Poesia dell’inconscio

In un saggio dello psicoterapeuta Eugenio Borgna, un raffinato ritratto psicologico della poetessa Antonia Pozzi

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Sul finire degli anni ’80, Maria Luisa Spaziani e Mario Luzi fondarono a Roma, presso il Centro Internazionale “Eugenio Montale”, la prima “Cattedra di Poesia” italiana: un genere di riflessione psico-letteraria (presente all’epoca in diversi Paesi, specie di cultura anglosassone) che richiedeva al “poeta-critico” di esprimere la propria personale poetica, autoanalizzandosi ai limiti del possibile.

L’iniziativa ebbe grande successo e vide la partecipazione di poeti e scrittori di fama internazionale, chiamati a ragionare sui segreti della loro arte, sulla loro visione esistenziale, sul loro modo di rapportarsi alla creazione letteraria. Tra loro possiamo ricordare: Yves Bonnefoy, Enis Batur, Allen Mandelbaum, Kikuo Takano. E tra gli italiani: Andrea Zanzotto, Silvio Ramat, Maurizio Cucchi, Franco Loi, Roberto Mussapi.

Nella sua prolusione alla “Cattedra di Poesia” presso la storica dimora di Palazzo Torlonia, Maria Luisa Spaziani illustrò, con la sua ben nota lucidità intellettuale, il significato profondo dell’espressione poetica, mettendo in guardia dai rischi dell’apparente appagamento dello spirito ad opera della “superficiale carezza” dei mass media. La poesia è un “diario del profondo”, disse, un “esprit de finesse” difficile da definire…

Ci è tornato in mente quell’evento ormai lontano leggendo il bellissimo saggio La fragilità che è in noi (2014, Giulio Einaudi Editore), scritto dallo psichiatra e docente Eugenio Borgna. Nel volume viene infatti delineato un raffinato ritratto psicologico di alcuni grandi personaggi, tra i quali la poetessa italiana Antonia Pozzi, morta suicida nel 1938 a soli ventisei anni. Un approccio, quello di Borgna, che, per la delicatezza dell’approccio e la finezza dell’analisi, richiama in qualche modo l’idea che Luzi e la Spaziani avevano voluto esprimere con la loro “Cattedra di Poesia”. In questo caso, naturalmente, non siamo in presenza di una forma di “autoanalisi”, ma ci muoviamo nella più classica dimensione di rapporto fra analista e paziente. Benché quest’ultima sia assente e parli solo attraverso le sue poesie.

Ma le parole poetiche della Pozzi si dimostrano rivelatrici. Cristallizzano il messaggio dell’inconscio attraverso la poesia; portano alla luce uno stato di malinconia, di profonda tristezza, che, pur senza assumere una dimensione patologica, rivela una condizione di estrema sensibilità e di fragilità estenuata. E la conoscenza che se ne trae sull’origine del linguaggio poetico risulta oltremodo illuminante.

“La fragilità e la smarrita stanchezza di vivere, il dolore e la nostalgia della morte, si sono accompagnate alla vita e alla poesia di Antonia Pozzi e alla sua scelta di morire a ventisei anni”, scrive Borgna. “Le sue poesie, le sue lettere e i suoi diari consentono di intravedere qualcosa di quello che, in una forma di vita segnata da una infinita fragilità psicologica e umana, si costituisce a mano a mano come la possibile soglia di una morte volontaria”.

“Sono poesie – scrive sempre Borgna – che ci consentono di cogliere i diversi modi di rivivere, e di esprimere, gli indicibili turbamenti dell’anima che attraversano l’adolescenza e la giovinezza, e che il linguaggio della poesia fa conoscere nella loro palpitante verità psicologica e umana”.

“Vorrei citare due sole poesie – continua lo psicoterapeuta – scritta la prima a diciotto anni e la seconda a diciannove, nelle quali la nostalgia della morte è acuta e straziante: specchio di una lacerazione dell’anima che l’ha accompagnata lungo gli anni, brevi come un sospiro, della sua vita”. La prima poesia citata da Borgna s’intitola Novembre:

 

NOVEMBRE

E poi – se accadrà ch’io me ne vada –

resterà qualche cosa

di me

nel mio mondo –

resterà un’esile scia di silenzio

in mezzo alle voci –

un tenue fiato di bianco

in cuore all’azzurro –

Ed una sera di novembre

una bambina gracile

all’angolo d’una strada

venderà tanti crisantemi

e ci saranno le stelle

gelide verdi remote –

Qualcuno piangerà

chissà dove – chissà dove –

Qualcuno cercherà i crisantemi

per me

nel mondo

quando accadrà che senza ritorno

io me ne debba andare.

 

*

 

La seconda poesia di Antonia Pozzi, citata da Borgna nella sua analisi, s’intitola La porta che si chiude ed è caratterizzata da “immagini misteriose e arcane, temerarie e sfiorate dall’indicibile”:

 

LA PORTA CHE SI CHIUDE

Oh, le parole prigioniere

che battono battono

furiosamente

alla porta dell’anima

e la porta dell’anima

che a palmo a palmo

spietatamente

si chiude!

Ed ogni giorno il varco si stringe

ed ogni giorno l’assalto è più duro.

E l’ultimo giorno

– io lo so –

e l’ultimo giorno

quando un’unica lama di luce

<em>pioverà dall’estremo spiraglio

dentro la tenebra,

allora sarà l’onda mostruosa,

l’urto tremendo,

l’urlo mortale

delle parole non nate

verso l’ultimo sogno di sole.

*

Eugenio Borgna cita quindi una frase tratta dai diari della poetessa (“…è forse per questa piena di sentimenti, per cui in una giornata soffro e godo ciò che apparentemente si può soffrire e godere in tutta un’esistenza, che rimpiango il passato, che adoro il presente, che non desidero l’avvenire…”) e così conclude: “La dicotomia e la scissione fra la vita interiore, le emozioni realmente provate, e la vita esteriore, le emozioni tenute nascoste, inducono ogni volta a ripensare ai segreti inesplorabili dell’anima, che vivono in ciascuno di noi; e fanno ripensare alle infinite maschere che sono sui nostri volti, riarsi dal dolore, senza mai essere decifrate: come è avvenuto in Antonia Pozzi”.

Negli ultimi decenni molte scuole psicoanalitiche hanno svolto approfondite ricerche sul linguaggio. E la poesia stessa ha tratto grandi benefici dalla frequentazione dell’inconscio. La creazione in versi – avvertiva Yves Bonnefoy nel suo intervento presso la “Cattedra di Poesia” citata in apertura – è espressione di un desiderio più profondo, di un desiderio di unità col mondo. La conoscenza poetica cerca di rappresentare un’esperienza di unità che è stata dimenticata da gran parte delle altre forme di pensiero. E in qualche modo si avvicina, in questo, all’esperienza religiosa…

***

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Massimo Nardi

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