata sinonimo di educazione alla genitalità, priva di riferimenti etici e morali, discriminante per la famiglia fatta da uomo e donna”. I due estensori del documento rilevano che “errate convinzioni vorrebbero equiparare ogni forma di unione e di famiglia e giustificare e normalizzare qualsiasi comportamento sessuale e la famiglia composta da una donna e da un uomo è vista quasi come uno stereotipo da superare”. E ancora: “Riconoscere la diversità tra uomo e donna non significa discriminare – dice ancora la mozione – il vero e principio dell’eguaglianza non nega l’esistenza delle differenze, non le azzera, ma le accoglie e le valorizza in quanto portatrici di ricchezza e complementarietà”.
Zilli e Ciriani commentano poi l’ordine del giorno, approvato a maggioranza da Partito Democratico e M5S, teso ad attuare il comma 16 del ddl Buona Scuola negli istituti scolastici friulani. In particolare l’art. 3 del suddetto comma del maxiemendamento sulla “violenza di genere” fa riferimento indiretto alla Convenzione di Istanbul, di fatto recepita ed attuata con la legge 119 del 2013 a cui il testo della Buona Scuola si richiama. “Se da più parti genitori e associazioni esprimono la loro preoccupazione, forse il rischio che la norma venga interpretata è più fondato di quanto si pensi” affermano a tal proposito i due consiglieri regionali.
Che a proposito del comma 16 della Buona Scuola aggiungono: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. “Il rischio che il passaggio venga mal interpretato c’è – continuano Zilli e Ciriani – per questo è necessario scongiurare l’insegnamento nelle scuole di teorie, come quella gender, che altro non farebbero che mandare in confusione bambini e ragazzi sulla loro identità sessuale”.
Secondo i due estensori del testo “va bene, anzi, è auspicabile che nelle scuole si insegni il rispetto e l’accettazione delle diversità, per contrastare atteggiamenti come l’omofobia, ma ricordiamoci che la spiegazione di certe tematiche così delicate è un compito che non può e non deve essere demandato ed assunto dalla scuola, ma deve rimanere in capo alla famiglia”.
Di contro all’iniziativa di Zilli e Ciriani, si schiera il consigliere regionale Franco Codrega (Pd). Il presidente della IV Commissione Istruzione ripete la tesi degli esponenti del suo partito secondo cui la Buona Scuola non conterrebbe alcun riferimento al gender. “Si può ovviamente essere più o meno d’accordo con la legge della Buona scuola, il dibattito in questo senso, come è noto, è vivace. Ma attribuirvi una imposizione dell’insegnamento della teoria del gender è pura invenzione”.