“Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,5).
Sullo sfondo del Salmo vorrei mettere davanti agli occhi dei lettori la stessa domanda: Chi è l’uomo dinanzi a Dio? L’uomo di oggi è davvero cosciente del suo valore e della sua alta dignità?
Di fronte alle contraddittorie vicende storiche e agli eventi paradossali che stiamo vivendo, credo sia opportuno chiedersi: C’è ancora posto nella vita umana per Dio? Riusciamo ancora a stupirci della Sua paterna attenzione, soprattutto in una congiuntura storica in cui si sente il grido sofferente di tanti uomini?
La risposta dipende dalla prospettiva con cui si guarda il mondo, ma anche dalle categorie con le quali si giudicano le cose. Gli effetti devastanti del male, a cui assistiamo ogni giorno, sono sicuramente una realtà oggettiva e indiscutibile, ma il giudizio sulla realtà e il senso della verità rimangono, spesso, in ombra o sono molto discutibili.
C’è, infatti, una duplice lettura del reale: una che deriva da ciò che vediamo, dall’esperienza personale; un’altra in cui sguardo e conoscenza non dipendono solo dai sensi e dalle nostre facoltà, bensì da quanto si riesce a cogliere attraverso gli “occhi” della fede. In entrambi i casi si verifica lo stesso fenomeno, c’è lo stesso soggetto che osserva e giudica, anche se la verità non dipende da criteri umani, ma dalla grazia di Dio che trova spazio in un cuore. La grazia, pertanto, infonde una luce particolare che permette di conoscere con profondità se stessi, gli altri e il mondo.
Cambia tutto quando si legge la storia con gli occhi sorprendenti della fede. Non cambia solo l’atto del vedere, ma anche il modo di giudicare, poiché si coglie in ogni realtà un significato inedito.
Questa prospettiva è il leitmotiv di tale rubrica dal titolo “Vocazione umana e impegno sociale”. Essa sottintende, infatti, una visione nuova da recuperare per riscoprire se stessi sull’eco del salmista: ricordàti e curàti da Dio. Il Signore non dimentica mai l’uomo e, in tal senso, egli ha permesso l’esperienza dell’incontro con Lui attraverso l’incarnazione del suo Figlio, Gesù Cristo, colui che dona la vita piena agli uomini.
È questa, dunque, una rubrica che ha, per fine, quello di approfondire, dal punto di vista teologico, la vocazione umana in senso ampio: “essere dalla verità”. La teologia, per sua natura, è infatti sempre alla ricerca della verità e di una comprensione più grande della fede. Riflettere ‘teologicamente’, pertanto, significa liberare l’uomo dalla “debolezza del pensiero”, consentendogli di mettersi in relazione con Gesù Cristo e in comunione con la fede della Chiesa, rendendolo capace di pensare e agire sul fondamento della verità, evitando così il vago soggettivismo delle idee.
Pensare teologicamente, inoltre, significa saper leggere con coerenza le trasformazioni culturali in atto che mutano l’uomo, i rapporti interpersonali, il modo di guardare alla vita; significa anche individuare le cause che generano la crisi etica e impediscono di vedere e di fissare regole valide per tutti, condivisibili. Lo sguardo teologico serve, inoltre, a concepire la missione della Chiesa nel mondo non come un “corpo estraneo” tra gli uomini o una realtà “disturbatrice” nella storia, ma come la grande azione salvifica di Cristo che, attraverso il suo Corpo, genera una vera e propria inculturazione della fede. Questo avviene nella piena corrispondenza ai bisogni più radicali dell’uomo, nel rispetto dei diritti inviolabili della persona, nella valorizzazione della sua dignità, mai abbastanza riconosciuta, nei molteplici e apparenti processi di liberalizzazione sociale e civile.
L’apporto della fede cristiana edifica la vera cultura umana, non solo a un livello pratico ed esperienziale ma, anche, a un livello più interiore, che riguarda la stessa umanizzazione dell’uomo attraverso la cultura. È dare all’uomo, ad ogni uomo e alla comunità degli uomini una dimensione umana e divina, e questo avviene attraverso la conoscenza e l’adesione della verità di Gesù Cristo.
Non basta che l’uomo comprenda e scelga secondo la propria vocazione; occorre che l’intera esistenza sia permeata dalla fede e che ogni sua scelta, sostenuta dalla grazia, gli doni luce e forza per impegnarsi attivamente a trasformare il mondo che vive, in modo performativo, cioè dal di dentro.
Restano di grande importanza le parole di Giovanni Paolo II al riguardo: “L’uomo non può essere pienamente se stesso, non può realizzare totalmente la sua umanità, se non si riconosce e non vive la trascendenza del proprio essere sul mondo ed il suo rapporto con Dio” (Giovanni Paolo II, Agli uomini di cultura, a Rio de Janeiro, 1 luglio 1980).
Auspico che tanti, attraverso questa rubrica, possano trovare stimoli e solide motivazioni per rileggere la propria vita all’insegna della specifica vocazione e alimentare il desiderio di un rinnovato impegno sociale per una autentica e vera convivenza umana.
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Don Alessandro Carioti è sacerdote Responsabile per la pastorale vocazionale dell’arcidiocesi di Catanzaro Squillace, professore di teologia sistematica al Seminario regionale, parroco della chiesa “Maria Madre della Chiesa” di Catanzaro.